La prescrizione maturata in appello in presenza di ricorso inammissibile torna alle Sezioni unite

16 Marzo 2016

Persiste in giurisprudenza il contrasto in ordine alla disparità di trattamento che si verifica allorché tra due giudici di appello, in presenza di situazioni analoghe e sovrapponibili di imputati per reati prescritti, il primo rilevi e dichiari l'estinzione del reato e il secondo ometta colpevolmente di farlo.
Abstract

In considerazione del persistente contrasto giurisprudenziale in ordine alla disparità di trattamento che si verifica allorché tra due giudici di appello, in presenza di situazioni analoghe e sovrapponibili di imputati per reati prescritti, il primo rilevi e dichiari l'estinzione del reato laddove il secondo ometta colpevolmente di farlo, si impone, quanto a quest'ultima evenienza, di riconsiderare la possibilità di rilevare in sede di legittimità la prescrizione che risulti con evidenza maturata prima della pronuncia di secondo grado, ancorchè non eccepita né rilevata in sede di appello.

Il caso

L'imputato ha proposto ricorso per Cassazione avverso la sentenza con cui la Corte di appello di Genova ha confermato la condanna emessa in prime cure dal tribunale di Massa alla pena di giustizia per avere egli cagionato lesioni personali gravissime alla vittima del reato, formulando un unico motivo, con cui ha lamentato una violazione della legge processuale, valutato preliminarmente come inammissibile per genericità dalla Corte di cassazione, V Sezione penale.

Ciò nonostante, i supremi giudici, constatando che la prescrizione del reato pur intervenuta anteriormente alla decisione di appello non è stata eccepita dall'imputato né rilevata dalla corte territoriale, dubitano in ordine alla efficacia preclusiva per il giudice di legittimità della possibilità di rilevare di ufficio – ai sensi dell'art. 129, comma 1, c.p.p. – l'estinzione del reato in presenza di un ricorso inammissibile per genericità dei motivi formulati e così procedere al conseguente annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per estinzione del reato (Cass. pen. 3250/2015).

La disputa sorta in sede di legittimità ripartendo dal dictum di Sezione unite 2005, Bracale

Con l'ordinanza in esame la Corte ripercorre, ricostruendone i passaggi, la tormentata vicenda interpretativa della quaestio caratterizzata dalle contrastanti pronunce registratesi al riguardo tra le singole Sezioni sin dagli anni ‘90 non sopita per effetto dei plurimi interventi delle Sezioni unite nel 2000 (19 gennaio 2000, n. 1, Tuzzolino) e nel 2001 (27 giugno 2001, n. 33542, Cavalera) ma, finalmente, ricomposta nel 2005, allorché con la sentenza Bracale (n. 23428/2005) il Collegio esteso ha affermato il principio secondo cui l'inammissibilità del ricorso per Cassazione, determinando la formazione del giudicato, preclude ogni possibilità sia per il ricorrente di far valere che per la Corte stessa di rilevare d'ufficio la estinzione del reato per effetto della prescrizione con evidenza maturata in data anteriore alla decisione di appello.

Tuttavia la questione, pur apparentemente definita dall'autorevole arresto, finisce per riaffiorare attraverso il riformarsi di un orientamento, espresso in molteplici decisioni delle Sezioni semplici, di segno contrario a tale principio in quanto non più giustificabile, partendo proprio dalla ineludibile constatazione, già interna alla stessa decisione Bracale, delle plurime ipotesi in cui, pur in presenza di un ricorso inammissibile, il giudice di legittimità non può ritenersi condizionato dalla inidoneità dell'atto invalido e, dunque, è tenuto a superare il vincolo di una pronuncia meramente processuale (absolutio ab instantia).

Ciò accade in ciascuno dei casi in cui risulti intervenuta la morte dell'imputato, ovvero la abolitio criminis in relazione al reato contestato o, ancora, la declaratoria di incostituzionalità proprio della norma sostanziale applicata nel corso del giudizio di merito.

Ricorda quindi la Corte remittente come non possa ritenersi giuridicamente diversa da queste ultime la ulteriore ipotesi, anch'essa considerata nella decisione del collegio esteso del 2005 alla stregua di evenienza inidonea alla formazione del c.d. giudicato di matrice formalmente processuale, della intervenuta rinuncia ad opera della parte ricorrente ad una impugnazione geneticamente valida.

Con tali decisioni, sulla scia delle quali si pone la ordinanza in esame, con riguardo alla ipotesi, peraltro non infrequente della prescrizione compiutasi prima della conclusione del secondo grado di merito del processo, ma colpevolmente non rilevata dal giudice pur gravato dal dovere di avvedersene, ci si è chiesto se residuassero ragioni sostanziali sistematiche idonee a giustificare la preclusione di rilevare ex officio in sede di legittimità la prescrizione già maturata prima della sentenza di merito gravata da impugnazione pur ritenuta inammissibile per fatto e colpa dell'imputato ricorrente.

I profili giuridici della questione valorizzati per superare l'ostacolo della inammissibilità del ricorso e pervenire alla declaratoria della prescrizione in Cassazione

L'orientamento teso a superare quello espresso dalle Sezioni unite con la richiamata decisione del 2005 parte dalla constatazione della ontologica diversità tra la prescrizione maturata prima della decisione di appello e quella del compimento del termine prescrizionale dopo tale decisione o, addirittura, in epoca successiva alla proposizione del ricorso.

Nel primo caso sul giudice incombe indiscutibilmente il dovere di constatare e dichiarare la morte del reato. Negli altri due, è l'imputato ricorrente che, non avendo formulato correttamente l'atto di impugnazione, ha determinato la morte del processo per effetto della intempestività ovvero per la invalidità del ricorso rendendolo inammissibile e, dunque, la ineludibile preclusione per l'applicabilità, quanto alla prescrizione, del principio fondamentale codificato nell'art. 129, comma 1, c.p.p.

Con riguardo al primo caso, considerato che si è al cospetto di una colpevole omissione del giudice, il continuare a ritenere che alle gravi conseguenze di quest'ultima – in quanto omissione comunque coperta dal giudicato formale per effetto della declaratoria di inammissibilità del ricorso – non possa apprestarsi rimedio dalla Corte di cassazione pur adita con immediatezza, constatando di ufficio la prescrizione già verificatasi in appello ma non rilevata da quel giudice, a ben guardare finisce col tradursi in una palese disparità di trattamento per situazioni processuali in fatto e in diritto uguali tra loro che non trova giustificazione.

Ciò in quanto, a parità di causa estintiva verificatasi in appello, la posizione dell'imputato giudicato dal giudice diligente viene correttamente definita con il proscioglimento, laddove l'altra, sol perché trattata dal giudice negligente determina, pur in presenza di un ricorso tempestivo ma formalmente inammissibile nel contenuto, l'ingiusta irrevocabilità di una condanna con conseguente assoggettamento dell'imputato alla esecuzione della pena e ad ogni altro effetto penale legalmente derivante dalla condanna.

Ad avviso della Sezione remittente la seconda evenienza si traduce in una palese violazione del principio fondamentale di uguaglianza per ogni cittadino davanti alla legge consacrato nella Carta fondamentale.

In conclusione

Il legislatore, con il codice penale del 1930, ha fissato mediante plurime norme penali sostanziali (artt. 157 ss. c.p.p.) il tempo massimo entro il quale, in relazione al reato attribuito all'accusato, occorre necessariamente pervenire ad una decisione irrevocabile di condanna.

Ciò sulla base della convinzione, ancora oggi condivisa, secondo cui il decorso del tempo attenua l'interesse dello Stato alla persecuzione dell'autore del reato, anche per effetto dell'oblio che cadendo sul fatto illecito sfuma persino i risvolti sociali negativi registrati al momento della perpetrazione.

