La riforma del Codice antimafia: misure di prevenzione, modifiche all'organizzazione giudiziaria, profili processuali

Antonio Balsamo
15 Gennaio 2016

Il testo unificato di riforma del Codice antimafia, approvato in prima lettura dalla Camera dei deputati, contiene importanti novità sul piano sostanziale e su quello processuale. Una prima analisi di queste nuove disposizioni conduce a un giudizio sicuramente positivo, anche se non mancano alcuni aspetti perfettibili.
Abstract

Il testo unificato di riforma del Codice antimafia, approvato in prima lettura dalla Camera dei deputati, contiene importanti novità sul piano sostanziale e su quello processuale. Tra l'altro, le misure di prevenzione vengono estese ai reati contro la pubblica amministrazione, si introducono nuove misure imperniate su una vigilanza prescrittiva più che sull'ablazione dei patrimoni, viene ristrutturata la composizione degli organi giudicanti nel segno della specializzazione e della multidisciplinarità, e la disciplina del procedimento di prevenzione subisce alcuni significativi ritocchi.

Una riforma necessaria

Sin dalla sua emanazione, avvenuta con il d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, il Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione è apparso come un work in progress, più che come un corpus normativo destinato a rimanere inalterato per un consistente periodo di tempo.

Se, da un lato, la stessa idea di un Codice antimafia esprime l'intento di superare la logica dell'emergenza imperniata su interventi disorganici e frammentari, dall'altro lato i tempi ristretti e la tecnica compilativa che hanno contrassegnato l'elaborazione del nuovo testo normativo hanno fatto emergere nei lavori parlamentari, dal 2011 ad oggi, l'esigenza di una riforma costruita sulla base di un approccio sistematico, aperto all'esperienza delle molteplici figure professionali ed istituzionali coinvolte nella dinamica della prevenzione patrimoniale.

Nella legislatura in corso sono state quindi costituite tre commissioni governative con il compito di progettare una riforma organica della materia: una, presieduta dal Prof. Giovanni Fiandaca, presso il Ministero della Giustizia; e due, presiedute rispettivamente dal dott. Roberto Garofoli e dal dott. Nicola Gratteri, presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Parallelamente, è stata presentata alla Camera dei deputati la proposta di legge di iniziativa popolare AC 1138, intitolata: Misure per favorire l'emersione alla legalità e la tutela dei lavoratori delle aziende sequestrate e confiscate alla criminalità organizzata, promossa da una serie di organizzazioni rappresentative del mondo del lavoro e della società civile (Acli, Arci, Avviso pubblico, C.G.I.L., Centro studi Pio La Torre, Legacoop, Libera e S.O.S. impresa). Ad essa sono state abbinate una serie di altre proposte di legge, tra cui quella C. 2737 (Bindi), che ha ripreso i contenuti delle relazioni predisposte dalla Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie. Ne è scaturito un testo unificato che è stato approvato, in prima lettura, dalla Camera in data 11 novembre 2015, con una larga maggioranza (281 voti favorevoli, 66 contrari), e quindi trasmesso al Senato.

Il testo approvato, pertanto, costituisce la sintesi di una pluralità di disegni di legge che, a loro volta, riprendono numerose indicazioni contenute nelle relazioni finali delle tre commissioni governative

Nel complesso, il progetto di riforma merita un giudizio ampiamente positivo: si tratta di un testo normativo organico, che accompagna alla modernità dell'approccio l'attenzione ai problemi emersi nella prassi, e si fonda su una fruttuosa interazione tra competenze giuridiche ed economiche.

È appena il caso di segnalare la rilevanza che può attribuirsi all'approvazione definitiva della riforma in questa fase storica quanto mai complessa e contraddittoria, nella quale, da un lato, il sistema italiano di sequestro e confisca delle aziende nelle quali vengono investiti i proventi illegali è considerato come un importante modello su cui costruire le future politiche europee di contrasto alla criminalità organizzata (cfr. da ultimo, le conclusioni del Final Report del Progetto O.C.P. – Organised Crime Portfolio, finanziato dalla Commissione Europea e realizzato da Transcrime), ma, dall'altro lato, emerge una forte esigenza di rinnovamento dello stesso sistema, nel segno della trasparenza e della responsabilità sociale della giustizia.

Sebbene perfettibile sotto alcuni aspetti (che nel prosieguo si analizzeranno), il testo approvato in prima lettura può sicuramente apportare un contributo significativo alla legittimazione esterna del diritto della criminalità organizzata, che rappresenta un passaggio indispensabile per produrre un vero e proprio salto di qualità sul piano della considerazione internazionale della realtà giudiziaria italiana.

Le misure di prevenzione anticorruzione

Un importante sforzo di modernizzazione del Codice antimafia è stato compiuto dal testo di riforma attraverso l'estensione delle fattispecie di pericolosità che fungono da presupposto per l'applicazione delle misure di prevenzione personali e patrimoniali.

Una prima innovazione, di ridotta portata applicativa ma utile per colmare possibili vuoti di tutela, si concreta nell'inserimento dei soggetti indiziati del delitto di cui all'art. 418 c.p. (assistenza agli associati) nella fattispecie di pericolosità qualificata indicati dall'art. 4, lett. b) del d.lgs. 159/2011.

