Lo scorrere del tempo non incide sulle fattispecie più gravi. Imprescrittibile l'omicidio volontario aggravato ante Cirielli

Angelo Valerio Lanna
15 Giugno 2016

Dirimendo un aspro contrasto giurisprudenziale, le Sezioni unite stabiliscono l'indifferenza dello scorrere del tempo, in relazione alle fattispecie delittuose per le quali è astrattamente prevista la pena dell'ergastolo. Queste dunque – laddove perpetrate in epoca antecedente rispetto all'entrata in vigore della l. 5 dicembre 2005, n. 251 – devono ritenersi comunque sempre imprescrittibili.
Massima

Dirimendo un aspro contrasto giurisprudenziale, le Sezioni unite stabiliscono l'indifferenza dello scorrere del tempo, in relazione alle fattispecie delittuose per le quali è astrattamente prevista la pena dell'ergastolo. Queste dunque – laddove perpetrate in epoca antecedente rispetto all'entrata in vigore della l. 5 dicembre 2005, n. 251 – devono ritenersi comunque sempre imprescrittibili. Conclusione alla quale deve giungersi anche laddove – nella concreta applicazione – ricorrano circostanze attenuanti, dalle quali possa discendere l'applicazione di pena detentiva solo temporanea, ossia della reclusione e non più dell'ergastolo.

Il caso

Si procedeva nei confronti di un soggetto condannato alla pena di anni sei di reclusione, inflitta a titolo di continuazione rispetto ad altro delitto giudicato con sentenza ormai passata in cosa giudicata. A tale sanzione, i giudici di merito erano pervenuti in relazione ad una pluralità di episodi di concorso in omicidio tentato e consumato, aggravati perché commessi con premeditazione; la pena finale era stata irrogata, poi, all'esito del riconoscimento della circostanza attenuante della collaborazione ex art. 8 d.l. 13 maggio 1991, n. 152. Infine, i vari fatti omicidiari si collocavano tutti nell'arco temporale intercorrente fra il 23 dicembre 1987 ed il 24 giugno 1988.

Il motivo di ricorso prospettato dalla difesa concerneva quindi la pretesa estinzione, per maturata prescrizione, dei delitti di sangue accertati; si sosteneva in particolare che l'omicidio premeditato – punito in astratto con la pena detentiva perpetua – una volta ritenuta la sussistenza dell'attenuante ad effetto speciale della collaborazione ed essendo stato commesso in epoca antecedente alla novella della l. 5 dicembre 2005, n. 251, dovesse essere ritenuto ormai coperto da prescrizione.

La questione

È noto come l'art. 157, comma 8, c.p. abbia normativamente cristallizzato, ormai, il principio della imprescrittibilità di tutti quei reati in relazione ai quali la legge preveda la pena dell'ergastolo, anche come effetto dell'applicazione di circostanze aggravanti.

Nella vicenda processuale, però, si trattava come detto di fatti commessi prima dell'anno 2005. Nel meccanismo della successione di leggi penali nel tempo, avrebbe dunque dovuto trovare applicazione retroattiva la lex mitior, che sul punto specifico era la norma previgente. E l'applicazione dell'art. 157 c.p. – nella veste precedente rispetto all'intervento della Cirielli – avrebbe comportato il consolidarsi del termine prescrizionale: risultava infatti ormai pacificamente scaduto il termine massimo di anni ventidue e mesi sei.

Questa dunque, in chiave di estrema sintesi, la quaestio iuris sottoposta allo scrutinio della Corte: se le fattispecie astrattamente punite con l'ergastolo (nel caso di specie, l'omicidio volontario aggravato), commesse prima dell'intervento della Cirielli ed in concreto poi punite – per effetto del riconoscimento di circostanze attenuanti – con pena detentiva temporanea, possano esser soggette a prescrizione.

Le soluzioni giuridiche

Il contrasto teorico ed applicativo emerso nella giurisprudenza di legittimità è dunque sinteticamente così descrivibile.

Stando al primo orientamento, l'art. 157, comma 8, c.p. svolgerebbe la mera funzione di positivizzare un principio di diritto già esistente nell'ordinamento e ricavabile – pur se mediante argomentazione a contrario – dalla preesistente formulazione dell'istituto della prescrizione. Questa faceva infatti riferimento soltanto ai reati punibili con pena pecuniaria e/o con pena detentiva temporanea; in diretta derivazione logica da tale dettato normativo, sarebbero state quindi già escluse – dall'ambito della categoria dei reati soggetti a possibile estinzione per prescrizione – tutte quelle ipotesi di reato sanzionate con la pena detentiva perpetua.

