Previsione bilaterale del fatto ed errore inevitabile in una ipotesi di maternità surrogata avvenuta all’estero

22 Aprile 2016

La sentenza della V Sezione penale della Cassazione n. 13525/2016, è di particolare interesse non tanto per la delicatezza della specifica materia trattata (la c.d. maternità surrogata avvenuta all'estero) ma perché ravviva ed alimenta la tematica dell'ignoranza inevitabile della legge penale, individuata, nella specie, come un escamotage giuridico in grado di evitare di risolvere un contrasto di orientamenti interpretativi soprattutto in materia di doppia punibilità del fatto.
Abstract

La sentenza della quinta Sezione penale della Corte di cassazione del 10 marzo 2016 (dep. 5 aprile 2016), n. 13525, è di particolare interesse non tanto per la delicatezza della specifica materia trattata (la c.d. maternità surrogata avvenuta all'estero) ma perché ravviva ed alimenta la tematica dell'ignoranza inevitabile della legge penale, individuata, nella specie, come un escamotage giuridico in grado di evitare di risolvere un contrasto di orientamenti interpretativi soprattutto in materia di doppia punibilità del fatto.

In particolare, era avvenuto che due cittadini italiani si erano recati in Ucraina, ove la surrogazione di maternità da noi vietata è invece lecita, e dopo che la madre naturale, cittadina ucraina, aveva reso la prescritta dichiarazione, il minore era stato iscritto all'ufficio dello stato civile di Kiev, ove i due italiani erano indicati come genitori. Conseguentemente, la dichiarazione di nascita era stata resa all'autorità consolare italiana.

Di qui, secondo l'impianto accusatorio, la configurabilità (in concorso) dei reati di cui agli artt. 12, comma 6, l. 40 del 2004 (c.d. maternità surrogata); 495 c.p. (falsa attestazione o dichiarazione a un pubblico ufficiale sulla identità o qualità personali proprie o di altri); 567, comma 2, c.p. (alterazione di stato); 48 e 476 c.p. (falsità materiale commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici, indotto in errore).

Si tratta, in tutti i casi, di delitti comuni commessi all'estero da cittadini italiani (per alcuni di essi, occorre la richiesta del Ministro della Giustizia, la quale è intervenuta, sia pure nella specie materialmente sottoscritta dal Sottosegretario di Stato), la cui punibilità è disciplinata dall'art. 9 del codice penale italiano.

Ed è proprio questa la tematica più interessante affrontata dalla commentata sentenza, anche perché essa si presta a riflessioni generali, che cioè prescindono dal merito della singola questione decisa.

La delicatezza della vicenda e la rilevanza delle questioni giuridiche

Occorre, infatti, non lasciarsi distrarre (nella convinzione che non possano averlo fatto i giudici della Cassazione) dalla delicatezza della vicenda, dalla valutazione soggettiva (cioè, secondo la propria, personale, sfera di valori) della legge 40 del 2004, in materia di procreazione medicalmente assistita, e persino dalla stessa sentenza della Corte costituzionale del 10 giugno 2014, n. 162 (in Gazz. uff., 18 giugno 2014, n. 26), la quale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di alcuni articoli della legge, in materia di fecondazione eterologa.

E neppure costituiscono l'aspetto più rilevante della decisione de qua le argomentazioni che concernono i vari delitti di falso contestati ai due cittadini italiani.

A mio avviso, infatti, l'aspetto centrale della sentenza della quinta Sezione penale della Corte di cassazione è rappresentato dalla circostanza che il delitto di cui all'art. 12, comma 6, della legge 40 del 2004 – che punisce (con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 600.000 a un milione di euro) la condotta di chiunque, in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità – non ha un corrispondente in Ucraina, ove la condotta, come anticipato, è invece lecita.

Ci si sarebbe, dunque, aspettati che la Cassazione affrontasse funditus la questione se, per punire secondo la legge italiana il fatto (la Cassazione, addirittura, scrive reato) commesso all'estero, sia necessario che il fatto sia previsto come reato anche nello Stato nel quale lo stesso fu commesso.

