Motivazione dell’ordinanza cautelare e poteri del tribunale del riesame: un primo vaglio della suprema Corte

Guido Todaro
16 Novembre 2015

La normativa introdotta con la l. 47/2015, nella parte in cui modifica le disposizioni in tema di motivazione delle ordinanze cautelari di cui agli artt. 292 e 309 c.p.p., non ha carattere innovativo ma adegua la formulazione delle norme alla preesistente giurisprudenza di legittimità che ha ritenuto necessario che l'ordinanza di custodia abbia comunque un chiaro contenuto indicativo della concreta valutazione della vicenda da parte del giudicante.
Massima

La normativa introdotta con la l. 47/2015, nella parte in cui modifica le disposizioni in tema di motivazione delle ordinanze cautelari di cui agli artt. 292 e 309 c.p.p., non ha carattere innovativo ma adegua la formulazione delle norme alla preesistente giurisprudenza di legittimità che ha ritenuto necessario che l'ordinanza di custodia abbia comunque un chiaro contenuto indicativo della concreta valutazione della vicenda da parte del giudicante. La nullità di cui all'art. 292 c.p.p., quindi, si verifica nel caso di ordinanza priva di motivazione o con motivazione meramente apparente e non indicativa di uno specifico apprezzamento del materiale indiziario.

Il caso

Il giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Napoli, nel recepire integralmente la richiesta cautelare avanzata dal pubblico ministero, applicava la misura della custodia cautelare in carcere nei confronti di svariati indagati, in ordine ai reati di associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope (art. 74, d.P.R. 309 del 1990), spaccio di sostanze stupefacenti (art. 73, d.P.R. 309 del 1990) e associazione per delinquere di stampo mafioso (art. 416-bis c.p.).

Il tribunale della libertà, nel decidere sulle richieste di riesame interposte dalla difesa di due indagati, ritenute applicabili le disposizioni di cui agli artt. 292 e 309 c.p.p. come modificati dall'art. 8, commi 1 e 2, e dall'art. 11, comma 3, della l. 16 aprile 2015, n. 47, dichiarava nulla l'ordinanza impugnata in quanto si limitava a ripetere pedissequamente il contenuto della richiesta del pubblico ministero, addirittura riproducendo la medesima suddivisione in paragrafi e utilizzando le stesse parole, senza alcuna ulteriore aggiunta, commento od osservazione da parte del giudice per le indagini preliminari, e quindi senza una autonoma valutazione da parte di quest'ultimo: in violazione, pertanto, dell'espresso dettato del novellato apparato normativo.

Avverso questa ordinanza proponeva ricorso per Cassazione il pubblico ministero, per violazione di legge, asserendo che la custodia cautelare in carcere fosse stata applicata in conformità alla nuova disciplina: secondo l'organo requirente, la parte ricostruttiva dell'iter motivazionale, ad opera del giudice di prime cure cautelare, sarebbe propria ed autonoma, come si evincerebbe dalla circostanza che mentre la richiesta cautelare avanzata dall'attore istituzionale ineriva a quaranta indagati, l'organo giurisdizionale l'avrebbe accolta solo in relazione a ventinove posizioni.

La Corte di cassazione rigetta il ricorso, ritenendo sostanzialmente corretta la decisione del tribunale del riesame: ciò, però, sulla base di un percorso motivazionale diverso da quello fatto proprio tanto dal tribunale quanto dal pubblico ministero.

Al riguardo, la suprema Corte ritiene non corretta la premessa sulla cui base la questione è stata affrontata: dal momento che l'ordinanza cautelare è stata emessa vigente il vecchio quadro normativo, a prescindere dalla circostanza che il riesame si sia svolto dopo l'entrata in vigore della l. 47 del 2015, le nuove disposizioni non avrebbero potuto trovare applicazione. Ed invero, evidenzia il giudice di legittimità, in materia processuale vige il principio tempus regit actum, con conseguente applicabilità della legge del tempo di emissione dell'atto (in assenza di deroghe che la normativa in disamina non contempla). Di riflesso, la nuova regola sul contenuto della motivazione cautelare non poteva trovare applicazione, risultando la custodia cautelare in carcere – giova ripetere – emessa sotto la vigenza della vecchia disciplina.

In ogni caso, rimarca la Corte, la diversa scelta interpretativa del tribunale del riesame non inficia la bontà delle conclusioni raggiunte poiché le nuove disposizioni, sebbene impropriamente invocate, hanno un contenuto meramente interpretativo e ricognitivo di giurisprudenza preesistente, limitandosi, nella sostanza, a rendere cogenti regole già applicate prima della l. n. 47 del 2015; regole che la sentenza annotata condivide.

In definitiva, la prescrizione di specifici contenuti dell'ordinanza cautelare – in ispecie, l'obbligo di autonoma valutazione, che ora campeggia nel nuovo testo dell'art. 292, comma 2, lett. c) e c-bis) e la correlata perimetrazione dei poteri rescindenti del tribunale della libertà, sagomati in ragione della doverosa declaratoria di nullità del provvedimento ove la motivazione manchi o difetti di autonoma valutazione, giusta il tenore letterale dell'art. 309, comma 9, c.p.p. come interpolato dalla novella legislativa – non configura, secondo la Cassazione, una novità: a fronte di plurime esegesi fiorite sul vecchio testo, la nuova legge ha reso obbligata quella interpretazione secondo cui il tribunale del riesame, nonostante gli ampi poteri di supplenza e integrazione delle carenze motivazionali dell'ordinanza genetica, non può mai completare quelle ordinanze di custodia che non dimostrino l'effettivo esercizio, ad opera del giudice, di un'attività di autonoma valutazione, essendosi costui appiattito in toto sul contenuto della richiesta del pubblico ministero, senza pertanto alcuna rielaborazione critica della stessa.

Dunque, la novella normativizza l'indirizzo giurisprudenziale in virtù del quale l'acritica adesione del giudice alla domanda cautelare del requirente importa la caducazione della misura, di fatto applicata in assenza di un reale esercizio della funzione giurisdizionale; indirizzo giurisprudenziale cui la Cassazione, nel caso in esame, aderisce, con conseguente rigetto del ricorso del pubblico ministero.

La questione

La questione in esame è la seguente: qual è il contenuto precettivo derivante dal nuovo testo degli artt. 292 e 309 c.p.p., come novellati dall'art. 8, commi 1 e 2, e dall'art. 11, comma 3, della l. 16 aprile 2015, n. 47, recante, tra l'altro, modifiche al codice di procedura penale in materia di misure cautelari personali? Quali gli oneri motivazionali che incombono sul giudice cautelare? Quali i poteri decisori del tribunale della libertà?

Le soluzioni giuridiche

La giurisprudenza, per molto tempo, è apparsa arroccata su rigide posizioni facendo leva sul c.d. teorema della motivazione integratrice secondo cui il tribunale del riesame, ex art. 309 c.p.p., può sanare e completare, con la propria motivazione, le carenze argomentative dell'ordinanza oggetto di impugnazione e ciò ancorché esse siano tali da integrare nullità, rilevabili d'ufficio, ai sensi dell'art. 292, comma 2, lett. c) e c-bis) c.p.p. (Cass. pen., Sez. I, 2 ottobre 1998, n. 4753).

Il riconoscimento di poteri integrativi in capo al tribunale della libertà si fonderebbe sulla considerazione secondo cui la decisione del primo giudice e quella emessa in sede di riesame si salderebbero tra loro dando luogo ad una fattispecie complessa e unitaria, a formazione progressiva, secondo la definizione delle Sezioni unite, per cui in tema di motivazione dei provvedimenti sulla libertà personale, l'ordinanza applicativa della misura e quella che decide sulla richiesta di riesame sono tra loro strettamente collegate e complementari, sicché la motivazione del tribunale del riesame integra e completa l'eventuale carenza di motivazione del provvedimento del primo giudice (Cass. pen., Sez. un., 17 aprile 1996, n. 7). Il tutto, a sua volta, poggerebbe sul laconico dato letterale di cui all'art. 309, comma 9, c.p.p. secondo cui il tribunale, investito del riesame del provvedimento, può confermarlo anche per ragioni diverse da quelle indicate nel provvedimento stesso.

Si è così assistito, nel corso degli anni, a vere e proprie derive interpretative: ordinanze cautelari appiattite sulla richiesta del pubblico ministero, sovente incorporata integralmente nel testo del provvedimento attraverso l'uso massiccio e abusivo della tecnica informatica del “copia e incolla”, comunque salvate dal tribunale del riesame in virtù della lata estensione assunta dai suddetti poteri integrativi di motivazioni difettose.

Sennonché, la possibilità di motivare per relationem ad altro atto del procedimento non può comportare il venir meno del necessario vaglio critico ad opera del giudice (Cass. pen., Sez. un., 21 giugno 2000, n. 17).

