Sentenza di condanna e metodo di valutazione degli indizi. Il caso di Lucia Annibali

14 Dicembre 2016

Quand'è che può dirsi rispettato il canone dell'oltre ogni ragionevole dubbio nei processi indiziari? La valutazione del giudice deve privilegiare una visione frazionata dei singoli elementi indiziari oppure può superare eventuali incertezze attraverso una loro lettura globale? La Cassazione, con la sentenza in disamina, è tornata su una tematica il cui interesse tende a rinnovarsi costantemente e su cui l'elaborazione giurisprudenziale tende ad affinarsi e a compiere sempre nuovi passi in avanti.
Massima

In tema di vizio di motivazione di una sentenza di condanna, lo stesso non può essere ravvisato sulla base di una critica frammentaria dei singoli punti di essa, poiché l'esame parcellizzato dei dati informativi, pur rappresentando la proiezione del controllo sulle singole attribuzioni di significato probatorio ai dati disponibili, non può indurre una frammentazione del giudizio critico che deve, piuttosto, derivare da una verifica globale ed unitaria dei dati indizianti. In questo senso va osservato che anche la ridotta incidenza logica di un singolo elemento non può avere ex se, in concreto, efficacia disarticolante automatica sul giudizio complessivo di attribuzione del fatto.

Il caso

La Corte di appello di Ancona aveva confermato la sentenza di condanna emessa dal Gup di Pesaro in sede di giudizio abbreviato con cui Tizio, Caio e Sempronio erano stati condannati, rispettivamente, alla pena di anni venti di reclusione e a quella di anni 12 di reclusione, tutti e tre per i reati di lesioni aggravate, simulazione di reato, danneggiamento e violazione di domicilio in danno di una donna, in passato legato a Tizio da una relazione sentimentale; il solo Tizio anche per i reati di stalking e tentato omicidio aggravato dalla premeditazione e dall'avere impiegato un mezzo insidioso, consistito nella manomissione dell'impianto di alimentazione a gas dei fornelli della cucina con conseguente dispersione nell'ambiente di questa sostanza e concreto rischio di incendi ed esplosioni.

In sintesi i fatti: la vittima, subito dopo avere aperto la porta della propria abitazione, veniva attinta al volto da sostanza ustionante, lanciata da persona travisata. Per effetto di questo gesto, la vittima riportava lesioni gravissime idonee a deformarne i lineamenti del volto e ad alterarne notevolmente la funzionalità.

In esito ad una fitta attività investigativa si individuavano il mandante, identificato in un soggetto (qui Tizio) con il quale la vittima era stata legata da una relazione sentimentale da lei stessa interrotta, e i suoi complici, esecutori materiali del piano.

Nei gradi di merito, al di là del gravissimo fatto di lesioni, venivano ritenute provate a carico di Tizio, il quale non aveva accettato la fine del rapporto sentimentale decisa dalla persona offesa, plurime condotte di vessazione in danno della vittima che, in ragione di ciò, era stata costretta a modificare le sue abitudini di vita, a vivere in condizioni di paura e di continua ansia ed era stata indotta a cambiare la serratura di casa, oltre ad avere sofferto una vera persecuzione culminata in un episodio di tentato omicidio.

In particolare, circa due mesi prima l'aggressione consumata con la sostanza ustionante, rientrando a casa la vittima aveva percepito un forte odore di gas, scorgendo Tizio all'interno dell'abitazione.

A circa dieci giorni di distanza, la vittima, rientrando ancora a casa, aveva aperto il rubinetto del gas ed acceso il fornello; in quel frangente avevano improvvisamente preso fuoco le manopole dell'apparecchio.

Il tecnico contattato dalla donna aveva accertato l'allentamento del tubo e la mancanza di tre guarnizioni.

Una successiva consulenza disposta dal P.M. aveva consentito di appurare la manomissione dell'impianto; manomissione che, aveva accertato l'esperto, sarebbe stata idonea a produrre sia un incendio sia un'esplosione.

Con i loro ricorsi per Cassazione gli imputati, seppure con accenti e sfumature diverse, contestato la ricostruzione dei fatti cristallizzata nelle sentenze di merito, indirizzando il proprio giudizio critico sul metodo di valutazione operato dai giudici dei singoli dati indiziari e proponendone, per tale via, una lettura alternativa.

La questione

Questa vicenda offre, pertanto, l'occasione per verificare ancora una volta se, onde invocare l'annullamento di una sentenza di condanna in ragione dell'inosservanza del principio dell' oltre ogni ragionevole dubbio, sia sufficiente suggerire letture diverse di singoli dati informativi, limitandosi ad una critica frammentaria di specifici elementi indiziari.

Le soluzioni giuridiche

La sentenza in disamina si colloca nel solco della consolidata elaborazione giurisprudenziale sul tema tendente a delineare un metodo collaudato di valutazione degli indizi.

La prova indiziaria, non rappresentando in via immediata il fatto da dimostrare, si risolve in un'operazione logica che consente di risalire dal fatto noto (l'indizio per l'appunto) a quello ignoto il cui accertamento risulta fondamentale per dirimere l'alternativa colpevole/innocente.

Come si precisa nel corpo della sentenza in commento, l'indizio ha capacità rappresentativa autonoma, per definizione parziale, riferendosi ad una circostanza collegata ma diversa rispetto a quella da dimostrare e che consente, però, attraverso inferenze logiche, di conoscere ulteriori fatti rilevanti ai fini del giudizio.

