Le norme italiane sulla prescrizione nei casi di frode Iva sono incompatibili con il diritto comunitario

Sergio Beltrani
15 Settembre 2015

Il giudice italiano deve disapplicare la normativa interna in tema di prescrizione nel caso in cui essa, stabilendo un termine complessivo troppo breve, impedisca che i reati di frode grave in materia Iva siano sanzionati in modo effettivo e dissuasivo.
Il caso

Nell'ambito di un procedimento penale a carico di soggetti imputati di costituzione ed organizzazione di un'associazione per delinquere finalizzata alla commissione di una serie di frodi fiscali (del tipo delle cc.dd. frodi carosello) effettuate nel campo del commercio di champagne, oltre che dei relativi reati-fine (gli imputati erano accusati, in particolare, di aver rilasciato, nell'ambito di un'associazione per delinquere, tramite l'impiego di fatture per operazioni inesistenti, dichiarazioni Iva fraudolente, lucrando vari milioni di euro), il tribunale di Cuneo, con ordinanza 17 gennaio 2014, aveva operato un rinvio pregiudiziale, interpellando la Corte di Giustizia Ue in merito all'interpretazione degli artt. 101, 107, 119, 325 T.F.U.E. e dell'art. 158 direttiva 2006/112/CE del Consiglio del 28 novembre 2006 (in relazione agli artt. 157 ss. c.p.), con riguardo alle seguenti questioni:

a) se, modificando con l. 251/2005 l'art. 160, ultimo comma, c.p. – nella parte in cui contempla un prolungamento del termine di prescrizione di appena un quarto a seguito di interruzione e quindi consentendo la prescrizione dei reati nonostante il tempestivo esercizio dell'azione penale, con conseguente impunità – sia stata infranta la norma a tutela della concorrenza contenuta nell'art. 101 del T.F.U.E.;

b) se, modificando con l. 251/2005 l'art. 160, ultimo comma, c.p. – nella parte in cui contempla un prolungamento del termine di prescrizione di appena un quarto a seguito di interruzione e quindi privando di conseguenze penali i reati commessi da operatori economici senza scrupoli – lo Stato italiano abbia introdotto una forma di aiuto vietata dall'art. 107 del T.F.U.E.;

c) se, modificando con l. 251/2005 l'art. 160, ultimo comma, c.p. — nella parte in cui contempla un prolungamento del termine di prescrizione di appena un quarto a seguito di interruzione e quindi creando un'ipotesi di impunità per coloro che strumentalizzano la direttiva comunitaria – lo Stato italiano abbia indebitamente aggiunto un'esenzione ulteriore rispetto a quelle tassativamente contemplate dall'art. 158 della direttiva 2006/112/CE del Consiglio del 28 novembre 2006;

d) se, modificando con l. 251/2005 l'art. 160, ultimo comma, c.p. – nella parte in cui contempla un prolungamento del termine di prescrizione di appena un quarto a seguito di interruzione e quindi rinunciando a punire condotte che privano lo Stato delle risorse necessarie anche a far fronte agli obblighi verso l'Unione europea – sia stato violato il principio di finanze sane fissato dall'art. 119 del T.F.U.E.

La questione

L'esigenza del rinvio nasceva dal fatto che parte dei reati contestati era già estinta per prescrizione ed altra parte avrebbe subito la stessa sorte entro l'8 febbraio 2018, data entro la quale il tribunale prevedeva (invero opinabilmente, mancando ancora oltre quattro anni, oltre eventuali sospensioni) l'impossibilità di addivenire alla sentenza definitiva.

Le soluzioni giuridiche

La Corte di Giustizia Ue ha affermato che:

1) “una normativa nazionale in materia di prescrizione del reato come quella stabilita dal combinato disposto dell'articolo 160, ultimo comma, del codice penale, come modificato dalla legge 5 dicembre 2005, n. 251, e dell'articolo 161 di tale codice – normativa che prevedeva, all'epoca dei fatti di cui al procedimento principale, che l'atto interruttivo verificatosi nell'ambito di procedimenti penali riguardanti frodi gravi in materia di imposta sul valore aggiunto comportasse il prolungamento del termine di prescrizione di solo un quarto della sua durata iniziale – è idonea a pregiudicare gli obblighi imposti agli Stati membri dall'articolo 325, paragrafi 1 e 2, T.F.U.E. nell'ipotesi in cui detta normativa nazionale impedisca di infliggere sanzioni effettive e dissuasive in un numero considerevole di casi di frode grave che ledono gli interessi finanziari dell'Unione europea, o in cui preveda, per i casi di frode che ledono gli interessi finanziari dello Stato membro interessato, termini di prescrizione più lunghi di quelli previsti per i casi di frode che ledono gli interessi finanziari dell'Unione europea, circostanze che spetta al giudice nazionale verificare. Il giudice nazionale è tenuto a dare piena efficacia all'articolo 325, paragrafi 1 e 2, T.F.U.E. disapplicando, all'occorrenza, le disposizioni nazionali che abbiano per effetto di impedire allo Stato membro interessato di rispettare gli obblighi impostigli dall'articolo 325, paragrafi 1 e 2, T.F.U.E.”;

2) “un regime della prescrizione applicabile a reati commessi in materia di imposta sul valore aggiunto, come quello previsto dal combinato disposto dell'articolo 160, ultimo comma, del codice penale, come modificato dalla legge 5 dicembre 2005, n. 251, e dell'articolo 161 di tale codice, non può essere valutato alla luce degli articoli 101 T.F.U.E., 107 T.F.U.E. e 119 T.F.U.E.”.

In sintesi: il giudice italiano deve disapplicare la normativa interna in tema di prescrizione nel caso in cui essa, stabilendo un termine complessivo troppo breve, impedisca che i reati di frode grave in materia Iva siano sanzionati in modo effettivo e dissuasivo.

LE MOTIVAZIONI

La Corte di Giustizia Ue ha sottolineato che, ai sensi dell'art. 325 T.F.U.E., l'Unione e gli Stati membri devono combattere contro la frode e le altre attività illegali che ledono gli interessi finanziari dell'Unione stessa mediante misure che siano dissuasive e tali da permettere una protezione efficace negli Stati membri e nelle istituzioni, organi e organismi dell'Unione; e gli Stati membri, per combattere contro la frode che lede gli interessi finanziari dell'Unione, devono adottare le stesse misure che adottano per combattere contro la frode che lede i loro interessi finanziari.

D'altro canto, le risorse finanziarie proprie dell'Unione europea comprendono le entrate provenienti dall'applicazione di un'aliquota uniforme agli imponibili Iva armonizzati determinati secondo regole dell'Unione: sussiste, pertanto, un nesso diretto tra la riscossione del gettito dell'Iva nell'osservanza del diritto dell'Ue e la messa a disposizione del bilancio dell'Ue delle corrispondenti risorse Iva, dal momento che qualsiasi lacuna nella riscossione del primo determina potenzialmente una riduzione delle seconde.

Di qui la estrema rilevanza della questione per gli interessi della Ue.

LE VALUTAZIONI DEMANDATE AL GIUDICE INTERNO

La Corte ha, inoltre, osservato che "Qualora il giudice nazionale dovesse concludere che dall'applicazione delle disposizioni nazionali in materia di interruzione della prescrizione consegue, in un numero considerevole di casi, l'impunità penale a fronte di fatti costitutivi di una frode grave, perché tali fatti risulteranno generalmente prescritti prima che la sanzione penale prevista dalla legge possa essere inflitta con decisione giudiziaria definitiva, si dovrebbe constatare che le misure previste dal diritto nazionale per combattere contro la frode e le altre attività illegali che ledono gli interessi finanziari dell'Unione non possono essere considerate effettive e dissuasive, il che sarebbe in contrasto con l'articolo 325, paragrafo 1, T.F.U.E., con l'articolo 2, paragrafo 1, della Convenzione Pif nonché con la direttiva 2006/112, in combinato disposto con l'articolo 4, paragrafo 3, TUE".

