La determinazione del profitto di reato ai fini dell'emissione di un provvedimento di sequestro preventivo

17 Giugno 2016

Non è proponibile, in sede di riesame del provvedimento che dispone il sequestro preventivo, la questione relativa alla sussistenza del fumus commissi delicti qualora sia intervenuto il decreto che dispone il rinvio a giudizio del soggetto interessato, attesa l'ontologica diversità di regole relative alle misure cautelari personali rispetto a quelle riguardanti le misure cautelari reali.
Massima

Non è proponibile, in sede di riesame del provvedimento che dispone il sequestro preventivo, la questione relativa alla sussistenza del fumus commissi delicti qualora sia intervenuto il decreto che dispone il rinvio a giudizio del soggetto interessato, attesa l'ontologica diversità di regole relative alle misure cautelari personali rispetto a quelle riguardanti le misure cautelari reali.

In tema di misure cautelari reali spetta al giudice che, in sede di riesame, proceda alla conferma del sequestro preventivo, funzionale alla confisca di valore del profitto di reato, il compito di valutare la corretta determinazione dell'entità di quest'ultimo.

Il caso

Nell'ambito di un procedimento per frode fiscale veniva disposto a carico dei due imputati sequestro preventivo. Tale provvedimento a seguito di annullamento con rinvio da parte della Cassazione veniva confermato dal tribunale del riesame di Perugia. Avverso tale ordinanza gli imputati proponevano ricorso per Cassazione per violazione di legge in ragione dell'erronea applicazione dell'art. 322-ter c.p. relativamente all'individuazione del provento-profitto del reato ai fini dell'emissione del sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente.

La questione

La Corte è stata chiamata a chiarire due profili:

  1. se l'emissione del decreto che dispone il giudizio nei confronti dei due imputati precluda al giudice della cautela reale la disamina della questione relativa alla sussistenza del fumus commissi delicti;
  2. se l'emissione del decreto che dispone il giudizio nei confronti dei due imputati abbia efficacia preclusiva non solo sulla delibazione del fumus commissi delicti ma anche sulla diversa questione concernente la esatta individuazione del profitto-provento dei reati contestati.
Le soluzioni giuridiche

La Corte di cassazione ha accolto il ricorso ritenendo fondati i motivi dedotti dagli imputati e, pertanto, ha annullato il provvedimento con rinvio al tribunale di Perugia per un nuovo esame.

Premesso che in tema di reati tributari il sequestro preventivo, funzionale alla confisca per equivalente, può essere disposto non soltanto per il prezzo ma anche per il profitto del reato, la suprema Corte si è soffermata sulla nozione di profitto di reato precisando che tale locuzione viene utilizzata in maniera enunciativa nelle varie fattispecie in cui è inserita assumendo quindi un'ampia latitudine semantica che occorre colmare in via interpretativa.

A tale fine essa ha richiamato la prevalente giurisprudenza in tema di reati tributari secondo la quale il sequestro finalizzato alla confisca per equivalente previsto dall'art. 1, comma 143, della l. 244/2007 va riferito all'ammontare della imposta evasa che costituisce un indubbio vantaggio patrimoniale direttamente derivante dalla condotta illecita e, in quanto tale, riconducibile alla nozione di profitto del reato, costituito dal risparmio economico conseguente alla sottrazione degli importi evasi alla loro destinazione fiscale, di cui certamente beneficia il reo. A tal fine – ha precisato – per la quantificazione di questo risparmio, deve tenersi conto anche del mancato pagamento degli interessi e delle sanzioni dovute in seguito all'accertamento del debito tributario.

Ciò chiarito la Corte si è soffermata sulle due questioni sottoposte alla sua attenzione.

In merito al primo quesito ha ribadito che non è proponibile in sede di riesame del provvedimento che dispone il sequestro preventivo la questione relativa alla sussistenza del fumus commissi delicti, qualora sia intervenuto il decreto che dispone il rinvio a giudizio del soggetto interessato, attesa l'ontologica diversità delle regole relative alle misure cautelari personali rispetto a quelle riguardanti le misure cautelari reali.

Quanto, invece, alla seconda questione, ha ritenuto che il giudice del rinvio avesse errato nel reputare che l'intervenuta emissione del decreto che dispone il giudizio l'esentasse dal fornire una risposta in relazione al quantum del profitto del reato tributario ipotizzato a carico degli indagati.

Affinché il provvedimento ablativo possa ritenersi legittimo occorre, infatti, che il giudice il quale procede alla conferma del sequestro preventivo funzionale alla confisca di valore del profitto del reato, si occupi della corretta determinazione dell'entità di quest'ultimo.

Osservazioni

Le soluzioni adottate dalla Cassazione nel caso di specie si conformano ai prevalenti orientamenti giurisprudenziali in materia.

Ed invero quanto alla prima questione la giurisprudenza è concorde nel ritenere che l'esistenza del fumus non possa essere sindacata ove sia intervenuto il rinvio a giudizio (Cass. pen., Sez. VI, 15 maggio 2007, n. 29884; Cass. pen., Sez. V, 19 agosto 1998, Frattasio; Cass. pen., Sez. I, 28 novembre 1997, pr.g. e Scibilia) sul presupposto che vi sia una ontologica diversità tra le regole relative alle misure cautelari personali e quelle riguardanti le misure cautelari reali.