Di ben maggiore rilevanza è, invece, la scelta di ampliare l'elenco dei destinatari della proposta di applicazione delle misure di prevenzione personali e patrimoniali aggiungendo all'art. 4 la lettera i-bis) che riguarda gli indiziati di una serie di delitti contro la pubblica amministrazione: precisamente, quelli previsti dagli artt. 314 (peculato), 316 (peculato mediante profitto dell'errore altrui), 316-bis (malversazione a danno dello Stato), 316-ter (indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato), 317 (concussione), 318 (corruzione per l'esercizio della funzione), 319 (corruzione per un atto contrario ai doveri d'ufficio), 319-ter (corruzione in atti giudiziari), 319-quater (induzione indebita a dare o promettere utilità), 320 (corruzione di persona incaricata di un pubblico servizio), 321 (pene per il corruttore), 322 (istigazione alla corruzione) e 322-bis (peculato, concussione, induzione indebita dare o promettere utilità, corruzione e istigazione alla corruzione di membri degli organi delle Comunità europee e di funzionari delle Comunità europee e di Stati esteri) del codice penale.

Con la nuova previsione contenuta nell'art. 4, lett. i-bis) del Codice antimafia diverrà possibile l'applicazione delle misure di prevenzione agli indiziati dei predetti reati anche quando non siano riconducibili alle fattispecie di pericolosità generica previste dal precedente art. 1 (le quali si riferiscono ai soggetti che siano abitualmente dediti a traffici delittuosi, o che vivano, anche in parte, con i proventi di attività delittuose).

Il valore aggiunto della riforma deve consiste pertanto nell'equiparare la commissione di reati contro la pubblica amministrazione tipicamente produttivi di profitti illeciti, sotto il profilo del controllo preventivo, alle ipotesi di pericolosità qualificata, che già adesso non richiedono, quale presupposto, la dimostrazione dell'abituale coinvolgimento del soggetto nelle attività delittuose o nel godimento dei loro proventi.

Tale equiparazione appare coerente con la maturata consapevolezza dell'intrinseco legame tra criminalità organizzata e corruzione (esplicitamente manifestata al punto 33 della risoluzione sulla criminalità organizzata nell'Unione europea, adottata dal Parlamento europeo il 25 ottobre 2011), cui si ricollega la prospettiva di una intensa circolazione, da un settore all'altro, degli strumenti di contrasto, e specialmente di quelli che si collocano oltre i confini del modello sanzionatorio “classico”.

La conseguente estensione dell'ambito applicativo delle misure patrimoniali consente di porre rimedio ad uno dei più rilevanti aspetti critici del sistema italiano di lotta alla corruzione, rappresentato dalla insufficienza del sistema di confisca dei proventi di questo fenomeno criminale: al riguardo, il rapporto di valutazione elaborato dal Greco (Gruppo di Stati contro la corruzione, operante nell'ambito del Consiglio d'Europa) nel luglio 2009 raccomandava di prendere in considerazione l'introduzione di forme di confisca in rem, sganciate dal presupposto di una sentenza di condanna, destinato frequentemente a mancare per effetto del meccanismo della prescrizione del reato.

Una risposta adeguata a tale esigenza è offerta proprio dallo strumento prevenzionistico, con il quale è possibile aggredire i patrimoni derivanti da condotte delittuose, anche se cadute in prescrizione, e persino nell'ipotesi di morte del reo.

Un'analoga linea di tendenza è peraltro riscontrabile nell'ordinamento britannico, dove la condanna per un reato previsto dalla normativa anticorruzione contenuta nel Bribery Act 2010 implica la soggezione anche alle misure patrimoniali disciplinate dal Proceeds of Crime Act 2002. Quest'ultimo atto legislativo (P.O.C.A.) ha introdotto accanto al confiscation alcuni meccanismi di sottrazione dei profitti illeciti di carattere civile (civil recovery e cash forfeiture). È appena il caso di sottolineare l'analogia tra tali strumenti e le misure di prevenzione patrimoniali conosciute dall'ordinamento italiano.

Nei primi commenti su questo aspetto della riforma la dottrina è apparsa divisa. È stato, in particolare, sottolineato il rischio di censure di costituzionalità in ordine alla scelta di agganciare agli indizi di un singolo reato di corruzione le presunzioni di pericolosità che giustificano l'eventuale ablazione patrimoniale (Visconti, Approvate in prima lettura dalla Camera importanti modifiche al procedimento di prevenzione patrimoniale, in dir. pen. cont., 23 Novembre 2015). Si è però replicato che, alla luce di una interpretazione costituzionalmente orientata, l'applicazione delle misure resta comunque subordinata all'accertamento della pericolosità sociale del soggetto, sulla base di una valutazione globale della sua intera personalità (Menditto, Verso la riforma del d.lgs. n. 159/2011 (c.d. Codice antimafia) e della confisca allargata, in Diritto Penale Contemporaneo, 22 Dicembre 2015).

In ogni caso, deve riconoscersi che si tratta di una innovazione compatibile con leindicazioni desumibili dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, che nella recente sentenza del 12 maggio 2015, nel caso Gogitidze e altri contro Georgia, ha espresso un giudizio positivo proprio su una fattispecie di confisca civile in rem, avente funzione preventiva e compensatoria, finalizzata all'ablazione della ricchezza accumulata in modo illecito e ingiustificato da persone accusate di gravi forme di criminalità amministrativa, nel quadro di un più ampio disegno di intensificazione della lotta alla corruzione nel settore pubblico.

