Sentenza Meredith Kercher. Non è tutta colpa delle indagini

Paolo Tonini
16 Settembre 2015

La sentenza della Cassazione sull'omicidio di Meredith Kercher. Non tutto è colpa delle indagini errate di Perugia. È in atto uno scontro tra una visione del passato ed una moderna del processo penale

La sentenza della Cassazione sull'omicidio di Meredith Kercher. Non tutto è colpa delle indagini errate di Perugia.

È in atto uno scontro tra una visione del passato ed una moderna del processo penale

La sentenza della Cassazione 7 settembre 2015 sull'omicidio di Perugia semplifica eccessivamente il problema quando afferma che la maggior parte degli errori sta nelle indagini. Nel riconoscere che manca la prova di reità al di là del ragionevole dubbio, la sentenza parla di «clamorose defaillance o 'amnesie' investigative e di colpevoli omissioni di attività di indagine». E, se non vi fossero state le predette «colpevoli omissioni di attività di indagine», allora sarebbe stato possibile da subito «delineare un quadro, se non di certezza, quanto meno di tranquillante affidabilità» dei fatti. In sintesi, per la Cassazione gran parte della colpa di ciò che è avvenuto nei precedenti quattro gradi di giudizio sta nelle omissioni di indagini.

Una ricostruzione del genere non ci pare razionalmente accettabile per i seguenti motivi. Sulla base di indagini imperfette ben tre corti giudicanti (primo grado, cassazione, rinvio) hanno condannato e due (appello e, ora, cassazione) hanno ritenuto gli imputati non colpevoli. Se fosse stato soltanto un problema di indagini errate, il processo avrebbe dovuto concludersi subito, senza tanti sussulti, rivolgimenti, colpi di scena.

E allora, come mai tre corti giudicanti non hanno svolto la loro funzione ed hanno condannato? Se vi erano stati errori nelle indagini, la funzione dei giudicanti doveva essere di correggerli, di fronte a imputati presunti innocenti. Evidentemente, non tutte le colpe stanno nelle indagini imperfette. Il vero nodo sta nel come gli esiti di quelle indagini sono stati utilizzati nel processo e valutate dalle corti giudicanti.

A uno sguardo disincantato, emerge che nel processo sui fatti di Perugia si sono scontrati due modi differenti di concepire la scienza e il giudizio sulla scienza. Dal 2002 tra i giudici italiani è in atto uno scontro formidabile tra una concezione del passato ed una che accetta le acquisizioni moderne.

Nel passato si riteneva che spettasse allo scienziato affermare quale era la conclusione da trarre dalle circostanze indizianti; il giudice non poteva valutare se la legge scientifica era valida in generale e se era stata correttamente applicata nel caso concreto. Quindi, l'errore scientifico non era emendabile nel processo.

In base ad una concezione più moderna, e cioè dalla famosa sentenza Franzese della Cassazione del 2002, il giudice deve, in sintesi, controllare se la legge scientifica è valida in generale e, poi, se in concreto vi sono fatti che fanno ritenere che gli effetti constatati possano essere ricondotti all'operare di differenti cause. Non basta più che un consulente (della polizia o del pubblico ministero) impegni la sua parola su quali sono le cause dei fatti accertati; occorre che ad un altro esperto sia permesso di tentare di smentire tale ricostruzione, perché il ragionamento possa essere definito “scientifico”. Nel processo del nuovo millenio la scienza non è Vangelo, può e deve essere messa in dubbio e sottoposta a controlli serrati.

Ebbene, nel caso di Perugia gli imputati in primo grado avevano chiesto invano che il giudice nominasse un perito per operare il predetto tentativo di smentita, ma la corte giudicante, legata alla vecchia concezione della scienza e del processo, lo aveva negato. La corte di appello, aperta alla nuova concezione, lo aveva concesso ed erano apparse subito chiare le «clamorose defaillance o 'amnesie' investigative» e le «colpevoli omissioni di attività di indagine» delle quali parla oggi la Cassazione. Di conseguenza, è stato applicato il nuovo principio di diritto, introdotto in Italia nel 2006, secondo cui, se l'accusa non prova la reità al di là di ogni ragionevole dubbio, l'imputato deve essere assolto.

Sempre in sintesi, la prima decisione della Cassazione non ha applicato questo principio ed il giudice di rinvio l'ha seguita. Soltanto l'ultima sentenza della Cassazione ha accolto la visione moderna dei rapporti tra scienza e processo. La causa degli errori non sono state soltanto le indagini imperfette, ma anche, e soprattutto, il modo in cui è giudicato su tali indagini.

Guida all'approfondimento

:

P. Tonini – C. Conti, Il diritto delle prove penali, 2^ ed., 2014, ed. Giuffrè.

P. Tonini, Manuale di procedura penale, 16^ ed., 2015, ed. Giuffrè.

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