I mezzi di ricerca delle prove: la perquisizione

Gian Luca Giovannini
15 Dicembre 2015

Tra i doveri tipici della polizia giudiziaria ex art. 55 c.p.p. c'è l'attività di assicurazione delle fonti di prova. Affinché qualunque fonte di prova possa essere assicurata per la prosecuzione delle indagini e per gli esiti dibattimentali deve essere “cercata”. Tale attività penetrativa posta in essere dalla polizia giudiziaria prende il nome di perquisizione.
Abstract

Tra i doveri tipici della polizia giudiziaria ex art. 55 c.p.p. c'è l'attività di assicurazione delle fonti di prova. Affinché qualunque fonte di prova possa essere assicurata per la prosecuzione delle indagini e per gli esiti dibattimentali essa deve essere cercata. Tale attività penetrativa posta in essere dalla polizia giudiziaria prende il nome di perquisizione. Già dalla parola stessa se ne desume il fine ultimo che è quello della ricerca per l'acquisizione della presunta fonte di prova. Da ciò l'enorme differenza delle perquisizioni con le ispezioni, anche queste finalizzate al buon esito delle indagini preliminari ma con un compito diverso rispetto alle prime: quello di evidenziare e non acquisire le tracce e gli elementi affini all'attività di reato. Viene da se che dopo un'ispezione raramente potrà seguire un sequestro al contrario della perquisizione che vede in tale ultima attività la formalizzazione giuridica del suo fine ultimo.

Uno sguardo di massima

La perquisizione è fondamentale non solo per soddisfare l'esigenza probatoria (ricerca ed acquisizione della fonte di prova) ma anche per limitare la libertà personale di un soggetto indagato o imputato che sia stato raggiunto da una misura cautelare personale detentiva o di un soggetto condannato in caso di esecuzione da parte della polizia giudiziaria di un ordine di carcerazione.

La titolarità del diritto della limitazione della libertà personale nei confronti di chiunque spetta esclusivamente all'autorità giudiziaria così come fermamente espresso nell'art. 13 della Carta costituzionale. Sia la libertà personale che domiciliare sono, di principio, inviolabili tranne nei casi e nei modi stabiliti dalla legge.

Le attività di ricerca e di acquisizione possono essere effettuate dalla polizia giudiziaria su delega da parte dell'autorità giudiziaria o su iniziativa della prima.

In ottemperanza al dettato costituzionale, viene da se che nel primo caso la garanzia delle suddette attività è in re ipsa avendo la polizia giudiziaria esclusivamente un ruolo esecutivo. Nel secondo caso, invece, tale garanzia viene effettuata ex post grazie alla necessaria trasmissione all'A.G. competente sia del verbale di perquisizione che di eventuale sequestro in previsione di una loro convalida da parte del P.M.

La legge stabilisce i tempi (quando), i modi (come) ed i requisiti (elementi necessari) in conformità dei quali la polizia giudiziaria può procedere d'iniziativa ad una perquisizione personale, locale o veicolare.

Infatti l'ordinarietà vuole che la polizia giudiziaria esegua delle perquisizioni in esecuzione di un decreto all'uopo emanato dal pubblico ministero (art. 247 c.p.p.). Quest'ultimo però non può essere sempre presente e soprattutto non potrà mai essere tempestivamente attivo su ogni scena del crimine. Per tale motivo la legge consente, in casi eccezionali (vedi infra), alla polizia giudiziaria (sia ufficiali che agenti) di procedere all'attività di perquisizione e relativo sequestro, anche d'iniziativa (artt. 352 e 354 c.p.p.). In quest'ultimo caso mancando l'emissione di un decreto preventivo, al pubblico ministero spetterà il potere di convalidare quanto posto in essere dalla P.G. laddove ne ricorrano i requisiti previsti.

Se da una parte la polizia giudiziaria deve porre in essere i suoi doveri però, dall'altro lato la legge deve tutelare anche il soggetto perquisito che si troverà fortemente limitato nella sua libertà di movimento e disponibilità dei propri beni. Anche costui gode di saldi diritti come quello di farsi assistere, sia in caso di perquisizione personale che locale, da una persona di fiducia (artt. 249 e 250 c.p.p.) che potrà essere anche il proprio difensore il quale, dal canto suo, ha il diritto di essere informato ma non preavvisato stante il carattere a sorpresa della perquisizione. Inoltre al soggetto perquisito va sempre rivolto, prima di dare avvio alla perquisizione, l'invito a consegnare agli operatori di P.G. la cosa che si sta ricercando (art. 248 c.p.p.).

