Alterazione di stato mediante falsa attestazione. Incostituzionale per eccesso la previsione sanzionatoria dell'art. 567, comma 2, c.p.

15 Dicembre 2016

L'art. 567, comma 2, c.p., è costituzionalmente illegittimo nella parte in cui ...
Massima

L'art. 567, comma 2, c.p., è costituzionalmente illegittimo nella parte in cui prevede la pena edittale della reclusione da un minimo di cinque ad un massimo di quindici anni, anziché la pena edittale della reclusione da un minimo di tre a un massimo di quindici anni.

Il caso

La questione è stata sollevata da giudice remittente nell'ambito di un processo penale a carico di due imputati, accusati del delitto di cui all'art. 567, comma 2, c.p. per aver alterato lo stato civile di una neonata, attestando falsamente che era nata dalla unione naturale dei dichiaranti.

La questione

Con la decisione in commento la Corte costituzionale interviene sull'art. 567, comma 2, c.p. per dichiararne l'illegittimità con riguardo alla previsione sanzionatoria, giudicata troppo severa rispetto all'effettivo disvalore della condotta (anche con riferimento all'apparato normativo posto a tutela dello “stato di famiglia”) – così da porsi in contrasto con il principio di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost., e con il principio di cui all'art. 27 Cost, quanto al profilo della finalizzazione rieducativa della pena, che, ove sproporzionata, impedirebbe all'imputato di comprendere il disvalore del proprio comportamento.

Quali gli argomenti posti dal giudice remittente a fondamento della richiesta di pronuncia di illegittimità da parte della Consulta? In estrema sintesi: la pena prevista per il reato di alterazione di stato mediante falsa attestazione sarebbe eccessiva rispetto alla gravità oggettiva della condotta, in quanto, soprattutto con riferimento al minimo edittale, non consentirebbe di adeguare la sanzione al caso concreto, laddove, in particolare, la condotta fosse compiuta nell'interesse del neonato, cui l'agente intende attribuire dei legami familiari. Il trattamento sanzionatorio sarebbe, ad avviso del giudice a quo, altresì sproporzionato rispetto ad altre previsione concernenti comportamenti illeciti della medesima indole, contenuti nel capo concernente i “delitti contro lo stato di famiglia”.

A supporto di queste affermazioni, l'attuale possibilità di accertare l'effettiva paternità e maternità attraverso le indagini sul DNA - da iscriversi nell'ambito di una riforma della disciplina civilistica che ha interessato la materia della “filiazione” e l'utilizzo della “prove tecniche”- che varrebbero a ridimensionare la funzione dell'atto di nascita ai fini dell'accertamento della discendenza naturale del neonato e, dunque, anche la gravità ed il disvalore della condotta descritta dall'art. 567 c.p.v. c.p.

Le soluzioni giuridiche

Come risponde la Consulta alle questioni sollevate dal giudice remittente? Innanzitutto negando significatività all'argomento dell'attuale facilità di accesso ad indagini genetiche ed a quello, connesso, delle recenti riforme nella materia del diritto di famiglia. Con riguardo al primo profilo osserva infatti come il più agevole accertamento della paternità e maternità naturale, grazie all'accesso all'esame del DNA, non incidano, nel senso della sua attenuazione, sul disvalore della condotta, dal momento che la vittima dell'eventuale reato di alterazione di stato potrebbe non avere mai l'occasione di nutrire un dubbio sulle proprie origini, così da far ricorso ad indagini genetiche. Così anche con riguardo alla riforma del diritto di famiglia, ed, in particolare alla materia della prova del rapporto di filiazione, cui la corte nega la capacità di incidere sul disvalore della condotta di cui all'art. 567 c.p.v c.p.

Altri sono invece gli argomenti che la Corte pone a supporto dell'affermazione d'incostituzionalità della norma in commento per la manifesta sproporzione della cornice edittale censurata alla luce del reale disvalore della condotta punita.

Il richiamo è dapprima all'art. 3 Cost., che, imponendo l'esigenza di proporzione della pena rispetto al disvalore del fatto illecito commesso, consentirebbe al sistema sanzionatorio di adempiere sia alla funzione di difesa sociale che a quello di tutela della posizioni individuali: la tutela del principio di proporzionalità nel diritto penale – si afferma - determina l'esclusione della legittimità di incriminazioni che, benché idonee alle finalità di prevenzione, producono, con la pena, danni, sia all'individuo che alla società, sproporzionatamente maggiori dei vantaggi che l'ordinamento si propone di ottenere per la tutela dei beni di cui esse sono state poste a presidio (nello stesso senso, la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, che, all'art. 49, n. 3, afferma la necessità che le pene inflitte non siano sproporzionate rispetto al reato).

Con riguardo al parametro offerto dall'art. 27 Cost, si prosegue sottolineando come la finalità rieducativa della pena imponga la necessità del rispetto del principio di proporzione tra sanzione ed offesa, osservando come, diversamente, nel caso cioè di conseguenze punitive di entità spropositata rispetto alla carica offensiva della condotta, discenderebbe: “una compromissione ab initio del processo rieducativo”, cui il reo tenderà a non prestare adesione, in quanto percepirà la condanna come ingiusta.