Il problema della previsione bilaterale del fatto

In effetti, la Cassazione mostra piena consapevolezza della tematica. Ma, come vedremo, decide di non decidere sul punto.

Dunque, è noto come, ai fini della concessione dell'estradizione, l'art. 13 c.p. richiede che il fatto sia preveduto come reato dalla legge italiana e dalla legge straniera; e lo stesso stabilisce la Convenzione europea di estradizione, firmata a Parigi il 13 dicembre 1957 e ratificata con l. 30 gennaio 1963, n. 300.

Tale requisito viene variamente denominato. Si parla, al riguardo, di doppia incriminazione (CARACCIOLI, p. 974 ss.; DEAN, p. 54; PAGLIARO, p. 1060), di doppia incriminabilità (ALOISI-FINI, p. 1013; PECORELLA, p. 353; CATELANI, p. 52), di doppia punibilità (PISAPIA, p. 245), di previsione bilaterale del fatto (PISA, passim; G.A. DE FRANCESCO, p. 623 ss.), di punibilità bilaterale (MARCHETTI, p. 400), di principio della identica norma (FLORIAN,p. 257) o della incriminazione simultanea (QUADRI, p. 25).

Ora, secondo un orientamento, sulla scia della stessa Relazione ministeriale sul progetto del codice penale (I, p. 36), il requisito della previsione del fatto come reato da parte della legge straniera, oltre che naturalmente della legge italiana, rileverebbe (tra l'altro) anche ai fini dell'applicazione degli artt. 9 e 10 c.p. (GRISPIGNI, p. 400; MANZINI, p. 486; M. ROMANO, p. 143. Nella sentenza in commento si cita Cass. pen., Sez. I, 17 settembre 2002 n. 38401). Altra dottrina, invece, più prudentemente, distingue le ipotesi previste negli artt. 9 e 10 c.p., ritenendo che la clausola della doppia incriminazione debba intervenire solo nel secondo caso, regolante il delitto comune dello straniero all'estero (CARACCIOLI, p. 1029; GALLO, p. 175). Quanto al fondamento, esso viene indicato ora nella disciplina della estradizione (tra gli altri, GRISPIGNI, p. 400), ora nel rispetto del principio di legalità (GALLO, op. loc. cit.; CARACCIOLI, op. loc. cit.; MANZINI, op. loc. cit.).

Altro e opposto orientamento, invece, sottolinea come proprio la espressa previsione del criterio in esame nella sola materia, anche "topograficamente" vicina, della estradizione, conduca a ritenere che non si sia voluto, per ragioni politiche (o che non si sia riusciti a), inserire il requisito della duplice incriminazione anche nel differente settore della punibilità dei delitti commessi all'estero e comunque che il principio di legalità, come positivamente predeterminato nel nostro ordinamento, si riferisce pacificamente alla sola legge italiana (PAGLIARO, p. 1059; MANTOVANI, p. 902. Nella sentenza della Cassazione si richiama Cass. pen., Sez. II, 6 dicembre 1991, n. 2860). Naturalmente, tale soluzione è valida ed operante per il sistema attualmente vigente; de iure condendo, invece, l'estensione del principio della doppia incriminazione, soprattutto per i reati meno gravi tra quelli cui si estende la punibilità ove commessi all'estero, e nei confronti di soggetti i quali non siano ordinariamente tenuti a conoscere e rispettare la legge italiana (penso agli stranieri, ma anche ai numerosissimi nostri connazionali i quali, pur avendo conservato la cittadinanza originaria, vivono ormai da decenni in terra straniera), non sarebbe fuori luogo (amplius, B. ROMANO, 138 ss.).

Alla luce di quanto precede, ove la Cassazione avesse seguito il primo dei due richiamati indirizzi, la questione sarebbe stata risolta alla radice, almeno per quel che attiene al delitto di cui all'art. 12, comma 6, della legge 40 del 2004. Ma così non è stato.