L'attività di perquisizione e dell'eventuale sequestro devono essere formalizzate in un apposito verbale ad opera della polizia giudiziaria operante. Tale verbale, come già accennato, sarà immediatamente posto a disposizione del pubblico ministero per la convalida, laddove si è proceduto d'iniziativa, o per reso conto a quest'ultimo in caso di decreto di perquisizione. In entrambe i casi, però, visto che il verbale sta a documentare un atto cosiddetto irripetibile transiterà nel fascicolo del dibattimento.

In particolare: perquisizione personale, locale, d'iniziativa e delegata nel codice di rito

Le perquisizioni ed i sequestri vengono definiti dal codice di rito mezzi di ricerca della prova.

Come già accennato la finalità della perquisizione è di ricerca della res (corpo del reato o di pertinenza allo stesso), mentre quella del sequestro è di apprensione ed assicurazione della medesima. Tale distinzione è fondamentale per la giurisprudenza che già più volte ne ha sottolineato le rispettive autonomie.

Tutto ciò determina quindi un'enorme differenza tra perquisibilità e sequestrabilità a tal punto che eventuali vizi della prima non inficiano per contaminazione la validità e l'efficacia della seconda (Cass. pen., Sez. un. 16-maggio 1996, n. 5021 e Cass. pen., Sez. II, 30 gennaio 2006, n.3626).

In linea di massima si possono dividere le perquisizioni in base al luogo oggetto dell'attenzione della polizia giudiziaria (personale o locale) o all'essenza delle stesse (se siano d'iniziativa o su delega del P.M.). Quest'ultime due caratteristiche possono essere comuni ad entrambe le prime due.

Perquisizione personale. Con tale attività la polizia giudiziaria ricerca, sul corpo di una persona o sugli oggetti che essa indossa o porta con se, il corpo del reato o le cose pertinenti al reato che si sospettano essere ivi occultate. Anche in questo tipo di perquisizione, come in quella locale, l'attività di ricerca può essere sia manuale che semplicemente oculare e può essere anche effettuata con l'ausilio di mezzi meccanici. Un caso particolare da sottolineare è la perquisizione personale eseguita con l'ausilio di personale medico all'uopo nominato ausiliario di P.G., diretta alla ricerca del corpo del reato all'interno della persona (all'interno del proprio corpo). Si pensi, ad esempio alle radiografie fatte nei confronti di un indagato per constatare la presenza di ovuli di sostanze stupefacenti all'interno del suo tubo digerente. Tale attività, più volte confusa con l'ispezione, è invece una vera e propria perquisizione essendo la finalità dell'operatore di P.G. non già solamente quello di evidenziare tracce di reato ma di individuare il corpo del reato per acquisirlo (sequestro). Tale tipo di perquisizione, come le altre d'altronde, può essere posta in essere prescindendo dal consenso del soggetto perquisito. Addirittura in questo caso la Polizia Giudiziaria non procederebbe solamente nel pieno campo d'azione “dell'esercizio di un dovere”, ma anche nella necessità di preservare la salute del soggetto perquisito dal rischio di lesione o morte in ragione dell'occultamento nel proprio corpo di oggetti o sostanze che possono procuragli danni irreparabili.

Legittimati ad effettuare delle perquisizioni personali sono, tranne nei casi di necessità ed urgenza, solamente gli ufficiali di polizia giudiziaria. Se si sta cercando una cosa determinata, come sopra accennato, la polizia giudiziaria può chiedere a colui che è oggetto di perquisizione di consegnarla. Se ciò dovesse accadere, in teoria, la perquisizione non dovrebbe avere più seguito ma, laddove gli operatori di P.G. lo dovessero ritenere necessario, è possibile procedere comunque alla stessa. In questo ultimo caso, però, nel verbale però devono essere indicati precisamente i motivi che hanno indotto gli operatori a continuare l'attività di ricerca (art. 248 c.p.p.).

Come si è già accennato l'interessato è avvisato della facoltà di farsi assistere da una persona di fiducia purché sia (art. 249, comma 1, c.p.p.) prontamente reperibile e idonea (per idoneità si intende alla posizione processuale di testimone); tale persona non deve essere necessariamente il difensore che, dal canto suo ha la facoltà assistere all'atto senza il diritto di essere preventivamente avvisato (art. 356 c.p.p.).