Più in particolare, con riguardo all'art. 567, comma 2, c.p., richiamando una sua recente decisione (n. 31/ 2012, concernente l'automatismo della pena accessoria della perdita della responsabilità genitoriale)la Corte riconosce la possibilità che il reo sia guidato dal fine di favorire l'interesse del neonato, osservando tuttavia come la cornice edittale della fattispecie costringa il giudice ad infliggere una punizione irragionevolmente sproporzionata per eccesso, anche laddove s'indirizzasse verso il minimo edittale (con ciò concordando con l'osservazione del giudice a quo secondo il quale, anche applicando la circostanza di cui al primo comma, n. 1 dell'art. 62 c.p., non potrebbe farsi luogo alla concessione della sospensione condizionale), ove venisse accertato che l'obiettivo dell'agente fosse quello di attribuire un legame familiare al neonato, che altrimenti ne resterebbe privo.A parere della Corte, pertanto, la particolare “asprezza” della risposta sanzionatoria determina una violazione congiunta degli artt. 3 e 27 Cost., essendo lesi sia il principio di proporzionalità della pena rispetto alla gravità del fatto commesso, che quello della finalità rieducativa della pena.

Il percorso argomentativo della Corte si sofferma poi sul dubbio di ragionevolezza intrinseca della cornice edittalee sulla connessa questione della dosimetria sanzionatoria della norma, sollevato dal giudice a quo in relazione alla altre fattispecie del Libro II, Titolo XI, Capo III, ritenute meno gravi rispetto alla disposizione censurata, benché punite meno severamente;in particolare, con riferimento al primo comma dell'art. 567 – alterazione di stato mediante “sostituzione di neonato” – posta a presidio dello stesso bene giuridico tutelato dalla fattispecie di cui al comma 2.

Rispetto a questo argomento avanzato dal giudice remittente la Corte afferma un principio molto importante, in quanto svincola il controllo di costituzionalità della norma censurata dalla necessità del richiamo alla verifica del diverso trattamento sanzionatorio di condotte simili, cioè attraverso l'identificazione di disposizioni idonee a fungere da tertia comparationis, affermando invece la possibilità di un vaglio “diretto” con i parametri costituzionali offerti dagli artt. 3 e 27 Cost.,

Lo scrutinio di costituzionalità viene pertanto incentrato sulla manifesta irragionevolezza intrinseca della previsione edittale, sotto il profilo della proporzionalità tra la sua severità ed il disvalore della condotta, con l'ulteriore riferimento alla vanificazione della finalizzazione rieducativa ex art. 27Cost., a causa dell'entità eccessiva della sanzione.

Quanto al profilo della dosimetria sanzionatoria, la Corte interviene a precisare i limiti del suo intervento, riconoscendo l'ammissibilità del proprio sindacato nel caso di scelte “palesemente arbitrarie o radicalmente ingiustificate” da evidenziare un uso distorto della discrezionalità del legislatore e condizionando la legittimità del suo intervento- nel giudizio di ragionevolezza intrinseca di un trattamento sanzionatorio penale, incentrato sul principio di proporzionalità –all'individuazione di soluzioni già esistenti idonee a eliminare o ridurre la manifesta irragionevolezza.Come efficacemente osservato, in tema di trattamento sanzionatorio penale è consentito emendare le scelte del legislatore “in riferimento a grandezze già rinvenibili nell'ordinamento” in quanto obiettivo del controllo sulla manifesta irragionevolezza delle scelte sanzionatorie, “non è alterare le opzioni discrezionali del legislatore, ma ricondurre a coerenza le scelte già delineate a tutela di un determinato bene giuridico, procedendo all'eliminazione di ingiustificabili incongruenze”.

Evocando la necessità di una valutazione relazionale interna alla disciplina dell'art. 567 c.p., tra quantità e qualità della sanzione e gravità dell'offesa - senza sovrapporre dall'esterno una dosimetria sanzionatoria eterogenea rispetto alle scelte legislative –la Corte svolge pertanto il suoscrutinio all'interno dell'articolo vagliando la coerenza e la proporzionalità delle sanzioni per ciascuna della fattispecie di alterazione di stato. Si rinvengono così nelle due previsioni tratti comuni– il medesimo evento delittuoso, consistente nell'alterazione dello stato civile del neonato – ma diverse modalità esecutive: nell'un caso, l'alterazione si produce mediante la “sostituzione di un neonato”; nell'altro, mediante “false certificazioni, false attestazioni o altre falsità” nell'atto di nascita del neonato.

L'identità del bene giuridico offeso, induce tuttavia la Corte a concludere nel senso che le differenti modalità esecutive non esprimano connotazioni di disvalore tali da legittimare una divergenza del trattamento sanzionatorio, così da valutare come manifestamente irragionevole la cornice marcatamente più severa del secondo comma.