I tribunali distrettuali, specializzati e con estrazione multidisciplinare

Nel progetto di riforma, viene radicalmente modificata la competenza territoriale dell'organo giudicante, concentrando i procedimenti di prevenzione nei tribunali aventi sede nel capoluogo di ciascun distretto, con la sola eccezione dei tribunali circondariali di Trapani e di Santa Maria Capua Vetere, cui si è ritenuto di conservare tale compito in considerazione della elevata quantità dei procedimenti ivi pendenti (v. il nuovo testo dell'art. 5, comma 4, del Codice antimafia e dell'art. 7-bis, comma 2-sexies, dell'ordinamento giudiziario).

Viene così cancellata la pregressa competenza su base provinciale dell'organo giudicante, che costituiva un evidente retaggio del passato, essendo il portato di un periodo storico nel quale l'iniziativa del procedimento era esercitata essenzialmente da un organo amministrativo con una corrispondente competenza territoriale, e precisamente dal Questore.

Con questa innovazione, si persegue un disegno di accentuata specializzazione del giudice della prevenzione, che trova coerente sviluppo in alcune previsioni attinenti alla organizzazione giudiziaria, contenute nel nuovo testo dell'art. dell'art. 7-bis, comma 2-sexies, dell'ordinamento giudiziario: viene programmata la istituzione, presso tutti i tribunali distrettuali (nonché presso i due tribunali circondariali sopra menzionati) e le Corti d'appello, di sezioni o collegi specializzati in materia di misure di prevenzione, composti da almeno tre magistrati, tratti prevalentemente da quelli forniti di specifica esperienza in tale materia o nei reati di criminalità organizzata, o nelle funzioni civili, fallimentari e societarie. Di particolare interesse è poi la disposizione che impone di garantire la necessaria integrazione delle competenze, prefigurando quindi una opportuna multidisciplinarità del complessivo background professionale dei componenti del tribunale della prevenzione.

È

appena il caso di sottolineare la modernità di una simile impostazione, che soddisfa in modo originale, e rispondente alle esigenze della pratica, quell'esigenza di specializzazione che viene indicata dall'art. 10 della direttiva europea 2014/42/Ue, del 3 aprile 2014, relativa al congelamento e alla confisca dei beni strumentali e dei proventi da reato nell'Unione europea, come un necessario connotato del modello di gestione dei beni sequestrati imperniato sulla articolazione in una pluralità di uffici sul territorio nazionale.

Sempre sul piano organizzativo, allo scopo di rafforzare l'efficienza del sistema della prevenzione patrimoniale, viene inserito nel Codice antimafia un art. 34-ter che prevede la priorità assoluta nella trattazione dei relativi procedimenti. In vista di tale obiettivo viene imposto ai dirigenti degli uffici giudicanti e requirenti un obbligo di adottare i provvedimenti organizzativi necessari; gli effetti degli stessi provvedimenti sulla trattazione prioritaria, sulla durata e sul rispetto dei termini dei procedimenti formano, poi, oggetto di valutazione da parte del C.S.M. e del Ministro della Giustizia.

L'ampliamento del potere di proposta del procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo

Nel testo approvato non è stata accolta la proposta, formulata da ultimo dalla Commissione Gratteri, di attribuire esclusivamente ad organi giurisdizionali il potere di iniziativa nel procedimento di prevenzione.

La sola modifica sul piano della competenza degli organi proponenti si sostanzia nell'eliminazione dell'inciso – contenuto nell'art. 17, comma 1, del Codice antimafia – che attualmente circoscrive il potere di iniziativa del Procuratore Nazionale Antimafia e Antiterrorismo, consentendogli di avviare l'azione di prevenzione patrimoniale esclusivamente nell'esercizio delle sue funzioni di coordinamento investigativo previste dall'art. 371-bis c.p.p.

Dal programmato ampliamento del potere di iniziativa del Procuratore Nazionale può trarsi una precisa conferma della tesi – fondata sul testo gli artt. 5 e 17 del Codice antimafia – che ne estende l'ambito di applicazione a tutte le fattispecie di pericolosità (e non solo a quelle connesse alla criminalità organizzata e al terrorismo).

La mancanza di una revisione complessiva della competenza degli organi proponenti può lasciar residuare alcuni problemi operativi, connessi alla attribuzione del potere di iniziativa in materia di prevenzione ad un ufficio (quello del Procuratore distrettuale) diverso da quello (del Procuratore circondariale) che mantiene la titolarità delle indagini penali e, più in generale, delle funzioni requirenti per i processi sulle corrispondenti ipotesi di reato, segnatamente in relazione alla nuova fattispecie di pericolosità attinente ai reati contro la pubblica amministrazione. Sul punto, sarebbe opportuna una correzione nel corso dei lavori parlamentari, al fine di concentrare entrambe le funzioni nel medesimo organo.

Il raccordo tra gli accordi proponenti

Il testo approvato fornisce anche una prima risposta, non esaustiva ma comunque da valutare positivamente, al complesso problema del coordinamento finalizzato a evitare disordinate sovrapposizioni di iniziative tra le diverse autorità proponenti, con il connesso rischio di interferenze sulle indagini in corso.

Al riguardo, nel settore della prevenzione personale, si modifica il testo dell'art. 5, comma 2, del Codice antimafia al fine di imporre al Procuratore circondariale, quando esercita le proprie funzioni nei procedimenti relativi alla pericolosità generica e a quella connessa a manifestazioni sportive, un obbligo di comunicazione nei confronti del Procuratore distrettuale. Si tratta di una previsione certamente opportuna; non si vede, tuttavia, perché non debba essere previsto un analogo obbligo a parti invertite per le misure di prevenzione riguardanti i reati contro la pubblica amministrazione.

Ben più incisive sono le innovazioni previste nel campo della prevenzione patrimoniale, dove, attraverso l'inserimento di un nuovo comma 3-bis nell'art. 17 del Codice antimafia, si attribuisce al Procuratore della Repubblica competente (quello circondariale nei casi di pericolosità generica, quello distrettuale per tutte le altre fattispecie di pericolosità) il potere-dovere di curare che non si arrechi pregiudizio alle attività di indagine condotte anche in altri procedimenti, attraverso il raccordo informativo con il questore e con il direttore della Dia. A questi due organi amministrativi proponenti, al fine di assicurare l'effettività del suddetto raccordo, vengono imposti una serie di specifici obblighi nei confronti dello stesso Procuratore, cui dovranno essere trasmessi i nominativi dei destinatari delle indagini patrimoniali, le informazioni e gli aggiornamenti sullo svolgimento delle indagini, le proposte da presentare al tribunale almeno dieci giorni prima del relativo deposito (con la previsione della sanzione di inammissibilità della proposta nel caso di mancata comunicazione), il provvedimento motivato emesso nel caso di ritenuta insussistenza dei presupposti per l'esercizio dell'azione di prevenzione. Quest'ultima disposizione costituisce, peraltro, la prima regolamentazione del potere di autoarchiviazione conferito agli organi cui spetta l'iniziativa del procedimento di prevenzione; lo scopo di tale disciplina è, chiaramente, quello di consentire al pubblico ministero di esercitare direttamente l'azione di prevenzione laddove ne ravvisi i presupposti, non condividendo la valutazione espressa dal questore e dal Direttore della Dia.

Nel complesso, si è quindi in presenza di un primo passo verso la realizzazione di un sistema di coordinamento tra i diversi organi proponenti, che, per essere portato a compimento, richiederebbe, comunque, l'attribuzione di più incisivi poteri all'autorità giudiziaria.

Le modifiche al procedimento di prevenzione

Il testo approvato in prima lettura contiene una serie di rilevanti novità attinenti alla struttura del procedimento di prevenzione. Un tema, questo, su cui la regolamentazione contenuta nel Codice antimafia è, fin dall'inizio, apparsa vistosamente lacunosa, tanto da lasciare spazio a prassi molto diverse tra loro, con una inevitabile oscillazione tra la riproposizione di un processo essenzialmente scritto con una istruttoria imperniata sulla pressoché completa ricezione delle risultanze investigative senza adeguati contrappesi per la difesa, e la contrapposta tendenza – presente nelle realtà giudiziarie più “avanzate” – a colmare gli ampi “spazi interstiziali” tra le norme mediante una applicazione ragionata dei principi del processo equo sanciti a livello costituzionale e internazionale.

Nel progetto di riforma, vengono cristallizzate in specifiche previsioni normative alcune significative soluzioni elaborate dalla giurisprudenza di merito e di legittimità, vengono chiariti una serie di dubbi interpretativi rimasti irrisolti, viene posto riparo a diverse aporie manifestatesi sotto il vigore del Codice antimafia. Non vengono, però, affrontate alcune delle questioni – come quelle attinenti all'esercizio del diritto alla prova, alle modalità di conduzione dell'attività istruttoria, al regime di conoscibilità degli atti formati dall'accusa – che appaiono più rilevanti per la compiuta realizzazione di un giusto processo di prevenzione.

Scendendo nel dettaglio, in una prospettiva di potenziamento del diritto all'informazione spettante al destinatario dell'azione di prevenzione, si prevede una modifica dell'art. 7, comma 2, del Codice antimafia volta ad includere tra i requisiti dell'avviso dell'udienza fissata dal presidente del collegio la concisa esposizione dei contenuti della proposta. Per rafforzare ulteriormente le garanzie dell'interessato, rendendolo destinatario di una contestazione analoga a quella prevista per il processo penale, ed evitare, al contempo, ogni possibile compromissione della imparzialità dell'organo giudicante, appare comunque preferibile notificare l'avviso dell'udienza unitamente al testo integrale della proposta (come aveva espressamente indicato la Commissione Fiandaca).

Con la progettata modifica del comma 4 dell'art. 7 del Codice antimafia viene, opportunamente, cancellata l'antiquata disposizione che consentiva all'interessato, se detenuto fuori della circoscrizione del giudice, di essere sentito dal magistrato di sorveglianza competente per territorio prima dell'udienza di prevenzione. In tale ipotesi, il diritto del proposto a partecipare all'udienza viene assicurato, di regola, con il ricorso allo strumento della videoconferenza, lasciando però al tribunale la facoltà di provvedere diversamente qualora ritenga necessaria la presenza personale della parte. Quest'ultima previsione, di indubbia opportunità, non appare però bene coordinata con la successiva precisazione secondo cui solo in caso di indisponibilità di mezzi tecnici idonei, il presidente dispone la traduzione dell'interessato. Una simile limitazione, che circoscriverebbe in modo eccessivo i poteri dell'organo giudicante (impedendo, ad esempio, il confronto di presenza tra il proposto e altri dichiaranti anche nel caso in cui appaia indispensabile per l'accertamento dei fatti), meriterebbe senz'altro di essere eliminata nel testo definitivo. Anche l'art. 146-bis disp. att. c.p.p. – nel testo modificato dal progetto di riforma nel senso di estendere la partecipazione a distanza all'interessato detenuto in luogo posto fuori della circoscrizione del giudice nel procedimento applicativo delle misure di prevenzione personali o patrimoniali – consente, del resto, al giudice di disporre la presenza del soggetto nell'aula di udienza se occorre procedere a confronto o ricognizione, o ad altro atto che implica l'osservazione della sua persona.