L'atto della perquisizione è documentato tramite un verbale che, in teoria, dovrebbe essere redatto contestualmente a meno che non ricorrano delle esigenze di differibilità che devono essere comunque indicate nel corpo del verbale stesso (art. 357, comma 3, ed art. 373, comma 4, c.p.p.).

Tale atto, trasmesso entro le 48 ore successive al P.M. del luogo dove è avvenuta la perquisizione o a quello che l'ha delegata, sarà conservato nel fascicolo del pubblico ministero e stante la sua irripetibilità ha una utilizzabilità piena sia nel dibattimento che fuori dallo stesso.

Perquisizione locale. Con tale attività la polizia giudiziaria ricerca il corpo del reato o delle cose pertinenti al reato all'interno di determinati luoghi sia immobili che mobili (camper, autoveicoli, ecc. …); non solo, ma la ricerca nei suddetti luoghi può essere anche finalizzata alla cattura di un evaso, di un condannato in esecuzione di un ordine di carcerazione o di un indagato raggiunto da una misura cautelare, personale/detentiva, o precautelare (arresto in flagranza/fermo di indiziato di delitto).

La perquisizione locale non è consentita:

  • nelle sedi degli agenti diplomatici presso lo Stato italiano o presso il Vaticano;
  • negli immobili di culto prima di darne avviso all'Autorità religiosa competente e fatti salvi i casi di eccezionale urgenza;
  • negli immobili militari, prima di darne avviso al relativo Comandante;
  • negli immobili di proprietà del Vaticano;
  • negli uffici pubblici prima di darne avviso al responsabile dello stesso;
  • presso gli istituti di credito (art. 248, comma 2, c.p.p.). In questo caso però si procede a perquisizione laddove vi sia il rifiuto ad esaminare presso gli istituti di credito atti, documenti o corrispondenza che si ritengono utili per rintracciare le cose da sottoporre a sequestro;
  • presso gli uffici dei difensori dell'indagato/imputato. Sono consentite solo nei casi e nei modi di cui all'art. 103 c.p.p.. Le particolari garanzie previste dal suddetto articolo del codice di rito devono essere rispettate ogni qual volta la perquisizione debba essere effettuata nell'ufficio di un professionista iscritto all'albo forense e non, quindi soltanto quando l'atto interessi un professionista che svolge il suo mandato difensivo nel procedimento a cui l'atto si riferisce. Tale interpretazione, più garantista dell'articolo 103 c.p.p., è volta a tutelare la segretezza della documentazione del difensore che si riferisca sia a processi attuali che passati nei cui confronti perquisizioni indiscriminate potrebbero violarne la segretezza (Cass. pen., Sez. un. 14 gennaio 1994, n. 25).

Per quanto attiene agli organi competenti, alle modalità esecutive ed alla documentazione della perquisizione locale, si rimanda a quanto descritto per quella personale.

Perquisizione d'iniziativa o delegata. Come sopra accennato una perquisizione locale ovvero personale può essere posta in essere dalla Polizia Giudiziaria d'iniziativa o su delega dell'autorità giudiziaria.

Si deve ragionare in termini analitici; il nostro ordinamento giuridico prevede che la base del diritto a perquisire spetti squisitamente all'autorità giudiziaria e che quindi la perquisizione di principio sia quella delegata. Questo lo si evince dal combinato disposto tra gli artt. della Carta Costituzionale inerenti ai principi fondamentali (art. 13 e ss. Cost.), l'art. 247 c.p.p., l'art. 352 del medesimo codice di rito e le norme di legge inerenti alla perquisizione in materia di armi, droga, terrorismo, criminalità organizzata ecc... che addirittura citano un dettato alquanto fumoso delle cosiddette operazioni di Polizia (v. infra).