Il passaggio successivo compiuto dalla Consulta è così quello della parificazione del trattamento sanzionatorio delle due fattispecie dell'art. 567 c.p. e della dichiarazione di illegittimità costituzionale dell'art. 567, comma 2, nella parte in cui punisce il delitto ivi descritto con la pena della reclusione da cinque a quindici anni, anziché con la pena della reclusione da tre a dieci anni.

Il nuovo limite edittale dei tre anni di reclusione, si osserva conclusivamente, consentirà al giudice di valorizzare circostanze dalle quali emerga una propensione di protezione nei confronti del neonato; nel contempo, la pena massima di dieci anni permetterà in ogni casodi tener conto di circostanze meritevoli di più severa risposta sanzionatoria.

Osservazioni

La Corte costituzionale, con questa sentenza torna dunque ad occuparsi dell'art. 567, comma 2 c.p..

Sulla disposizione vi era infatti già stato un intervento della Consulta (Corte. cost. 31/2012, a proposito dell'automatismo della pena accessoria consistente nella perdita della potestà genitoriale), in cui si era affermato come il delitto di cui al secondo comma dell'art. 567 c.p., diversamente da altre ipotesi criminose in danno dei minori, non reca in sé una presunzione assoluta di pregiudizio per i loro interessi morali e materiale, tale da indurre a ravvisare sempre l'inidoneità del genitore all'esercizio della potestà genitoriale, in ciò dimostrando di assegnare un'attenzione particolare ai referenti criminologici che giustificano le scelte di politica legislativa (osserva così V.Manes, La Corte costituzionale ribadisce l'irragionevolezza dell'art. 569 c.p. ed aggiorna la “dottrina” del “parametro interposto”, in Dir. Pen. Cont., Riv. Trim., n. 2/ 2013, p. 199 s.).

Le medesime considerazioni, attinenti alla significatività, in termini di disvalore, della condotta, hanno indotto la Corte ad intervenire nuovamente sulla fattispecie ma, in questo caso, per valutare la proporzionalità della sanzione edittale con riguardo ai parametri di cui agli artt. 3 e 27 Cost..Quali i passaggi argomentativi essenziali ed i principi affermati nella decisione? Due, a nostro avviso, i principali: la diretta assunzione degli artt. 3 e 27 Cost a parametro di valutazione della ragionevolezza della previsione sanzionatoria e la definizione del proprio ruolo rispetto alle prerogative del legislatore in materia di dosimetria sanzionatoria.

Quanto al primo profilo, assai notevole appare l'aver incentrato la valutazione della ragionevolezza della previsione sanzionatoria sul confronto diretto con i parametri costituzionali – artt. 3 e 27 Cost. - che si assumevano lesi, senza il richiamo ad altre disposizioni a fungere da tertiumcomparationis (sottolinea l'importanza di questo passaggio, F.Viganò, Un'importante pronuncia della Consulta sulla proporzionalità della pena, nota a Corte cost. sent. 10 novembre 206, n. 236, pres. Grossi, Rel. Zanon, in Dir. pen. cont.).

La Corte infatti, nel valutarela ragionevolezza intrinseca della norma, afferma la sproporzione del previsione edittale, sia con riguardo al disvalore effettivo della condotta, sia rispetto alla funzione rieducativa della pena (compromessa, laddove l'eccessività della sanzione determini nel reo la percezione di subire una condanna ingiusta rispetto, così da impedirgli l'adesione al processo rieducativo), fondando il suo scrutinio sulla lesione “diretta” dei parametri di cui agli artt. 3 e 27 Cost.

Con riguardo alla dosimetria sanzionatoria, da individuare in luogo di quella, valutata sproporzionata per eccesso rispetto all'effettivo disvalore del fatto, prevista per l'art. 567, comma 2 c.p., la Corte contribuisce poi a chiarire i limiti del suo intervento rispetto alle scelte sanzionatorie operate dal legislatore: non alterarne le opzioni discrezionali, ma ricondurre a coerenza le scelte già delineate con riguardo alla tutela di un determinato bene giuridico.

In tale ambito viene richiamata la disposizione di cui all'art. 567 comma 1 c.p., non quale tertiumcomparationisal fine del vaglio di proporzionalità della pena, quanto invece quale norma in grado di suggerire il nuovo quadro sanzionatorio da assegnare alla fattispecie di cui all'art. 567 comma 2, c.p., sulla base dell'omogeneità della direzione lesiva, oltre che della ratio di tutela.

La Consulta pertanto non si limita a dichiarare l'illegittimità della sanzione edittale, ma, riportando a coerenza il trattamento sanzionatorio a proposito di fattispecie per le quali il legislatore aveva previsto una pena sproporzionata per eccesso, suggerisce nel contempo al legislatore la necessità di una revisione del settore dei delitti in esame, per i quali auspica un adeguamento dei diversi trattamenti sanzionatori: prima di allora, così sembra suggerire la Corte, in tale materia, potrebbero esserci altre “occasioni” di riaffermare il principio di “proporzionalità della pena”.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.