In tale ottica, e in ossequio alle indicazioni dettate dall'art. 192, comma 2, c.p.p., gli indizi devono essere caratterizzati dai requisiti della gravità, precisione e concordanza.

Sul piano del metodo valutativo, ciò si traduce nella necessità di operare un approccio bifasico al tema.

Prima occorre un esame particellato dei singoli elementi onde accertare la loro gravità (intesa come maggiore o minore attitudine del dato a dimostrare il fatto ignoto e rilevante per l'oggetto del processo) e precisione (intesa come maggiore o minore certezza storica della circostanza integrante il dato indiziario), per poi procedere ad un loro esame globale al fine di superare l'ambiguità insita in ciascun dato informativo acquisito nella sua individualità.

Ciò, in quanto la valutazione complessiva e coordinata del quadro indiziario, fondandosi sul reciproco integrarsi dei diversi elementi, può conferire al materiale dibattimentale un significato univoco, che attesta la prova del fatto in via logica.

In questo ambito, anche il giudizio di gravità, inteso come idoneità dimostrativa di ciascun elemento in rapporto al fatto da provare, non deve essere necessariamente identico per ogni singolo dato, essendo possibile, contrariamente, il concorso di più elementi con maggiore o minore attitudine dimostrativa, che nella valutazione complessiva assumono il requisito di precisione e concordanza in funzione della prova stessa.

Da questo punto di vista, annotano i giudici nella sentenza in disamina in linea con la pregressa giurisprudenza, laddove il procedimento valutativo segua le cadenze indicate, la prova logica assume uno status analogo e non inferiore rispetto a quella diretta o storica.

Nel caso di specie, concludono i giudici, i denunciati vizi nella valutazione di singole informazioni sono agevolmente superabili mediante una lettura globale e coordinata degli stessi, idonea a certificare la loro convergenza nell'attestare la bontà dell'ipotesi accusatorio e la loro attitudine nel dirimere qualsiasi dubbio sulla colpevolezza dei ricorrenti.

Osservazioni

In primo luogo, è condivisibile la tecnica argomentativa impiegata dalla suprema Corte per vagliare la sentenza impugnata, laddove si precisa come compito della Cassazione sia quello, non già di verificare l'esito ricostruttivo operato nel merito, bensì, piuttosto, di esaminare il metodo con cui il giudice è giunto a quel risultato valutativo, esplicitato attraverso la motivazione.

In sede di legittimità si accerta, non già l'intrinseca consistenza degli indizi riservata al giudizio di merito, bensì soltanto la corretta interpretazione degli stessi, trattandosi di passaggio funzionale al rispetto del canone dell'oltre ogni ragionevole dubbio.

Da questa angolatura, la soluzione adottata diventa condivisibile e fedele alla logica sottesa al nostro impianto codicistico in tema di valutazione dei dati indiziari a condizione che non si esaurisca in una completa, o perlomeno rilevante svalutazione della fase di apprezzamento della qualità immanente a ciascun indizio singolarmente considerato.

Invero, come hanno precisato anche le Sezioni unite della Cassazione in uno “storico” arresto sul tema, il metodo di lettura unitaria e complessiva dell'intero compendio probatorio non si risolve in una mera sommatoria degli indizi e non può perciò prescindere dalla operazione propedeutica che consiste nel valutare ogni prova indiziaria singolarmente, ciascuna nella propria valenza qualitativa e nel grado di precisione e gravità, per poi valorizzarla, ove ne ricorrano i presupposti, in una prospettiva globale e unitaria, tendente a porne in luce i collegamenti e la confluenza in un medesimo contesto dimostrativo (Cass. pen., Sez. unite, 12 luglio 2005, n. 33748).

In tale ottica, il ragionamento sviluppato nella pronuncia annotata, nella misura in cui mira a sottolineare come il rispetto del principio dell'oltre ogni ragionevole dubbio non implichi un giudizio fondato su valutazioni atomistiche e frastagliate del materiale informativo a disposizione del giudice (alimentate, magari, mediante la prospettazione di letture alternative di specifici dati del tutto irragionevoli), essendo, piuttosto, l'esame completo e globale delle risultanze raccolte a dovere fungere da presupposto sulla base del quale pronunciare una sentenza di condanna, può essere accolto.

E questo, tuttavia, a patto che non si finisca per aggirare l'ostacolo rappresentato dalla eventuale intrinseca fragilità dei singoli dati informativi, attraverso mere formule di stile tendenti ad accreditare una inesistente capacità della verifica globale del materiale indiziario a fugare eventuali perplessità derivanti da una disamina frammentata di ciascun elemento.

Insomma, sebbene sia solo la visione d'insieme del “mosaico” indiziario a consentire una compiuta conoscenza di accadimenti che la visione ristretta di un singolo “tassello” non sarebbe in grado di offrire, occorre verificare, in sede di legittimità, l'effettiva attitudine del vaglio complessivo dell'intero patrimonio informativo a squarciare il velo di incertezza eventualmente calato sulla res iudicanda a seguito della disamina dei singoli indizi.

Guida all'approfondimento

IACOVIELLO, La Cassazione penale. Fatto, diritto e motivazione, Giuffré, 2013;

NAPPI, Il sindacato di legittimità nei giudizi civili e penali di cassazione, Torino, 2006, 170.

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