Anche il comma 6 dell'art. 7 verrebbe modificato in ossequio al principio nemo tenetur se detegere, escludendo l'accompagnamento coattivo nel caso di invito a comparire per l'esame del proposto, e includendo nel medesimo invito l'avviso della facoltà di non rispondere spettantegli.

Attraverso la programmata modifica del comma 8 dell'art. 7 la possibilità di esame mediante videoconferenza, attualmente limitata ai testimoni in senso stretto, viene estesa a tutti i soggetti informati su fatti rilevanti per il procedimento, quale che sia la loro qualifica processuale, e quindi anche agli imputati in un procedimento connesso o collegato.

Con i nuovi commi 10-bis, 10-ter e 10-quater, viene introdotta nell'art. 7 una apposita regolamentazione dell'incompetenza territoriale, che attualmente nel campo della prevenzione è sottoposta, in modo del tutto irragionevole, ad una regolamentazione molto più rigorosa di quella stabilita, in termini generali, per il processo penale. Il prevalente l'indirizzo interpretativo sostiene, infatti, che l'incompetenza territoriale del giudice della prevenzione è rilevabile in ogni stato e grado del procedimento, avendo natura funzionale ed inderogabile.

Per evitare che l'incompetenza territoriale costituisca una vera e propria “mina vagante”, suscettibile di porre nel nulla procedimenti giunti in grado di appello o al giudizio di legittimità, il progetto di riforma ha adottato una soluzione intermedia tra quelle rispettivamente proposte dalla Commissione Fiandaca e dalla Commissione Garofoli, prevedendo che le questioni concernenti la competenza per territorio del giudice – e quelle riguardanti la legittimazione dell'organo proponente – debbano essere eccepite, a pena di decadenza, subito dopo l'accertamento della regolare costituzione delle parti, per essere decise immediatamente dal Tribunale, il quale, a sua volta, potrebbe anche rilevarle di ufficio, ma soltanto con la decisione di primo grado. Alla declaratoria di incompetenza consegue sempre la trasmissione degli atti al Procuratore della Repubblica territorialmente competente; resta esclusa l'inefficacia degli elementi già acquisiti, mentre si stabilisce che il sequestro perda efficacia se entro venti giorni dal deposito del decreto dichiarativo dell'incompetenza il tribunale competente non provvede ad emettere un nuovo decreto di sequestro. Una analoga disciplina viene poi introdotta nell'art. 27 del Codice antimafia, a proposito del giudizio di appello nel quale venga riproposta l'eccezione di incompetenza respinta primo grado.

Con l'inserimento nell'art. 7 del Codice antimafia del nuovo comma 10-quinquies viene prevista la condanna del proposto al pagamento delle spese processuali nel caso di accoglimento, anche parziale, dell'atto introduttivo del procedimento. Si colma così una lacuna presente nel tessuto codicistico, che nulla dispone al riguardo, se non a proposito del giudizio di cassazione. Una disciplina analoga viene poi introdotta per il giudizio di appello dal nuovo comma 2-quater dell'art. 27.

Di indubbia utilità è la regolamentazione contenuta nei nuovi commi 10-sexies, 10-septies e 10-octies dell'art. 7 del Codice antimafia, che - recependo le indicazioni della Commissione Fiandaca e cristallizzando nel testo normativo la soluzione accolta, in via interpretativa, da una parte della giurisprudenza di merito (segnatamente, dal tribunale di Caltanissetta) sulla base della natura di sentenza attribuita dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (sent. n. 600/2009) al decreto conclusivo del procedimento di prevenzione – esplicitano come il termine di deposito dello stesso, pari ordinariamente a quindici giorni, nei casi di particolare complessità della stesura della motivazione possa essere prolungato dal collegio giudicante fino a novanta giorni, prorogabili di altri novanta giorni con provvedimento del presidente del Tribunale.

Viene così raggiunto un valido punto di equilibrio tra l'esigenza di ragionevole durata del processo e quella di evitare comportamenti che – ingenerando l'idea di una giustizia sommaria - possano creare anche solo l'apparenza di un deficit di imparzialità del giudice nel vagliare le ragioni addotte dalle parti nel corso della discussione.

Con una serie di interventi inseriti nel comma 8 dell'art. 8, nonché nei commi 2 e 3 dell'art. 10, viene esplicitata l'inclusione del difensore tra i destinatari del notifica del provvedimento applicativo della misure di prevenzione, nonché tra i titolari del diritto di proporre appello e ricorso per cassazione.

La disciplina del procedimento di prevenzione patrimoniale, dettata dall'art. 23 del Codice antimafia, viene adesso modificata, al comma 4, con la previsione – di dubbia opportunità – della necessaria citazione anche dei terzi titolari di diritti reali di garanzia sui beni in sequestro.