Tale iter esegetico porta a ritenere i reati riconducibili entro tale tipologia, comunque, mai assoggettabili a prescrizione; a prescindere insomma dalla data di commissione degli stessi e pertanto, pur se essi risultino perpetrati prima della novella del 2005. In questo quadro interpretativo, in sostanza, la Cirielli altro non sarebbe, se non una norma di interpretazione autentica (questa è la soluzione sposata – ex plurimis – da Cass. pen., Sez. I, n. 11047/2013 e da Cass. pen., Sez. I, n. 41964/2009).

Il secondo orientamento emerso tra i giudici di legittimità ritiene invece l'operatività dell'istituto della prescrizione, anche in ordine alle fattispecie astrattamente punite con la pena detentiva perpetua; ciò in presenza di un tempus commissi delicti antecedente rispetto alla novella del 2005 e nel caso in cui tali reati vengano poi concretamente sanzionati con pena temporanea. L'architrave di tale differente posizione si fonda sulla massima valorizzazione della pena ritenuta in concreto irrogabile dal giudice, nonché sul computo delle circostanze attenuanti effettivamente riconosciute e sulla valenza del correlato giudizio di bilanciamento.

In tema di prescrizione, quindi, si dovrebbe far riferimento non alla pena edittale dell'ergastolo – che è prevista in relazione all'omicidio aggravato e ad altre efferate ipotesi criminose – ma all'entità della pena detentiva temporanea inflitta. Pena concreta scaturente dal giudizio di bilanciamento fra circostanze, che permetteva al giudice – nel sistema antecedente alla Cirielli – di conformare e modulare l'effettività della prescrizione. Corollario di tale criterio, come naturale, è poi l'applicazione del principio della retroattività della legge più favorevole, a norma dell'art. 2 c.p. (questa è la soluzione adottata, fra molte, da Cass. pen., Sez. I, n. 32781/2014 e da Cass. pen., Sez. I, n. 35407/2014).

Osservazioni

La imprescrittibilità di tutti i delitti puniti in astratto con l'ergastolo, sebbene poi, in concreto, sanzionati con pena perpetua, rappresenta un dato come detto ormai tipizzato nella lettera dell'art. 157, comma 8, c.p. Secondo le Sezioni unite, però, tale principio era in verità ricavabile induttivamente già dal precedente dettato della medesima norma. Era infatti lì contenuta la disciplina di cornice della prescrizione ma esclusivamente in riferimento alle pene pecuniarie ed alle pene detentive temporanee; non vi era, al contrario, alcuna disposizione concernente le fattispecie sanzionate con l'ergastolo.

Secondo il supremo Collegio si desume dunque, attraverso la attenta lettura della norma previgente e mediante il raffronto con la veste attualmente assunta dalla stessa, l'esistenza di una classe di delitti – appunto, quelli astrattamente sanzionati con pena perpetua – che sono normativamente sempre salvi dalla forza deleteria dello scorrere del tempo e quindi dall'effetto demolitivo espletato della prescrizione. La Corte individua insomma una intera categoria di fattispecie incriminatrici che – sulla base della mera linea di discrimine rappresentata dalla astratta comminatoria dell'ergastolo – non sono state mai soggette alla causa estintiva della prescrizione, in quanto indifferenti alla quantificazione finale della pena ritenuta dal giudice. Fatti reato mai passibili di estinzione per prescrizione, dunque, indipendentemente sia dall'intervento di forme di manifestazione atte ad attenuare l'asprezza sanzionatoria, sia dall'epoca di commissione (in quanto collocabile prima della succitata novella).

Si tratta di una soluzione anzitutto collimante – con precisione millimetrica – con il dato testuale ricavabile dalla norma previgente. Laddove in effetti si trova sempre, esclusivamente, il richiamo a pene pecuniarie o detentive temporanee; non vi è invece alcun riferimento al meccanismo estintivo della pena perpetua. Sintomo inequivocabilmente evocativo di una volontà legislativa ben definita, tesa proprio a delimitare una classe di reati sempre imprescrittibili.

Ma la scelta operata dalle Sezioni unite pare vieppiù ineccepibile, laddove si passi ad allargare il campo dell'analisi ad aspetti di tenore più squisitamente dogmatico; di coerenza sistematica; di tenuta logica, rispetto alla ratio dell'istituto della prescrizione.