Infatti si potrà notare che la possibilità di procedere “propria volontà” da parte della P.G. ad una qualsiasi perquisizione è strettamente connessa a dei requisiti temporali (quando?), soggettivi (chi procede?) ed oggettivi (nei confronti di chi ed alla ricerca di che cosa?). In particolare la polizia giudiziaria per procedere ad una perquisizione personale o locale d'iniziativa deve contemporaneamente trovarsi ad agire in una situazione di urgenza (anche presunta ma sempre descritta e motivata nel relativo verbale) connessa alla:

  • flagranza di un reato (art. 382 c.p.p.);
  • ricerca di un evaso;
  • necessità di procedere ad un fermo di indiziato di delitto (art. 384 c.p.p.) o all'esecuzione di un'ordinanza di custodia cautelare (artt. 284-286 c.p.p.) o di un ordine di carcerazione (art. 656 c.p.p.). In questi due ultimi casi, però, la perquisizione d'iniziativa è consentita solamente se l'ordinanza o l'ordine di carcerazione riguardano uno dei delitti per i quali è previsto l'arresto obbligatorio in flagranza.

Come poco fa accennato, oltre al codice di rito, anche alcune leggi speciali disciplinano l'ipotesi di perquisizione d'iniziativa da parte della Polizia Giudiziaria laddove debba procedere nelle cosiddette operazioni di Polizia. Tale termine, utilizzato dal legislatore nell'articolo 4 legge 152/1975 (Disposizioni a tutela dell'Ordine Pubblico), deve essere considerato in senso ampio, cioè comprendente ogni attività peculiare della Polizia Giudiziaria effettuata nell'ambito di specifiche attribuzioni della stessa che non richiede una preventiva organizzazione né l'espletamento di attività coordinate e complesse per il raggiungimento di un determinato scopo preventivamente individuato, ben potendo coincidere con l'ordinaria attività di istituto (Cass. pen., Sez. III 19 novembre 2013. n. 46233). Con tale principio di diritto, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso di un uomo condannato per aver emesso fatture per operazioni inesistenti, al fine di evadere Iva e Irpef non accogliendo la doglianza del ricorrente che riteneva le prove non utilizzabili in quanto raccolte durante una perquisizione nell'auto effettuata ai sensi dell'art. 4, legge 152/1975 (ricerca di armi o cosiddetta perquisizione sul posto). È questo il classico caso di perquisizione che nasce per un motivo (armi, droga, ecc…) e termina con il sequestro di un altro corpo di reato del tutto avulso al motivo principale (si richiama la già citata differenza tra perquisibilità e sequestrabilità). Secondo la Suprema Corte la perquisizione è stata giustamente ritenuta legittima dai giudici del merito in quanto, come emerge dalla sentenza impugnata, l'atto è stato eseguito in occasione di un controllo stradale sui mezzi in transito predisposto dalla Polizia di Stato, dando atto a verbale che l'indagato mostrava indecisione alla vista dell'auto della polizia, una volta fermato risultava privo di patente di guida e di altri documenti di identità e, ad un controllo nella banca dati, risultava gravato da numerosi precedenti di polizia, cosicché non vi era oggettivamente il tempo di ottenere il decreto di perquisizione dall'Autorità Giudiziaria per accertare l'eventuale possesso di armi, esplosivi o strumenti di effrazione come richiesto dalla norma (da qui i fondati motivi per procede d'iniziativa e d'urgenza alla perquisizione ex art. 4 della legge 152/1975).

La Corte ha poi aggiunto che, altresì, non rileva la circostanza che, nell'ambito di tale attività la polizia giudiziaria abbia rinvenuto le fatture poi sequestrate, non potendo certo ignorare fatti aventi rilevanza penale occasionalmente accertati nell'ambito di attività di iniziativa o delegata finalizzata, come nella fattispecie, ad altri scopi (si ricordi che tra gli obblighi della polizia giudiziaria c'è quello di assicurare le fonti di prova).

Come già detto però, nonostante gli ampi margini d'azione per gli operatori di P.G., la perquisizione “classica” è quella delegata (artt. 247-252 c.p.p.), cioè quella che nasce da un input (decreto) dell'Autorità Giudiziaria (P.M.) che ritiene opportuno ricercare il corpo del reato o le cose pertinenti a quest'ultimo in determinati luoghi o su alcune persone. Anche per questa forma di perquisizione sono gli ufficiali di polizia giudiziaria ad essere delegati (anche se poi nella realtà nel relativo verbale possono figurare come operatori anche gli agenti di polizia giudiziaria). come già accennato anche la perquisizione delegata (locale o personale che sia) deve svolgersi nel rispetto della persona e delle cose, il perquisito deve essere avvisato della possibilità di farsi assistere da una persona di fiducia purché sia prontamente reperibile ed idonea, il proprio difensore ha il diritto di essere informato ma non preavvisato, se si sta cercano una cosa in particolare ne può essere richiesta la consegna brevi manu ed in tal caso la perquisizione (a meno che la P.G. non lo ritenga ancora necessario) non avrà più luogo ed in ultimo, ma solo per la perquisizione locale (domiciliare), non può essere posta in essere (tranne in casi eccezionali autorizzati nel decreto che la dispone) in orari successivi alle 20.00 e precedenti alle 07.00 (art. 251 c.p.p.)

La perquisizione ed il dibattimento

Fondamento del processo accusatorio è la prova; questa può essere incorporata in persone, cose, luoghi ed eventi dai quali essa stessa viene ricavata e che dunque si appalesano come fonti della prova. A tal uopo quindi occorre un'attività di ricerca diretta ad individuare queste ultime dalle quali si potrà evincere la prova.

I mezzi di ricerca delle prove sono tutte quelle attività dirette che la polizia giudiziaria (d'iniziativa o su delega) porrà in essere nella fase delle indagini preliminari volte ad assicurare le fonti di prova. Proprio per la caratteristica di essere atti “a sorpresa” questi si configurano come atti ab origine non ripetibili transitando quindi direttamente nel fascicolo del giudice dibattimentale (art. 431 c.p.p.). Come più volte accennato la perquisizione (d'iniziativa o delegata) ed il successivo eventuale sequestro sono mezzi tipici di ricerca delle prove. Fine ultimo della perquisizione è la ricerca del corpo del reato o delle cose pertinenti al reato cioè quelle sulle quali o a mezzo delle quali fu commesso il reato e quelle che ne costituiscono il profitto, il prezzo o il prodotto. Nella fase dibattimentale tutto ciò che è presente nel fascicolo del giudice deve prendere forma seguendo i principi dell'oralità e della parità del confronto tra tutte le parti processuali. Viene dunque da se che tutto ciò che è stato descritto dagli operatori di polizia giudiziaria nel verbale di perquisizione deve essere ripetuto nel processo attraverso il mezzo di prova della testimonianza.

In conclusione

Con l'attività di perquisizione, sebbene non sembri, si penetra in profondità della privacy delle persone. Vengono aperti cassetti, armadi, contenitori, vengono tolti gli indumenti di dosso ai soggetti perquisiti che vengono anche “palepggiati” dalle mani degli operatori di polizia giudiziaria. Una vera “violenza”! Ecco perché la legge è molto attenta ad allargare tale potere all'iniziativa della polizia giudiziaria alla quale garantisce tale decisionalità solamente in forma residuale con successiva convalida di ciò che ha posto in essere. Ma la legge nasce dalle esigenze dei consociati; se da una parte deve garantire la libertà di tutti, dall'altra deve garantirne la sicurezza. Infatti, come sempre, il mondo del diritto subisce delle interpretazioni giurisprudenziali talvolta anche fortemente in contrasto tra loro su un medesimo argomento. Tale elemento di incongruenza è dovuto anche al momento storico in cui una determinata circostanza viene analizzata; maggiore sarà l'allarme sociale e la smania di sicurezza della società minore sarà la legittimazione delle garanzie nei confronti di chi sarà oggetto di controlli di polizia o di attenzione dell'autorità giudiziaria e viceversa. Purtroppo, come spesso accade e come spesso ci viene reso palese dai mass media, tali due situazioni contrapposte non hanno una separazione netta e precisa, ma una fase di transizione. È proprio nella fase di transizione che avvengono le maggiori incongruenze, cioè situazioni di eccessiva garanzia nei confronti di soggetti palesemente criminali oppure paradossali capi d'imputazione nei confronti di soggetti non affatto tali. Ma “per fortuna” l'attività di perquisizione, anche se assimilabile ad una vera e propria violenza fisica da parte di chi ne è oggetto, non è l'atto peggiore che taluno potrebbe subire “ingiustamente”.

Guida all'approfondimento

CURTOTTI D.-SARAVO L., Manuale delle investigazioni sulla scena del crimine-Norme, tecniche e scienza, Torino, 2013.

D'AMBROSIO L-VIGNA P.L., La pratica di Polizia Giudiziaria, Padova, 1998.

IZZO F., Manuale di Diritto Processuale Penale, XXII Edizione, Napoli, 2015

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario