La competenza per territorio in caso di reati connessi di pari gravità

16 Febbraio 2016

Ai fini della determinazione del giudice territorialmente competente, qualora in presenza di reati connessi di pari gravità risulti impossibile individuare il luogo di consumazione del primo di essi (art. 16, comma 1. c.p.p.), si deve avere riguardo al luogo di consumazione del reato cronologicamente successivo a quello oppure occorre applicare le regole suppletive, ex art. 9 c.p.p., con riferimento al primo reato?
Massima

Nel caso di reati connessi, ai fini della determinazione del giudice territorialmente competente, qualora in presenza di reati di pari gravità risulti impossibile individuare il luogo di consumazione di uno di essi, mentre sia certo il luogo di commissione dell'altro, non è consentito far ricorso alle regole suppletive stabilite nell'art. 9 c.p.p. – che sia per la collocazione, sia per il contenuto, si riferisce a procedimenti con reato singolo – ma si deve avere riguardo al luogo di consumazione del reato residuo di pari gravità del quale sia conosciuto (o conoscibile) il luogo di commissione.

Il caso

Tizio era accusato, in concorso con Caia e Sempronio, di aver indotto e favorito, in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, l'attività di prostituzione di giovani donne maggiorenni (capo A) e di aver indotto e favorito l'attività di prostituzione di una donna minorenne (capo B). Secondo la prospettazione del P.M. tali illeciti sarebbero avvenuti “in Milano e altrove”.

L'avverbio altrove contenuto nei capi di imputazione consentiva alle difese degli imputati di eccepire l'incompetenza territoriale del tribunale di Milano, dapprima in udienza preliminare e poi in dibattimento, a favore del tribunale di Messina o, in subordine, del tribunale di Monza. Le eccezioni si basavano sull'assunto che, trattandosi di capi di imputazione connessi ai sensi dell'art. 12 lett. b) c.p.p., la competenza per territorio del giudice andava determinata nel luogo ove sarebbe avvenuto il reato più grave (art. 16,comma 1,c.p.p.), ravvisabile nel caso di specie nell'induzione alla prostituzione della minorenne (capo B: art. 600-bis,comma 1, n.1 c.p.), delitto di pari gravità rispetto allo sfruttamento della prostituzione minorile ma logicamente antecedente a questo. In un primo momento le difese hanno sostenuto che l'attività induttiva contestata a Tizio – stando alla tesi del P.M. – avrebbe avuto inizio in occasione di un concorso di bellezza tenutosi nella provincia di Messina; in seguito i difensori degli imputati hanno indicato l'autorità competente nel tribunale di Monza, perché l'atto di prostituzione sarebbe avvenuto in una località ricompresa nella circoscrizione di quest'ultimo tribunale.

Tali eccezioni sono state rigettate dal giudice di primo grado. Nella motivazione della sentenza il tribunale milanese ribadiva la propria competenza territoriale, dal momento che Tizio era stato assolto dall'accusa di induzione alla prostituzione minorile, reato "attrattivo" della regiudicanda e per il quale era stata dichiarata la sola responsabilità penale di Sempronio con riferimento a condotte poste in essere a Milano. Inoltre, veniva ritenuto irrilevante il luogo dell'effettivo compimento dell'atto di prostituzione, in quanto del tutto estraneo alla configurazione delle fattispecie contestate, come da tempo ormai affermato dalla giurisprudenza dominante.

Anche la Corte d'appello respingeva l'eccezione di incompetenza territoriale riproposta dalle difese, pur prendendo le distanze dal percorso argomentativo condotto dal giudice di prime cure. La Corte, infatti, affermava che, nel caso di reati connessi, la competenza per territorio va stabilita sulla base del reato più grave considerato in astratto, operando un giudizio ex ante, in ossequio al principio della perpetuatio competentiae, senza tenere conto degli esiti favorevoli del processo. Poiché nel caso in esame venivano in gioco reati di pari gravità, come l'induzione e il favoreggiamento della prostituzione minorile (art. 600-bis c.p.), per determinare la competenza per territorio si sarebbe dovuto applicare il criterio cronologico, come prevede l'art. 16, comma 1, c.p.p. La Corte di merito giungeva così a confermare la competenza territoriale degli organi giudicanti milanesi, ritenendo però che fosse il favoreggiamento della prostituzione minorile a precedere temporalmente il reato di induzione.

Con il ricorso per Cassazione le difese, nell'insistere per l'incompetenza territoriale dei giudici milanesi, censuravano la manifesta illogicità di tale ultima affermazione. Sul punto specifico, la suprema Corte, con la sentenza in epigrafe, ha convenuto che tra le due condotte contestate al capo B (induzione e favoreggiamento della prostituzione minorile) quella temporalmente antecedente è l'attività induttiva, in quanto in tanto può farsi luogo al favoreggiamento in quanto la donna abbia sciolto le sue "riserve" circa l'accettazione delle condotte persuasive o induttive.

Tuttavia, mentre il luogo e il tempo di consumazione del primo reato – l'induzione alla prostituzione minorile – non risultava noto sulla base degli atti, il locus commissi dell'altro reato contestato – il favoreggiamento della prostituzione minorile – era identificabile in Milano, perché il trasferimento della minorenne verso la località ove poi si sarebbe consumato l'atto di prostituzione era stato organizzato con certezza nel capoluogo lombardo. Ciò ha permesso alla Corte di cassazione di confermare la competenza territoriale del tribunale di Milano.

La questione

La questione giuridica in esame è la seguente: ai fini della determinazione del giudice territorialmente competente, qualora in presenza di reati connessi di pari gravità risulti impossibile individuare il luogo di consumazione del primo di essi (art. 16, comma 1. c.p.p.), si deve avere riguardo al luogo di consumazione del reato cronologicamente successivo a quello oppure occorre subito applicare le regole suppletive, stabilite nell'art. 9 c.p.p., con riferimento al primo reato?

Le soluzioni giuridiche

La competenza per territorio per i procedimenti connessi rispetto ai quali più giudici sono ugualmente competenti per materia appartiene al giudice competente per il reato più grave ovvero, in caso di reati connessi di pari gravità, al giudice competente per il primo reato (art. 16, comma 1, c.p.p.). Quest'ultimo criterio, a differenza dell'altro, costituisce una novità rispetto al codice di rito precedente.

La disposizione in esame, tuttavia, non indica la regola da seguire quando sia incerto il luogo di consumazione del reato più grave o del primo reato. Finora, la questione si è posta nella prassi soltanto con riguardo al locus commissi del reato più grave: per lo più le pronunce in materia hanno riguardato la connessione tra reati di associazione a delinquere e reati-scopo. Ma è di tutta evidenza che la problematica si pone in termini identici quando vengono in gioco reati connessi di pari gravità, come è avvenuto nel caso di specie.

Secondo un orientamento giurisprudenziale minoritario (cfr. Cass. pen., Sez. V, 21 novembre 2007, Albertini; in precedenza, Cass. pen., Sez. I, 19 dicembre 1991, Liseno), il dato letterale dell'art. 16,comma 1, c.p.p., facendo riferimento al giudice competente per il reato più grave e per il primo reato, intende attribuire la regiudicanda a quel giudice individuabile sulla base di tutte le regole di determinazione della competenza per territorio, e cioè sia di quelle "generali" contenute nell'art. 8 c.p.p. sia di quelle "suppletive" di cui all'art. 9 c.p.p. (ultima parte localizzabile della condotta; residenza, dimora o domicilio dell'imputato; criterio della prima iscrizione nel registro delle notizie di reato).

Viceversa, sulla scia della giurisprudenza formatasi nel vigore del codice di rito precedente, l'indirizzo dominante afferma che nel caso di reati connessi, quando sia impossibile individuare il luogo di consumazione del reato più grave, si deve avere riguardo al luogo di consumazione del reato che in via decrescente si presenta come il più grave tra quelli residui (cfr. Cass. pen., Sez. I, 18 novembre 2010, Di Perna; Cass. pen., Sez. I, 15 luglio 2010, Boci; Cass. pen., Sez. I, 23 giugno 2010, Leka). Tale conclusione, frutto di una rigorosa interpretazione logico -sistematica, risulta più conforme al principio costituzionale del giudice naturale (art. 25,comma 1, Cost.), in quanto tesa a radicare il processo in un luogo che sia comunque collegato al locus commissi di alcuno degli illeciti.

L'esegesi maggioritaria è stata accolta anche dalle Sezioni unite con un'articolata pronuncia nella quale però si è operata un'importante precisazione (cfr. Cass. pe., Sez. un., 16 luglio 2009, n. 40537): in caso di reati connessi, la competenza per territorio va determinata applicando le regole generali dell'art. 8 c.p.p. (locus commissi delicti) e – in caso di insuccesso – tenendo conto dell'ultimo luogo in cui è avvenuta una parte dell'azione o dell'omissione (art. 9, comma 1, c.p.p.) costitutiva del reato più grave (o del primo reato). È senza dubbio vero, infatti, che la prima regola suppletiva enunciata nell'art. 9 c.p.p. si differenzia dalle successive, perché mantiene un collegamento con il contesto ambientale in cui si è consumato l'illecito (nello stesso senso cfr. anche Cass. pen., Sez. I, 13 aprile 2010, Ye Zhiwei). Ad avviso delle Sezioni unite, se neppure così si riesca a individuare il giudice competente, si dovrà tenere conto del reato che in via decrescente si presenta come il più grave rispetto ai residui reati connessi, sempre individuando il locus delicti secondo le regole generali dell'art. 8 c.p.p. e – in via subordinata – del criterio "integrativo" di cui all'art. 9, comma 1, c.p.p. Qualora neppure tale operazione abbia successo, si dovrà tornare a fare riferimento al reato più grave in assoluto e individuare il giudice competente in relazione ad esso sulla base della regola suppletiva contenuta nel comma 2 dell'art. 9 c.p.p. (residenza, dimora o domicilio dell'imputato) e, in via subordinata, a quella del comma 3 dell'art. 9 c.p.p., che assegna la competenza al giudice del luogo in cui ha sede l'ufficio del p.m. che ha provveduto per primo a iscrivere la notizia di reato nell'apposito registro (criterio della priorità dell'iscrizione).

