L'elemento soggettivo delle contravvenzioni edilizie: gli effetti dell'ignoranza sulla normativa di settore

15 Settembre 2017

La questione involge il tema della rilevanza (ovvero irrilevanza) scusante sul piano soggettivo nel caso in cui la condotta accertata sia riconducibile al rispetto ed all'ottemperanza del contenuto di una circolare amministrativa. La Suprema Corte, in particolare, ha censurato la ricostruzione e l'impostazione del giudice di merito, osservando, ...
Massima

In tema di reati antisismici, la contravvenzione di cui agli artt. 93 e 95 del d.P.R. 380 del 2001 è applicabile a tutte le opere realizzate in zona sismica, indipendentemente dalla funzione statica dalle stesse svolte; né può rilevare un'eventuale buona fede dell'imputato per essersi uniformato ad una circolare amministrativa, occorrendo la dimostrazione che questi versasse in una situazione di errore scusabile, tenuto conto del consolidato indirizzo interpretativo della giurisprudenza di legittimità in materia di obblighi di informazione sulla normativa settoriale

In tema di elemento psicologico nei reati edilizi, l'ignoranza da parte dell'agente sulla normativa di settore e sull'illiceità della propria condotta è idonea ad escludere la sussistenza della colpa, se indotta da un fattore positivo esterno ricollegabile ad un comportamento della pubblica amministrazione. La cosiddetta buona fede è configurabile ove la mancata coscienza dell'illiceità del fatto derivi non dall'ignoranza dalla legge, ma da un elemento positivo e cioè da una circostanza che induce nella convinzione della sua liceità, come un provvedimento dell'autorità amministrativa, una precedente giurisprudenza assolutoria o contraddittoria, una equivoca formulazione del testo della norma

Il condominio

Il giudice di primo grado, con sentenza del 4 luglio 2016 aveva assolto gli imputati in relazione alle contravvenzioni di cui agli artt. 71, 93 e 95 d.P.R. n. 380/2001, con la formula perchè il fatto non costituisce reato.

Gli imputati erano tre: il committente; l'esecutore; il direttore dei lavori.

La contestazione consisteva nell'avere eseguito opere in conglomerato cementizio armato - consistenti in un muro di confine, in piloni di sostegno del cancello, in un muretto di recinzione su strada - in violazione dell'art. 64, commi 2, 3 e 4, nonchè nell'avere omesso di presentare allo Sportello unico per l'edilizia la denuncia delle predette opere strutturali prima del loro inizio.

La pronuncia di primo grado considerava provata la realizzazione delle opere in contestazione.

L'istruttoria dibattimentale aveva altresì dimostrato che i manufatti, costruiti in cemento armato, non erano destinati ad assolvere alcuna funzione statica e che, per tale motivo, gli imputati avevano ritenuto di non dovere presentare preventivamente la denuncia prevista dal d.P.R. 380 del 2001, art. 65, per le opere in conglomerato cementizio armato, che l'art. 53, comma 1 considera come tali, appunto, solo quando assolvano ad una funzione statica.

Sulla base della riportata interpretazione della normativa di riferimento, avallata dalla circolare del Ministero dei lavori pubblici 14 febbraio 1974, n. 11951, il Giudice di primo grado ha ritenuto che gli imputati si fossero consapevolmente determinati a non presentare la denuncia in questione, incorrendo in un errore scusabile, siccome indotto da una normativa suscettibile di differenti opzioni esegetiche e non potendo attribuirsi rilievo dirimente al contrario indirizzo della giurisprudenza di legittimità, che gli imputati non sarebbero stati tenuti a conoscere.

Contro la sentenza proponeva ricorso per Cassazione il Procuratore della Repubblica, deducendo, con un unico motivo di impugnazione ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), l'inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione alla sola contravvenzione di cui al d.P.R. 380 del 2001, artt. 93 e 95, contestata al capo b).

Il ricorso si fonda sul presupposto che tale figura di reato sia applicabile a tutte le opere realizzate in zona sismica, indipendentemente dalla funzione statica dalle stesse svolte.

Sotto altro aspetto, il ricorrente riteneva non dimostrato che gli imputati versassero, nella specie, in una situazione di errore scusabile, anche tenuto conto del consolidato indirizzo interpretativo della giurisprudenza di legittimità in materia di obblighi di informazione sulla normativa settoriale.