La disciplina della rivalutazione della pericolosità a seguito di detenzione

Con il progetto di riforma viene dettata una specifica disciplina volta a dare attuazione alla sentenza n. 291 del 6 dicembre 2013, con la quale la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 15 del Codice antimafia nella parte in cui non prevede che, nel caso in cui l'esecuzione di una misura di prevenzione personale resti sospesa a causa dello stato di detenzione per espiazione di pena del soggetto, l'organo che ha adottato il provvedimento applicativo debba valutare, anche d'ufficio, la persistenza della pericolosità sociale dell'interessato nel momento dell'esecuzione della misura.

Al riguardo, la regolamentazione contenuta nei nuovi commi 2-bis e 2-ter dell'art. 14 del Codice antimafia pone fine a una pluralità di controversie interpretative insorte nella giurisprudenza di merito, chiarendo che la verifica della persistenza della pericolosità sociale deve essere compiuta d'ufficio dal Tribunale esclusivamente nell'ipotesi in cui la detenzione per espiazione di pena si sia protratta per almeno due anni; in tal caso deve essere attivato un procedimento, da condurre secondo le forme dell'art. 7 in quanto compatibili, con la assunzione delle necessarie informazioni

presso l'amministrazione penitenziaria e l'autorità di pubblica sicurezza. Nel caso di persistenza della pericolosità sociale, il tribunale emette decreto con cui ordina l'esecuzione della misura di prevenzione, il cui termine di durata continua a decorrere dal giorno in cui il decreto stesso è comunicato all'interessato. Da tale previsione discende, quindi, implicitamente la sospensione ipso jure dell'esecuzione della misura di prevenzione nel (solo) caso in cui l'interessato sia rimasto detenuto per espiazione di pena per almeno due anni.

La nuova regolamentazione in tema di sequestro e di confisca

Mentre a proposito delle misure di prevenzione personali il testo approvato si limita a stabilire che il divieto di soggiorno può essere imposto, oltre che in determinati comuni, anche in una o più regioni (invece che province), assai più ampie sono le modifiche predisposte nel settore delle misure patrimoniali.

Tra le principali innovazioni, che offrono una valida soluzione a numerosi problemi finora emersi nella prassi applicativa, possono menzionarsi:

  • la previsione, introdotta nell'art. 20, comma 2, del Codice antimafia, secondo cui, a seguito dell'esercizio dell'azione di prevenzione, il tribunale, nel caso di incompletezza delle indagini patrimoniali, deve restituire gli atti all'organo proponente, indicando gli ulteriori accertamenti patrimoniali indispensabili per valutare la sussistenza dei presupposti previsti per il sequestro (o delle diverse misure alternative delle quali si parlerà);
  • la specifica regolamentazione del rapporto tra il sequestro (totalitario o meno) delle quote sociali e quello dei beni aziendali (art. 20 comma 1; un'analoga disciplina è prevista, in tema di confisca, dal nuovo comma 1-bis inserito nell'art. 24);
  • la rimodulazione del regime della sospensione del termine di efficacia del sequestro, i cui tempi vengono ridotti (non potendo eccedere i tre mesi) nel caso in cui nel corso del giudizio si proceda ad accertamenti peritali sui beni; al contempo, però, si estende la sospensione alle ulteriori ipotesi della ricusazione presentata dal difensore, della citazione degli eredi o aventi causa nei cui confronti prosegue il procedimento nel caso di morte del proposto, della pendenza del termine fissato dalla legge, dal collegio o dal presidente del tribunale per il deposito del decreto conclusivo del procedimento (v. il nuovo testo dell'ultimo periodo del comma 2 dell'art. 24 del Codice antimafia);
  • la previsione (contenuta nel nuovo comma 2-bis dello stesso art. 24 e ribadita nel comma 6-bis dell'art. 27, che colmano una lacuna legislativa estremamente pericolosa) della decorrenza ex novo del termine di efficacia del sequestro nel caso di annullamento, in sede di impugnazione, del decreto di confisca con rinvio al tribunale (si noti, peraltro, che una corrispondente disciplina viene predisposta per il caso di declaratoria di incompetenza mediante l'inserimento nell'art. 7 del comma 10-quater, richiamato dal comma 2-bis dell'art. 27 a proposito del giudizio di appello);
  • la modifica delle competenze per l'apprensione materiale dei beni in sequestro e l'immissione dell'amministratore giudiziario nel possesso degli stessi, che, in coerenza con le indicazioni espresse dalla Commissione Fiandaca, vengono affidate dal nuovo testo dell'art. 21, comma 1, del Codice antimafia alla polizia giudiziaria, con l'eventuale ausilio dell'ufficiale giudiziario;
  • la introduzione, negli artt. 21 e 41 del Codice antimafia, di una articolata disciplina in tema di sgombero degli immobili e liberazione delle aziende in sequestro;
  • la integrazione della regolamentazione, contenuta nell'art. 22 del Codice antimafia, della procedura di convalida, ad opera del collegio, del sequestro anticipato e di quello urgente, disposti dal presidente del tribunale, con il richiamo alle forme processuali previste dall'art. 7, accompagnato, però, dal dimezzamento dei termini ordinari di comparizione e dall'ampliamento a 30 giorni del termine per la convalida del sequestro urgente;
  • la revisione dei presupposti del sequestro e della confisca di prevenzione per equivalente, che vengono assimilati a quelli ordinariamente valevoli in materia penale, svincolandoli quindi dalla necessaria presenza dei comportamenti elusivi delle misure patrimoniali richiesti dall'attuale testo dell'art. 25 del Codice antimafia; si riconosce esplicitamente, inoltre, la operatività del sequestro e della confisca di prevenzione per equivalente nei confronti dei successori del proposto, già ammessa dalla prevalente giurisprudenza;
  • la previsione, inclusa nel nuovo testo dell'art. 27 comma 1 del Codice antimafia, dell'impugnabilità del decreto di sequestro (e del provvedimento di rigetto della relativa richiesta) davanti alla Corte di Appello, secondo le forme ordinarie previste per il decreto di confisca; si tratta di una norma di garanzia di particolare importanza, poiché consente di sottoporre la decisione cautelare che applica il vincolo sui beni (o respinge tale richiesta) ad un immediato controllo affidato, con pienezza di poteri di cognizione, ad un giudice diverso da quello che ha emesso il relativo provvedimento, così come avviene in materia penale; viene così superata la attuale inadeguata limitazione degli strumenti di reazione giuridica contro la decisione cautelare, suscettibile di formare oggetto soltanto di opposizione davanti allo stesso giudice, nelle forme dell'incidente di esecuzione, con successivo ricorso per cassazione per violazione di legge.