Ne è derivato un contrasto esegetico fortemente radicato: secondo un primo orientamento, nel caso in cui l'ordinanza cautelare coercitiva del giudice per le indagini preliminari sia motivata per relationem, richiamando integralmente e facendo motivatamente propria la richiesta del pubblico ministero, il tribunale del riesame, anche ove ritenga che la motivazione del provvedimento promanante dal giudice per le indagini preliminari sia inadeguata per la sua eccessiva stringatezza e mancanza di approccio critico rispetto alla richiesta del pubblico ministero, non può prescindere dall'esame del materiale indiziario riepilogato dal pubblico ministero, avendo il potere-dovere di integrare la motivazione del provvedimento genetico” (ad esempio, Cass. pen., Sez. II, 20 aprile 2012, n. 30696); viceversa, secondo altro indirizzo, certamente più garantista, il potere dovere del tribunale del riesame di integrazione delle insufficienze motivazionali del provvedimento impugnato non opera, oltre che nel caso di carenza grafica, anche quando l'apparato argomentativo, nel recepire integralmente il contenuto di altro atto del procedimento, o nel rinviare a questo, si sia limitato all'impiego di mere clausole di stile o all'uso di frasi apodittiche, senza dare contezza alcuna delle ragioni per cui abbia fatto proprio il contenuto dell'atto recepito o richiamato o comunque lo abbia considerato coerente rispetto alle sue decisioni (ad esempio, Cass. pen., Sez. VI, 4 marzo 2014, n. 12032, concernente un caso in cui la motivazione era costituita dalla integrale trascrizione della richiesta del pubblico ministero, preceduta da una generica affermazione circa la sussistenza delle condizioni di legge per applicare la misura custodiale, e seguita solo dall'ulteriore locuzione ricorrono, sulla base delle considerazioni sopra esposte, gravi indizi di colpevolezza in ordine ai gravi reati ipotizzati).

La nuova disciplina, enucleata negli artt. 292 e 309 c.p.p., nel richiedere espressamente una valutazione autonoma, positivizza pertanto, elevandolo a regola, questo secondo indirizzo, mettendo così al bando, si spera definitivamente, la pratica del “copia e incolla”, che tanti guasti ha prodotto.

Osservazioni

L'esatta delimitazione dei poteri decisori del tribunale del riesame al cospetto di ordinanze cautelari mal motivate ha costituito terreno di molteplici riflessioni dottrinali e mai sopiti contrasti giurisprudenziali: la materia si pone al crocevia di snodi importanti del processo penale, nel difficile ma ineludibile equilibrio tra le ragioni dell'Autorità e quelle del singolo. Deprimere i poteri di annullamento del giudice di seconda istanza cautelare – salvando, pertanto, misure prive di un apparato motivazionale adeguato – significa, in qualche misura, tutelare l'efficienza del sistema e l'effettività della carcerazione; ampliare la latitudine dei poteri di annullamento del tribunale della libertà, a fronte di lacune argomentative del provvedimento, equivale, per converso, a valorizzare al massimo grado l'inviolabile libertà personale di cui all'art. 13 Cost.

Nessun dubbio, in chi scrive, che l'inerzia del pendolo dovesse oscillare verso questo secondo polo, ma non sempre la giurisprudenza, come visto, si è mostrata incline a interpretazioni di questo tenore, talvolta dando luogo, in nome di malcelate esigenze securitarie, a sbandamenti poco rispettosi delle garanzie che sempre dovrebbero connaturare la materia de libertate.

Al fine di proscrivere letture riduttive dell'onere motivazionale in capo al giudice cautelare, la l. 47 del 2015 ha esplicitato una regola che parte della giurisprudenza, correttamente, aveva già fatto propria; regola mirante a stigmatizzare, mediante la comminatoria della nullità, le ordinanze acriticamente uniformate sulle domande cautelari, senza un effettivo e doveroso vaglio critico ad opera del giudicante.

La pronuncia in esame è di certo rilievo, dunque, costituendo uno dei primissimi interventi – se non il primo – sulla portata della novella legislativa: pur ritenendo le modifiche non applicabili nel caso affrontato – e ciò, come detto, sulla scorta del principio tempus regit actum – nondimeno la Cassazione fornisce chiare indicazioni su come leggere la riforma, autorevolmente definita quale interpretazione corretta ed autentica della precedente normativa, che rende il criterio dell'autonoma valutazione ad opera del giudice l'unica esegesi conforme agli artt. 292 e 309 c.p.p.

Guida all'approfondimento

CAPRIOLI F., Motivazione dell'ordinanza cautelare e poteri del giudice del riesame, in Giuliani L. (a cura di), La riforma delle misure cautelari, Torino, in corso di pubblicazione;

CERESA-GASTALDO M., Una singolare antifrasi: i “nuovi” poteri rescindenti del Tribunale della libertà, in Dir. pen. cont., 27 maggio 2015;

GIULIANI L., Motivazione “autonoma” dell'ordinanza applicativa di una misura cautelare coercitiva e poteri del tribunale della libertà (alle soglie di una “storica” riforma?), in Riv. it. dir. e proc. pen., 2015, 354;

ILLUMINATI G., Verso il ripristino della cultura delle garanzie in tema di libertà personale dell'imputato, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2015, in corso di pubblicazione;

TODARO G. - VARONE F., La difesa nel procedimento cautelare personale, Giuffrè, 2012;

VALENTINI E., Le premesse e i lavori preparatori, in Giuliani L. (a cura di), La riforma delle misure cautelari, Torino, in corso di pubblicazione.

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