Osservazioni

Nel caso in esame, concernente reati connessi di pari gravità, risultava sconosciuto il luogo di commissione del primo di essi (l'induzione alla prostituzione minorile: art. 600-bis, comma 1,n. 1 c.p.) ma non dell'altro reato (il favoreggiamento della prostituzione minorile: art. 600-bis,comma 1,n. 2 c.p.).

Il giudice di legittimità, con la sentenza in epigrafe, dopo aver dato atto della mancanza di precedenti specifici, si è richiamato – sic et simpliciter – all'indirizzo giurisprudenziale largamente prevalente per enunciare il seguente principio di diritto: nel caso di reati connessi, ai fini della determinazione del giudice territorialmente competente, qualora in presenza di reati connessi di pari gravità risulti impossibile individuare il luogo di consumazione di uno di essi, mentre sia certo il luogo di commissione dell'altro, non è consentito far ricorso alle regole suppletive stabilite nell'art. 9 c.p.p. - che sia per la collocazione, sia per il contenuto, si riferisce a procedimenti con reato singolo -, ma si deve avere riguardo al luogo di consumazione del reato residuo di pari gravità del quale sia conosciuto (o conoscibile) il luogo di commissione.

Balza subito evidente un'imprecisione nella formula del principio enunciato poiché, trattandosi di connessione di reati ugualmente gravi, l'impossibilità di individuare il luogo di consumazione si sarebbe dovuta riferire in modo espresso al primo illecito in ordine di tempo, in ossequio al criterio cronologico enunciato nell'art. 16, comma 1, c.p.p. Così, ad esempio, nel diverso caso di più di due reati connessi di identica gravità, qualora non sia conoscibile il locus commissi del primo reato, si dovrebbe tener conto del luogo di consumazione del secondo e, successivamente, del terzo e così via, seguendo l'ordine temporale di svolgimento dei fatti illeciti.

Non appare concludente, inoltre, l'argomento – già impiegato in giurisprudenza (v., tra le altre, Sez. I, 2 maggio 2001, Cisse) – secondo cui l'art. 9 c.p.p. si riferirebbe a procedimenti con reato singolo e non a quelli con più reati connessi. Invero l'art. 16, comma1,c.p.p. mutua la competenza per territorio per i procedimenti connessi da quella per il reato singolo, più grave o più risalente nel tempo: è quindi inevitabile far ricorso alle regole dettate dal codice di rito per il reato singolo.

Al di là di tali rilievi, la soluzione adottata dalla sentenza in epigrafe ha il pregio di fondare l'individuazione della competenza per territorio su criteri oggettivi, legati ai luoghi di realizzazione dei reati, così come impone il principio del giudice naturale precostituito per legge (art. 25, comma 1, Cost.).

Lasciano perplessi, invece, alcuni passaggi della motivazione, sin troppo laconici. In particolare, manca qualsiasi richiamo all'elaborazione compiuta in materia dalla pronuncia delle Sezioni unite "Orlandelli" del 2009, citata insieme ad altre e ascritta tout court (impropriamente) nel filone giurisprudenziale "più tradizionale".

A ben vedere la sentenza in esame si discosta dagli insegnamenti delle Sezioni unite, perché esclude in toto il ricorso alle regole suppletive dell'art. 9 c.p.p., «qualora in presenza di reati di pari gravità risulti impossibile individuare il luogo di consumazione di uno (rectius: del primo) di essi». Le Sezioni Unite "Orlandelli", invece, hanno affermato che per stabilire il luogo di consumazione del reato, ai fini della competenza per territorio per connessione (art. 16, c.1 c.p.p.), occorre far riferimento non soltanto alle regole poste dall'art. 8 c.p.p. ma anche al criterio integrativo di cui al primo comma dell'art. 9 c.p.p., ossia al luogo in cui è avvenuta una parte dell'azione o dell'omissione: ciò tanto quando sia ignoto il luogo di consumazione del reato più grave, quanto nel caso in cui sia sconosciuto il locus commissi dell'illecito penale compiuto per primo.

Una simile presa di distanza dall'interpretazione fornita dalle Sezioni Unite avrebbe meritato una motivazione più ampia sul punto.

Guida all'approfondimento

BACCARI, La competenza e la cognizione del giudice, Milano, 2011, p. 298 ss.

BRONZO, Le Sezioni Unite interpretano la disciplina della competenza territoriale per connessione, in Cass. pen., 2010, p. 2130 ss.

MACCHIA, Art. 16, in Commentario del nuovo codice di procedura penale, diretto a E. Amodio e O. Dominioni, I, Milano, 1989, p. 100 ss.;

PICCIALLI, La competenza territoriale nei reati connessi, in Corr. merito, 2010, p. 316 ss.

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