La conoscibilità della legge italiana in materia di procreazione medicalmente assistita

In linea generale, la Cassazione avrebbe anche potuto effettuare una ulteriore riflessione, con riguardo al problema della conoscibilità della legge penale italiana da parte di colui il quale agisce all'estero.

Ed infatti, già nelle disposizioni codicistiche attualmente vigenti (gli artt. 7-10 c.p.), per la punibilità di un delitto commesso all'estero occorre che esso sia di particolare gravità e rientri fra quelli astrattamente previsti negli articoli citati: dunque, dal punto di vista della legge italiana, si opera un restringimento dell'area del penalmente rilevante. A ciò si aggiunga che, anche a proposito dei reati commessi in territorio italiano, mentre è difficilmente credibile che vi sia una ignoranza inevitabile nei confronti della commissione di un c.d. delitto naturale, il problema rileva in presenza dei c.d. delitti artificiali, cioè di pura creazione legislativa.

In secondo luogo, si sarebbe potuta porre l'esigenza di una differenziazione di "criminalizzazione" nei confronti del cittadino e dello straniero (o del cittadino da tempo residente all'estero), che ben può passare attraverso una sorta di inversione dell'onere della prova a favore del secondo soggetto.

Dunque, in casi limite, la liceità della condotta realizzata all'estero potrebbe produrre un errore (inevitabile) sulla legge penale italiana.

Nella specifica vicenda protagonista della decisione della suprema Corte, tuttavia, proprio la circostanza che i due italiani si siano recati all'estero per effettuare una procedura di maternità surrogata, da noi penalmente rilevante, lascia pensare che gli stessi conoscessero benissimo la legge penale italiana, almeno quella in materia di procreazione medicalmente assistita.

L'ignoranza inevitabile sull'applicabilità della legge penale italiana per effetto del contrasto interpretativo in materia

E qui vi è, a mio avviso, un vero e proprio colpo di teatro da parte della Cassazione: l'errore investirebbe non la singola norma incriminatrice ma la portata applicativa del richiamato art. 9 del codice penale.

In altri termini, proprio il richiamato contrasto di orientamenti interpretativi esistente in materia, lungi dall'essere risolto dalla stessa Cassazione con una decisione in bonam partem, con l'adesione alla tesi della necessaria doppia punibilità del fatto, darebbe luogo ad un errore inevitabile da parte dei cittadini italiani.

Al riguardo, la Corte richiama non solo la fondamentale sentenza della Corte cost. n. 364 del 1988 ma anche l'ormai notissima sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo Contrada c. Italia, 14 aprile 2015, 78, n. 66655/13, la quale – oltre al preminente profilo della irretroattività della norma penale (e della sua stessa interpretazione) – si spinge a richiedere una conoscibilità della legge penale.

Ma qui, in realtà, non è in discussione la conoscibilità della legge penale italiana, bensì la sua applicabilità a fatti commessi all'estero, peraltro non negata sempre ed in assoluto ma solo da un indirizzo giurisprudenziale e dottrinale al quale – lo si ripete – la corte di Cassazione avrebbe potuto certamente aderire o, se avesse avuto dubbi, avrebbe potuto (e, forse, dovuto) investire le Sezioni unite della medesima Corte.

In conclusione

Benché mossa da comprensibili "ragioni umanitarie", la sentenza della quinta Sezione penale rischia di essere fuorviante, se non addirittura pilatesca.

Il pericolo è quello di una vera e propria interpretatio abrogans degli artt. 9 e 10 del codice penale, peraltro senza neppure prendere una motivata posizione sulla loro reale sfera applicativa.

Ma, soprattutto, il rischio è quello di consentire, in tutti i casi ritenuti meritevoli di "tutela", una sentenza assolutoria per inevitabilità dell'errore, ove vi sia (e dove non sussiste?) un contrasto interpretativo in materia.

Forse si è andati troppo oltre e ho l'impressione che si tenda ad una giustizia equitativa del caso singolo, piuttosto che verso una generalizzata ed auspicata prevedibilità delle decisioni giurisprudenziali.