La sentenza in commento ha accolto il ricorso, in particolare osservando, da un lato, come sotto il profilo dell'elemento oggettivo, la sentenza si mostrasse gravemente carente, essendosi la stessa soffermata unicamente sulle caratteristiche dell'opera in rapporto alla sua funzione statica ed ai conseguente obbligo di denuncia, senza affrontare il concorrente profilo della sismicità dell'area interessata dall'intervento, la quale avrebbe, dunque, imposto di ottemperare agli obblighi comunicativi. Di particolare interesse le osservazioni svolte dalla Suprema Corte avuto riguardo alla possibile rilevanza scusante di un errore di diritto in ossequio alle scansioni argomentative della sentenza della Corte costituzionale 364/1988 in tema di ignorantia legit non excusat.

La questione

La questione involge il tema della rilevanza (ovvero irrilevanza) scusante sul piano soggettivo nel caso in cui la condotta accertata sia riconducibile al rispetto ed all'ottemperanza del contenuto di una circolare amministrativa.

La Suprema Corte, in particolare, nel summenzionato caso in cui il tribunale aveva assolto per mancanza dell'elemento psicologico, la committente, l'esecutore e il direttore dei lavori, dall'imputazione in esame, ha censurato la ricostruzione e l'impostazione del giudice di merito, osservando, con particolare rigore, come, quand'anche avallata dalla circolare del Ministero dei lavori pubblici 14 febbraio 1974, n. 11951, gli imputati non potevano sostenere di essere incorsi in un errore scusabile.

E dunque, quali sono le condizioni di rilevanza scusante rispetto al contenuto di una provvedimento della P.A.?

Le soluzioni giuridiche

\Nel rispondere a quest'ultimo quesito, osserva la sentenza in commento che per una consolidata produzione giurisdizionale, sulla scia della celebre sentenza 364/1988 della Corte costituzionale, nelle fattispecie contravvenzionali «la buona fede può acquistare rilevanza giuridica solo a condizione che essa si traduca nella mancanza di consapevolezza dell'illiceità del fatto e che derivi da un elemento positivo estraneo all'agente, consistente in una circostanza che induca alla convinzione della liceità del comportamento tenuto, la prova della sussistenza del quale deve essere fornita dall'imputato, unitamente alla dimostrazione di avere compiuto tutto quanto poteva per osservare la norma violata (Cass. pen., Sez. III, n. 35314 del 23 agosto 2016, P.M. in proc. O.)».

Tutto questo sul presupposto che gli inderogabili doveri di solidarietà sociale stabiliti dall'art. 2 Cost. impongono al destinatario di una determinata normativa di adempiere a rigorosi oneri informativi, i quali richiedono che, prima di porre in essere l'attività disciplinata da specifiche disposizioni, egli si impegni per comprendere con certezza se lo svolgimento di una attività è lecito ovvero quali sono le specifiche modalità per rendere lecita la sua esecuzione.

Concludono quindi i Supremi Giudici che, se per un verso non può in assoluto escludersi che la presenza di determinate circolari amministrative possa contribuire a delineare un quadro regolativo confuso e scarsamente idoneo a orientare il comportamento dei consociati (rientrando, l'ipotesi delle circolari, tra gli esempi offerti dalla citata sentenza 364/1988 per configurare una situazione di scarsa perspicuità dell'assetto normativo, tale eventualmente determinare un errore scusabile), deve nondimeno rilevarsi che, nel caso di specie, «le circolari invocate riguardavano tutt'altro oggetto rispetto alla problematica che viene, qui, in rilievo, ovvero l'obbligatorietà della preventiva denuncia di opere in cemento armato inidonee ad assolvere una funzione statica e non, come invece sarebbe stato necessario, l'obbligatorietà della comunicazione connessa alla sismicità dell'area interessata dall'intervento edificatorio».

In definitiva, si doveva escludere qualunque rilevanza, sotto il profilo scusante, dei profili contenutistici della circolare in questione e, conseguentemente, risulta irrilevante sotto il profilo soggettivo il convincimento maturato dagli imputati sulla base dei contenuti della circolare, con conseguente annullamento della sentenza per nuovo esame su tale punto di fatto.

Osservazioni

Sono di particolare rilevanza alcuni aspetti sottesi al ragionamento della decisione in esame, chiamata a pronunciarsi sul dibattuto tema della buona fede nelle contravvenzioni edilizie e, quindi, a dare lo spunto per qualche osservazione di carattere generale sul tema.

Ed invero, è noto che trattandosi di reati contravvenzionali, secondo i principi generali dettati dall'art. 43 c.p. la responsabilità per tali reati può essere ascritta anche a mero titolo colposo. In tempi più recenti, infatti, l'orientamento tradizionale, che riteneva necessario sussistesse in capo all'agente il dolo, è stato superato in talune occasioni dalla Corte a sezioni semplici: «la contravvenzione di lottizzazione abusiva, sia negoziale sia materiale, ben può essere commessa per colpa; non è ravvisabile, infatti, alcuna eccezione al principio generale stabilito per le contravvenzioni dall'art. 42, comma 4, c.p., dovendo ovviamente valutarsi i casi di errore scusabile sulle norme integratrici del precetto penale e quelli in cui possa trovare applicazione l'art. 5 c.p. secondo l'interpretazione fornita dalla pronuncia n. 364/1988 della Corte costituzionale» (Cass. pen., Sez. III, 22 aprile 2010, n. 34882).

In relazione alla rilevanza, ai fini dell'esclusione della colpevolezza, dell'errore sulle norme legislative, regolamentari e amministrative alla base dell'attività del governo del territorio, la soluzione è differente a seconda che si considerino integratrici o meno del tipo legale.

Se si considerano disposizioni integratrici della norma incriminatrice si configurerà un'ipotesi di errore di diritto: alla luce dell'interpretazione dell'art. 5 c.p., fornita dalla Corte costituzionale nella sent. n. 364/1988, in questo caso l'errore sarebbe scusabile solo se inevitabile. In relazione alla fattispecie incriminatrice dell'art. 44, comma 2, lett. a) T.U. edilizia, la Suprema Corte a Sezioni unite (Cass. pen., Sez. Un., 10 giugno 1994, Calzetta, in Foro it., 1995, II, 154) ha affermato che la convinzione circa l'assenza di un vincolo di edificabilità, convinzione derivata da reiterati provvedimenti del giudice amministrativo, da atti ufficiali del Ministero dei beni culturali e ambientali e del Comune interessato, è rilevante ai fini della scusabilità dell'errore in quanto l'inevitabilità può essere causata da un comportamento positivo della p.a. o da un pacifico orientamento giurisprudenziale.

In relazione all'errore quale causa di esclusione dell'elemento soggettivo dei reati edilizi, la giurisprudenza ha affermato che la buona fede, secondo l'interpretazione fornita dalla pronuncia n. 364/1988 dellaCorte costituzionale, può avere efficacia scusante solo nel caso in cui l'imputato, per esempio, convinto da un terzo estraneo della liceità del comportamento tenuto, dimostri di «aver compiuto tutto quanto poteva per osservare la norma violata» (Cass. pen., Sez. III, 11 ottobre 2012, R.).

Aderendo, invece, alla tesi opposta, l'errore sulla legge extrapenale rappresenta un'ipotesi di errore sugli elementi di fatto della fattispecie che, ai sensi dell'art. 47 comma 3 c.p., esclude il dolo. Se l'errore è stato determinato da colpa, tuttavia, essendo ammissibile anche la commissione in forma colposa della contravvenzione edilizie sussisterà comunque la responsabilità penale del soggetto agente.

Ciò posto, è possibile osservare che una piena valorizzazione del principio costituzionale di colpevolezza conduce ad affermare che non può essere ritenuto responsabile nemmeno a titolo di colpa il soggetto che ha posto in essere la condotta oggettivamente tipica confidando nell'operato di un terzo, in particolare, come nella specie, della Pubblica Amministrazione. In tal caso, invero, la cd. teoria della buona fede introduce una sorta di “limite tacito” all'operatività dell'art. 5 c.p., che può acquistare rilevanza giuridica a condizione che sussista un elemento positivo estraneo all'agente il quale sia tale da indurre, in una dimensione di concreta dimensione psicologica, la convinzione della liceità del comportamento tenuto, con conseguente deficit di consapevolezza dell'illiceità del fatto.

Esigenze di prevenzione generale impongono, naturalmente, una correlazione tra la condotta oggettivamente illecita posta in essere ed i contenuti concreti del provvedimento amministrativo che hanno indotto la buona fede, nel senso che tra i due elementi vi deve essere una specifica correlazione causale e non potendosi addurre a scusa un qualsiasi provvedimento della P.A.

Guida all'approfondimento

A. FIALE, E. FIALE, Diritto Urbanistico, Napoli, 2016;

PELISSERO (a cura di), Reati contro l'ambiente e il territorio, PALAZZO- PALIERO (a cura di), Trattato teorico pratico di diritto penale, Torino, 2013;

RAMACCI, I reati edilizi: disciplina, sanzioni, casistica, Milano, 2010;

BUZZEGOLI, SCARCELLA, La tutela penale del territorio e del paesaggio. Condono edilizio ed ambientale, Milano, 2009;

TANDA, I Reati urbanistico edilizi, Padova, 2016.

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