Spirato quindi il tempo per perseguire utilmente l'imputato, il giudice deve fermare il processo e prosciogliere perché il reato si è prescritto essendosi estinta la punibilità della condotta incriminata.

La prescrizione è dunque un istituto di diritto penale sostanziale perché il codice vigente, disponendo l'eliminazione della punibilità quale effetto principale, ne ha così sancito la natura giuridica, innovando radicalmente quella che secondo il codice precedente era stata la configurazione della prescrizione alla stregua di istituto di natura meramente processuale comportante unicamente la estinzione dell'azione penale.

Orbene, per tornare al caso in disamina ed alle ragioni giuridiche sostanziali che hanno indotto la Sezione remittente a ricostruire in termini innovativi la questione così sottoponendola al vaglio delle Sezioni unite, occorre altresì considerare, quanto alla preclusione della rilevabilità di ufficio da parte della Corte di cassazione della prescrizione precedentemente maturata in presenza di un ricorso inammissibile, due ulteriori profili che parrebbero collocarsi nella medesima direzione.

Da un canto, gli spunti positivi ricavabili da due recentissime decisioni delle Sezioni unite (n. 33040 del 2015, J.A. e n. 47766 del 2015, B.U. ed altro) convergenti verso la ricostruzione di un perimetro dell'effetto precludente l'esercizio del potere officioso in parola più circoscritto alla ipotesi in cui il ricorso risulti ontologicamente inammissibile perché tardivamente proposto e quindi la Corte di legittimità venga a trovarsi in presenza di un decisione ormai irrevocabile per l'inutile decorso del tempo per impugnare.

E non è fuori luogo aggiungere come, anche per le fattispecie sottese ad entrambi i casi esaminati aventi ad oggetto la statuizione di una pena illegale il collegio esteso, pur dopo aver sancito la inammissibilità del gravame, ha tuttavia inteso sottolineare che, ciò nonostante, all'errore del giudice del merito che ha inflitto una pena illegale è pur sempre possibile porre rimedio investendo della questione il giudice della esecuzione .

Dall'altro, se si persistesse nel riaffermare la risalente interpretazione ricollegabile a Sezioni unite Bracale circa l'effetto preclusivo del ricorso altrimenti inammissibile per la rilevabilità in sede di legittimità della prescrizione già maturata in appello, al condannato per un reato pur prescritto prima del formarsi del giudicato non rimarrebbe che subire la pena relativa non potendo egli utilmente praticare neppure il rimedio straordinario della revisione, atteso il difetto nel caso di specie della ineludibile condizione di ammissibilità della relativa istanza costituita dalle nuove prove di cui all'art. 630, lett. c) c.p.p.

Non sembra a questo punto del tutto fuori luogo ricordare ciò che sin dagli albori dell'abrogato codice processuale penale, ma anche prima, sulla scia della dominante cultura del “mito del giudicato” frutto di un rito tanto sacrale quanto autoritario, soleva dirsi: se la terra copre l'errore del medico, il giudicato copre quello del giudice.

I tempi sono poi cambiati. Il sistema processuale penale anche.

Di recente la disciplina del giudicato ha registrato regole che si sono rivelate sempre più permeabili ad ampliamenti orientati ad una sempre più ampia tangibilità del giudicato.

Tuttavia, ove si tornasse a sostenere che il giudicato formale in casi come quello in esame debba considerarsi intangibile pur a costo di sacrificare uno tra i più importanti principi sanciti dalla Carta fondamentale per registrare alfine il poco commendevole effetto di coprire l'errore colpevole del giudice, bisognerebbe convenire che, quanto a siffatto strategico versante del processo, se tutto può sostenersi apparentemente cambiato, nulla lo è davvero.

Almeno sin tanto che non intervenga la ennesima pronuncia sovranazionale ad indurre il nostro sistema processuale interno al ripristino di una legalità sostanziale purtroppo negletta.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario