Bullismo a scuola. Per la Cassazione le condotte vessatorie integrano il reato di stalking

Redazione Scientifica
16 Giugno 2017

Integrano il reato di atti persecutori di cui all'art. 612-bis c.p.p. le condotte violente e le offese a danno di un ragazzo da parte dei suoi compagni di scuola. Con sentenza n. 28623/2017 la Cassazione ha confermato le condanne emesse dalla Corte d'appello di Napoli, Sezione minorenni, nei confronti di quattro ragazzi colpevoli di aver causato un grave e perdurante stato d'ansia ad un loro compagno di classe ...

Integrano il reato di atti persecutori di cui all'art. 612-bis c.p.p. le condotte violente e le offese a danno di un ragazzo da parte dei suoi compagni di scuola.

Con sentenza n. 28623/2017 la Cassazione ha confermato le condanne emesse dalla Corte d'appello di Napoli, Sezione minorenni, nei confronti di quattro ragazzi colpevoli di aver causato un grave e perdurante stato d'ansia ad un loro compagno di classe ripetutamente offeso per i suoi comportamenti e per il modo in cui portava i capelli e costretto ad accettare le condotte di sopraffazione dei compagni per «evitare altre botte» – in un episodio filmate dagli stessi “bulli” – fino a causare l'abbandono dell'istituto scolastico teatro delle vicende.

Il Supremo Collegio ha ritenuto priva di illogicità la pronuncia della Corte distrettuale nella quale si evidenzia altresì l'assenza di consapevolezza dei fatti da parte degli insegnanti o di altri compagni di scuola nonché «il clima di connivenza e l'insipienza di quanti, dovendo vigilare sul funzionamento dell'istituzione, non si accorsero di nulla».

Nel rigettare in toto i ricorsi degli imputati, i giudici di legittimità hanno inoltre ricordato che «ai fini della rituale contestazione del delitto di cui all'art. 612-bis c.p. - che ha natura di reato abituale –, non si richiede che il capo di imputazione rechi la precisa indicazione del luogo e della data di ogni singolo episodio nel quale si sia concretato il compimento di atti persecutori, essendo sufficiente a consentire un'adeguata difesa la descrizione in sequenza dei comportamenti tenuti, la loro collocazione temporale di massima e gli effetti derivatine alla persona offesa» e che «le regole dettate dall'art. 192, comma 3, c.p.p. non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell'affermazione di penale responsabilità dell'imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell'attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve in tal caso essere più penetrante e rigorosa rispetto a quella cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone»

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