Il progetto di riforma, inoltre, recepisce nella disciplina della confisca di prevenzione, dettata dell'art. 24, comma 1, del Codice antimafia la regola, già enunciata dalla giurisprudenza (cfr. Cass. pen., Sez. unite, 29 maggio 2014, n. 33451), secondo cui il proposto non può giustificare la legittima provenienza dei beni adducendo che il denaro utilizzato per acquistarli sia provento o reimpiego dell'evasione fiscale. Un'analoga previsione viene, poi, inserita nel comma 1 dell'art. 12-sexies, d.l. 306/1992 conv. nella l. 356/1992, che disciplina la confisca penale “estesa”, rispetto alla quale la prevalente giurisprudenza di legittimità ha invece seguito, in epoca recente, il contrario orientamento volto a consentire al condannato di dimostrare che i beni sequestrati siano stati acquistati con il provento di attività economiche non denunciate al fisco (così da ultimo Cass. pen., Sez. II, 11 novembre n. 49498). Sotto quest'ultimo profilo, la nuova regolamentazione assume un importante valore innovativo, evitando che il regime probatorio della confisca ex art. 12-sexies cit. si traduca in un sostanziale “premio all'evasore”, posto in grado di giustificare la propria accumulazione patrimoniale mediante il ricorso a parametri che, oltre a presentare un vistoso deficit di certezza,,finiscono per privilegiare la sua posizione rispetto a quella dell'imprenditore che abbia osservato correttamente gli obblighi tributari.

Sempre nel campo delle misure patrimoniali, una modifica normativa di indubbia utilità sul piano della individualizzazione delle prescrizioni e del rafforzamento della efficacia deterrente dell'istituto è l'esplicito riconoscimento, contenuto nel nuovo testo dell'art. 31, comma 3, del Codice antimafia, dell'ammissibilità della rateizzazione del versamento della cauzione sulla base di una valutazione delle condizioni economiche del soggetto.

Il progetto di riforma si sofferma anche sulla revocazione della confisca, esplicitando che la relativa competenza spetta alla Corte di appello individuata a norma dell'art. 11 c.p.p.

Le misure di "bonifica aziendale"

Uno degli aspetti più interessanti del progetto di riforma delle misure di prevenzione patrimoniali è costituito dalla valorizzazione di strumenti di bonifica aziendale in alternativa a quelli ablatori sul versante delle strategie di intervento contro le infiltrazioni criminali nelle attività imprenditoriali. Tale disegno viene perseguito attraverso la riscrittura della disciplina, contenuta nell'art. 34 del Codice antimafia, dell'amministrazione giudiziaria dei beni connessi ad attività economiche e delle aziende, e la introduzione della nuova misura del controllo giudiziario delle aziende, prevista dal successivo art. 34-bis.

In particolare, nel testo dell'art. 34 (nonché negli artt. 20 e 24) si introducono una serie di modifiche che implicano che la misura dell'amministrazione giudiziaria dei beni connessi ad attività economiche e delle aziende:

  • possa seguire anche gli accertamenti compiuti ai sensi dell'art. 6, d.lgs. 163/2006 (Codice dei contratti pubblici) dall'Autorità nazionale anticorruzione (oltre che le ordinarie indagini patrimoniali e gli accertamenti compiuti per verificare i pericoli di infiltrazione mafiosa;
  • possa essere applicata anche su proposta del Procuratore Nazionale Antimafia e Antiterrorismo (in aggiunta alle altre autorità proponenti), ovvero d'ufficio dal tribunale qualora non si ravvisino i presupposti per il sequestro o la confisca nel corso del procedimento di prevenzione patrimoniale;
  • trovi il proprio fondamento, oltre che nelle ipotesi già indicate nella vigente formulazione dell'art. 34, anche nell'agevolazione prestata da determinate attività economiche in favore delle attività di persone sottoposte a procedimento penale per i reati contro la pubblica amministrazione elencati nell'art. 4, comma 1, lett. i-bis) del Codice antimafia o per il reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro (c.d. caporalato) di cui all'art. 603-bis c.p.;
  • abbia una durata iniziale fino ad un anno, e possa essere prorogata per un periodo comunque non superiore complessivamente a due anni, a richiesta del pubblico ministero o d'ufficio.