Non vi è chi non rilevi, infatti, come l'esistenza stessa dell'istituto della prescrizione – pacificamente ormai ritenuto di natura sostanziale e non processuale – si fondi su una variegata congerie di considerazioni, che ad un tempo sono di tenore ideologico, pratico-applicativo e finalistico. Si menziona infatti sempre, nell'esame della figura giuridica, il tema della sicura riduzione dell'interesse dell'ordinamento, rispetto all'inflizione di punizioni afferenti a crimini commessi in tempi ormai trascorsi; fatti quindi che – pur conservando intonsa la loro antigiuridicità intrinseca – possano ormai apparire evanescenti nella memoria storica collettiva.

Vi è poi chi richiama anche il carattere, per così dire, utilitaristico dell'istituto. Non solo dunque il tempo annulla l'interesse dell'ordinamento ad accertare i fatti e ad irrogare la pena; lo scorrere del tempo rende anche inevitabilmente farraginose le attività istruttorie, rende fumoso il ricordo dei testi, disperde le tracce, immuta irreversibilmente luoghi e cose.

Per altri interpreti, infine, il vano fluire del tempo – fino ad un limite massimo anticipatamente valutato come insuperabile, ad opera del legislatore – condurrebbe a rendere ormai sconsigliabile l'esercizio stesso della potestà sanzionatoria (ad opera di un ordinamento restato inerte per un lasso di tempo troppo dilatato).

La soluzione scelta dalle Sezioni unite si colloca evidentemente proprio nella linea di pensiero che considera prioritaria (oltre che ora legislativamente tipizzata) l'individuazione di una intera categoria di ipotesi criminose, che sono espressione di una enorme lesività. Fattispecie in relazione alle quali il legislatore ha sempre ritenuto – a ragione – ininfluente lo scorrere del tempo. Trattasi di fatti connotati da una tale intima attitudine antigiuridica, da una tale connaturata ed ineliminabile offensività, che il tempo non può – in ordine agli stessi – svolgere la funzione di affievolire il ricordo, di elidere la gravità, di diminuire l'eco e cancellare l'interesse collettivo alla punizione dei responsabili.

Essendo queste le coordinate teoriche della materia, sembra coerente considerare l'art. 157, comma 8, c.p. come la mera espressione di un principio di diritto sempre esistito; sebbene poi ricavabile solo deduttivamente e in via indiretta dal testo previgente dell'articolo stesso.

Qualche ultima considerazione può forse essere utile. Soprattutto ora che la tanto agognata riforma della prescrizione pare giungere in dirittura d'arrivo (certo, a nessuno è ancora dato sapere quali potranno mai essere i frutti di una tanto lunga riflessione!).

La Corte ha comunque qui esaltato la notevole valenza attribuita dal legislatore – prima e dopo la riforma del 2005 – alla considerazione astratta e prestabilita della gravità di alcune forme di crimine. Una rilevanza che ha natura oggettiva e che, come tale, è destinata a rimanere impermeabile, rispetto al trascorrere del tempo. Le linee teoriche della figura in esame (che sarebbe forse opportuno non dimenticare, allorquando ci si accingerà finalmente ad operare delle trasformazioni), sembrerebbero insomma nettamente delineate. Almeno per ciò che attiene alle fattispecie di maggior caratura delinquenziale.

E dunque. Massima valorizzazione del profilo della gravità in astratto della fattispecie; netta distinzione degli aspetti che attengono solo al diverso campo della dosimetria sanzionatoria, rispetto al profilo dell'individuazione del tempo predeterminato, necessario al consolidarsi della causa estintiva in esame.

E in tempi di (probabile) revisione dell'istituto nel suo complesso, non è escluso che il Legislatore possa mostrarsi propenso ad un radicale ripensamento, anche in ordine alle varie forme di incongrua soggettivizzazione della prescrizione, che oggi complicano l'operatività dell'istituto. È infatti noto come si siano da tempo levate voci critiche rispetto all'attuale disciplina, in ordine anche alle certosine differenziazioni del termine complessivo necessario per il consolidarsi della prescrizione, legato oggi allo status di recidivo del soggetto agente. E si è da più parti rimarcata l'improprietà logica di una presunzione di maggior potenzialità offensiva, che è correlata non al fatto oggettivamente e preventivamente considerato, bensì a presunzioni di tipo personologico.

Forse questa decisione delle Sezioni unite – con il forte richiamo al profilo di rilevanza normativa della sanzione astrattamente applicabile al reato, potrà favorire anche la riflessione sul punto specifico.

Circa gli ulteriori nervi scoperti dell'attuale formulazione dell'istituto (la durata, anzitutto; e poi l'individuazione del momento di decorrenza iniziale; infine l'eventuale blocco al momento dell'esercizio dell'azione penale, o almeno alla pronuncia della sentenza in primo grado), il dibattito come noto prosegue serrato.

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