Guida all'approfondimento

Sulla previsione bilaterale del fatto:

ALOISI - FINI, Estradizione, in Noviss. dig. it., vol. VI, Torino, 1968, p. 1007;

CARACCIOLI, L'incriminazione da parte dello stato straniero dei delitti commessi all'estero e il principio di stretta legalità, in Riv. it. dir. proc. pen., 1962, p. 973;

CATELANI, I rapporti internazionali in materia penale, Milano, 1995;

DEAN, Norma penale e territorio. Gli elementi di territorialità in relazione alla struttura del reato, Milano, 1963;

DE FRANCESCO, Il concetto di «fatto» nella previsione bilaterale e nel principio del «ne bis in idem» in materia di estradizione, in Indice pen., 1981, p. 623;

FLORIAN, Parte generale del diritto penale, vol. I, in Trattato di dir. pen., coordinato da E. Florian, 4ª ed., Milano, 1934;

GALLO, Appunti di dir. pen., vol. I, La legge penale, Torino, 1999;

GRISPIGNI, Diritto penale italiano, vol. I, 2ª ed., Milano, 1947;

MANTOVANI, Dir. pen., pt. g., 6ª ed., Padova, 2009;

MANZINI, Trattato di diritto penale italiano, 5ª ed. aggiornata da P. Nuvolone e G.D. Pisapia, vol. I, Torino, 1981;

MARCHETTI, Estradizione, in Dig. disc. pen., vol. IV, Torino, 1990, p. 390;

PAGLIARO, Legge penale nello spazio, in Enc. dir., vol. XXIII, Milano, 1973, p. 1054;

PECORELLA, I presupposti della estradizione, Aspetti sostanziali e processuali, in Riv. dir. matr., 1968, p. 352;

PISA, Previsione bilaterale del fatto, Milano, 1973;

PISAPIA, I problemi attuali dell'estradizione, in Riv. dir. matr., 1968, p. 243;

QUADRI, Estradizione (diritto internazionale), in Enc. dir., vol. XVI, Milano, 1967, p. 1;

ROMANO M., Commentario sistematico del codice penale, 3ª ed., Milano, 2004;

ROMANO B., Il rapporto di norme penali. Intertemporalità, spazialità, coesistenza, Milano, 1996.

Sulla sentenza della Corte cost. n. 364 del 1988, tra gli altri:

FIANDACA, Principio di colpevolezza ed ignoranza scusabile della legge penale: "prima lettura" della sentenza n. 364/88, in Foro it., 1988, I, c. 1385;

FLORA, La difficile penetrazione del principio di colpevolezza: riflessioni per l'anniversario della sentenza costituzionale sull'art. 5 c.p., in Giur. it., 1989, IV, c. 337;

GUARDATA, L'ignoranza della legge penale dopo l'intervento della Corte Costituzionale: prime impressioni, in Cass. pen., 1988, p. 1152;

PADOVANI, L'ignoranza inevitabile sulla legge penale e la declaratoria d'incostituzionalità parziale dell'art. 5 c.p., in Indice pen., 1988, 449;

PALAZZO, Ignorantia legis: vecchi limiti ed orizzonti nuovi della colpevolezza, in Riv. it. dir. proc. pen., 1988, p. 920;

PULITANÒ, Una sentenza storica che restaura il principio di colpevolezza, in Riv. it. dir. proc. pen., 1988, p. 686;

STORTONI, L'introduzione nel sistema penale dell'errore scusabile, in Riv. it. dir. proc. pen., 1988, p. 1313;

VASSALLI, L'inevitabilità dell'ignoranza della legge penale come causa generale di esclusione della colpevolezza, in Giur. cost., 1988, II, p. 3 ss.

Sulla sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo Contrada c. Italia, 14/04/2015, 78, n. 66655/13:

MARINO, La presunta violazione da parte dell'Italia del principio di legalità ex art. 7 CEDU: un discutibile approccio ermeneutico o un problema reale?, in Dir. pen. cont. 3 luglio 2015.

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