Si realizzerebbe così, sotto il duplice profilo sostanziale e processuale, un consistente ampliamento dell'ambito applicativo della misura, la quale, inoltre, presenterebbe una durata massima raddoppiata rispetto a quella attuale, che, appare eccessivamente ristretta per consentire una efficace una bonifica del contesto aziendale.

Nel nuovo testo dell'art. 34, inoltre, si precisano i poteri attribuiti all'amministratore giudiziario nel caso di beni, aziende e imprese societarie, si definiscono gli obblighi su di lui incombenti, si specificano dettagliatamente le modalità di esecuzione della misura, si completa la indicazione dei presupposti per il sequestro includendovi la qualificazione dei beni come frutto o impiego di attività illecite, si disciplina - anche con un rinvio alle ordinarie forme del procedimento di prevenzione in quanto compatibili - la fase in contraddittorio che deve svolgersi prima della data di scadenza dell'amministrazione giudiziaria, per decidere sulla revoca della stessa, eventualmente con contestuale applicazione del controllo giudiziario delle aziende, ovvero sulla confisca dei beni.

Infine, nell'ultimo comma dell'art. 34-bis viene stabilito che l'applicazione della misura dell'amministrazione giudiziaria dei beni connessi ad attività economiche e delle aziende sospende gli effetti dell'interdittiva antimafia eventualmente disposta con provvedimento prefettizio.

Muovendo dalle indicazioni espresse dalla Commissione Fiandaca, il progetto di riforma ha delineato nell'art. 34-bis la misura, del tutto nuova, del controllo giudiziario delle attività economiche e delle aziende, applicabile in presenza di due presupposti:

  • da un lato, risulti la occasionalità dell'agevolazione prestata dalle predette attività economiche e aziende in favore delle attività delle persone nei cui confronti è stata proposta o applicata una misura di prevenzione personale o patrimoniale,ovvero è stato instaurato un procedimento penale per associazione di tipo mafioso, reati di competenza della DDA, trasferimento fraudolento di valori, assistenza agli associati, reati contro la pubblica amministrazione sopra menzionati, caporalato, estorsione, usura, riciclaggio, impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita;
  • dall'altro lato, sussistono circostanze di fatto da cui si possa desumere il pericolo concreto di infiltrazioni mafiose idonee a condizionarne l'attività.

Secondo la disciplina prefigurata nel testo dell'art. 34-bis (nonché nelle modifiche inserite nei precedenti artt. 20, 24 e 34), il controllo giudiziariopuò essere disposto dal tribunale, anche d'ufficio, sia contestualmente alla decisione che revoca la misura dell'amministrazione giudiziaria dei beni connessi ad attività economiche e delle aziende, sia nell'ambito del procedimento di prevenzione patrimoniale, qualora non si ravvisino i presupposti per il sequestro o la confisca.

La misura, la cui durata varia da un anno a tre anni, può presentare un duplice contenuto: il Tribunale, infatti, può limitarsi a imporre all'azienda oneri comunicativi nei confronti dell'autorità giudiziaria e di polizia, oppure nominare un amministratore giudiziario che, sotto la guida del giudice delegato, attui una vigilanza prescrittiva finalizzata a munire l'attività imprenditoriale dei presidi occorrenti per tenerla indenne dal condizionamento mafioso (cfr. Visconti, op. cit.); in tal caso il tribunale stabilisce i compiti dell'amministratore giudiziario e può imporre numerosi obblighi tendenti a rendere effettivo il controllo, disponendo specifici accertamenti diretti alle necessarie verifiche (Menditto, op. cit.).

L'art. 34-bis prevede, inoltre, la possibilità che l'applicazione della misura del controllo giudiziario,con nomina di un amministratore giudiziario e "vigilanza prescrittiva", sia richiesta spontaneamente dall'impresa che sia stata destinataria di una informazione antimafia interdittiva e abbia impugnato davanti al giudice amministrativo tale provvedimento prefettizio; in tal caso gli effetti dell'interdittiva antimafia sono sospesi dal provvedimento del Tribunale della prevenzione che dispone il controllo giudiziario.

La cessazione del controllo giudiziario può avvenire per la scadenza del termine di durata della misura, oppure per decisione del tribunale che accolga, a seguito dell'udienza camerale fissata ex art. 127 c.p.p., la richiesta di revoca formulata dal titolare dell'attività economica, ovvero, infine, nel caso in cui il Tribunale disponga l'amministrazione giudiziaria dell'impresa avendo accertata la violazione di prescrizioni imposte ovvero la sussistenza dei presupposti indicati dall'art. 34 del Codice antimafia.

La suesposta regolamentazione delle due misure previste dagli artt. 34 e 34-bis è ispirata ad una logica, estremamente moderna, di recupero alla legalità delle imprese e di graduazione dell'intervento preventivo in rapporto alle diverse modalità concrete di esplicazione del rapporto tra attività economiche e ambienti criminali. Come è stato sottolineato in dottrina (Visconti, op. cit.), i due istituti in questione potrebbero conferire all'intero sistema delle misure di prevenzione patrimoniale quella flessibilità di intervento necessaria al fine di definire meglio il contrasto alle infiltrazioni mafiose nell'economia lecita nel rispetto del principio di proporzione e di minor invasività possibile nel libero esercizio dell'impresa.

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