Al giudice nazionale è stato demandato di verificare anche "se le disposizioni nazionali di cui trattasi si applichino ai casi di frode in materia di Iva allo stesso modo che ai casi di frode lesivi dei soli interessi finanziari della Repubblica italiana, come richiesto dall'articolo 325, paragrafo 2, T.F.U.E. Ciò non avverrebbe, in particolare, se l'articolo 161, secondo comma, del codice penale stabilisse termini di prescrizione più lunghi per fatti, di natura e gravità comparabili, che ledano gli interessi finanziari della Repubblica italiana".

Osservazioni

Quanto alle possibili conseguenze di un'eventuale incompatibilità delle disposizioni nazionali di cui trattasi con il diritto dell'Unione europea, la Corte di Giustizia Ue ha osservato che, “Qualora il giudice nazionale giungesse alla conclusione che le disposizioni nazionali di cui trattasi non soddisfano gli obblighi del diritto dell'Unione relativi al carattere effettivo e dissuasivo delle misure di lotta contro le frodi all'Iva, detto giudice sarebbe tenuto a garantire la piena efficacia del diritto dell'Unione disapplicando, all'occorrenza, tali disposizioni […], senza che debba chiedere o attendere la previa rimozione di dette disposizioni in via legislativa o mediante qualsiasi altro procedimento costituzionale […]”.

Per effetto di tale valutazione, potrebbe verificarsi il caso che i reati ascritti agli interessati, in ipotesi prossimi ad estinguersi per prescrizione in virtù della normativa interna, tali non risultino a seguito della disapplicazione di essa: gli imputati potrebbero, pertanto, ritrovarsi assoggettati a sanzioni penali dalle quali, in ossequio alla normativa interna disapplicata, avrebbero potuto sottrarsi.

Nel caso di specie, tuttavia, secondo la Corte di Giustizia Ue, non può trovare applicazione l'art. 49 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, richiamato da molti degli interessati, il quale sancisce che nessuno può essere condannato per un'azione o un'omissione che, al momento in cui è stata commessa, non costituiva reato secondo il diritto interno o il diritto internazionale: “con riserva di verifica da parte del giudice nazionale, la disapplicazione delle disposizioni nazionali di cui trattasi avrebbe soltanto per effetto di non abbreviare il termine di prescrizione generale nell'ambito di un procedimento penale pendente, di consentire un effettivo perseguimento dei fatti incriminati nonché di assicurare, all'occorrenza, la parità di trattamento tra le sanzioni volte a tutelare, rispettivamente, gli interessi finanziari dell'Unione e quelli della Repubblica italiana”.

La disapplicazione delle disposizioni nazionali in tema di prescrizione non violerebbe, pertanto, i diritti degli imputati garantiti dall'articolo 49 della Carta: “Infatti, non ne deriverebbe affatto una condanna degli imputati per un'azione o un'omissione che, al momento in cui è stata commessa, non costituiva un reato punito dal diritto nazionale […], né l'applicazione di una sanzione che, allo stesso momento, non era prevista da tale diritto. Al contrario, i fatti contestati agli imputati nel procedimento principale integravano, alla data della loro commissione, gli stessi reati ed erano passibili delle stesse sanzioni penali attualmente previste”.

D'altro canto, la stessa giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo relativa all'articolo 7 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, che sancisce diritti corrispondenti a quelli garantiti dall'articolo 49 della Carta, avvalora, secondo la Corte di Giustizia UE, tale conclusione: "Secondo tale giurisprudenza, infatti, la proroga del termine di prescrizione e la sua immediata applicazione non comportano una lesione dei diritti garantiti dall'articolo 7 della suddetta Convenzione, dato che tale disposizione non può essere interpretata nel senso che osta a un allungamento dei termini di prescrizione quando i fatti addebitati non si siano ancora prescritti" (v., in tal senso, fra le tante, Corte Edu, sentenze Coëme e a. c. Belgio, nn. 32492/96, 32547/96, 32548/96, 33209/96 e 33210/96; Scoppola c. Italia - n. 2 - del 17 settembre 2009, n. 10249/03, § 110 e giurisprudenza ivi citata).

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