In materia di cautele personali, come è noto, infatti, prevale un diverso orientamento il quale, anche dopo le modifiche apportate al criterio decisorio di cui all'art. 425 c.p.p. da parte della l. 479/1999, ritiene che il giudice del riesame possa sempre rivalutare la gravità degli indizi anche nell'ipotesi in cui sia stato già disposto il rinvio a giudizio del soggetto sottoposto a misura cautelare e ciò in quanto non sussiste una convergenza biunivoca della funzione e del giudizio prognostico sottesi al decreto che dispone il giudizio rispetto alle funzioni e alla prognosi pertinenti al diverso profilo della gravità indiziaria, ai fini della legittima restrizione della libertà personale giacché, nella logica complessiva del sistema processuale, la valutazione contenutistica degli indizi di colpevolezza ex art. 273 c.p.p. ha ben altra consistenza qualitativa e quantitativa rispetto alla regula iuris propria del rinvio a giudizio (Cass. pen., Sez. unite, 30 ottobre 2002, n. 39915; Cass. pen., Sez. IV, 10 giugno 2003, Magarelli, in Guida dir. 2003, 47, 76; Cass. pen., Sez. V, 18 febbraio 2003, Palazzolo, RV 224785; sul punto già Corte cost., n. 71/1996).

Si tratta di una impostazione che discende dalla scelta del legislatore di non assimilare in toto le cautele reali a quelle personali sotto il profilo delle condizioni che ne legittimano l'applicazione. Scelta che si fonda sulla diversità dei valori che vengono in gioco: la libertà personale, da una parte, e la libera disponibilità dei beni, dall'altra, i quali data la differente essenza sono suscettibili di una tutela diversificata. Più in particolare è il tasso di pericolosità della cosa in sé che giustifica l'imposizione della misura cautelare reale, che pertanto, pur raccordandosi ad un fatto criminoso, può prescindere totalmente da qualsiasi profilo di colpevolezza, essendo ontologicamente legata non necessariamente all'autore del reato, bensì alla cosa, riguardata dall'ordinamento come strumento la cui libera disponibilità può rappresentare una situazione di pericolo. Sulla base di tali considerazioni la prevalente giurisprudenza esclude l'applicabilità degli artt. 273 e 274 c.p.p. alla materia delle misure cautelari reali e ritiene che al giudice non competano valutazioni in ordine alla sussistenza degli indizi di colpevolezza e alla gravità degli stessi (Cass. pen., Sez. un., 23 aprile 1993, Gifuni, in Cass. pen. 1993, 1969; Cass. pen., Sez. un., 24 marzo 1995, n. 5; Cass. pen., Sez. un. 4 maggio 2000, Mariano, in Arch. Nuova proc. pen., 2000, 255) essendo sufficiente il fumus commissi delicti la cui verifica non può estendersi fino a far coincidere l'esame con un vero e proprio giudizio di colpevolezza, in quanto il complesso degli elementi di valutazione che concorrono ai fini dell'accertamento della responsabilità dell'indagato deve restare fuori dall'indagine, essendo sufficiente la semplice enunciazione, non manifestamente arbitraria, di un'ipotesi di reato, in relazione alla quale si appalesi la necessità di escludere la libera disponibilità della cosa ad esso pertinente (Cass. Sez. II, 13 maggio 2008, n. 22712; Cass. Sez. II, 14 febbraio 2007, n. 12906, Mazreku, in Cass. pen. 2008, 1510; Cass. pen., Sez. V, 21 giugno 2005, Zhu). Si tratta, a ben vedere, di una impostazione che non tiene in debita considerazione che le misure cautelari reali vanno ad incidere su interessi costituzionalmente protetti e che talvolta esse possono presentare un contenuto afflittivo addirittura maggiore rispetto ad alcune misure cautelari personali.

Non a caso la Cassazione, nel caso di specie, pur confermando che l'esistenza del fumus non può essere sindacata ove sia intervenuto il rinvio a giudizio, ha ritenuto carente sotto il profilo motivazionale l'ordinanza del giudice del riesame il quale si è limitato a verificare l'astratta configurabilità del reato senza tenere conto delle concrete risultanze processuali e dell'effettiva situazione emergente dagli elementi forniti dalle parti, dimostrando così di aderire a quell'orientamento più garantista secondo il quale il fumus va individuato nell'accertata sussistenza di indizi di commissione del fatto per il quale si procede sicché al giudice richiesto dell'applicazione della misura (e/o della sua conferma), pur senza sindacare la fondatezza dell'accusa, compete sempre e comunque un controllo di legalità sui presupposti per l'adozione della stessa (v. Cass. pen., Sez. un., 20 novembre 1996, Bassi, in Cass. pen. 1997, 1673; Cass. pen., Sez. II, 19 dicembre 2003, Barillà).

Quanto invece alla seconda questione essa è stata ingenerata dal duplice errore nel quale è incorso il giudice del rinvio il quale, oltre a confondere le soglie di punibilità delle fattispecie di reato contestato con il profitto – provento del reato, tanto da ritenere che quest'ultimo potesse essere individuato negli importi indicati nei capi di imputazione, ha reputato che a seguito dell'avvenuta emissione del decreto che dispone il giudizio ogni valutazione sull'entità del profitto del reato fosse preclusa.

L'occasione ha consentito alla Cassazione di ribadire che spetta sempre al giudice il quale, in sede di riesame, proceda alla conferma del sequestro preventivo funzionale alla confisca il compito di valutare la corretta determinazione dell'entità del profitto (Cass. pen., Sez. VI, 18 febbraio 2014, n. 18767) considerando che in materia di reati tributari tale entità va determinata tenendo conto dell'ammontare dell'imposta evasa, che costituisce un indubbio vantaggio patrimoniale direttamente derivante dalla condotta illecita e, in quanto tale, riconducibile alla nozione di profitto, costituito dal risparmio economico che consegue all'effettiva sottrazione degli importi evasi alla loro destinazione fiscale, di cui certamente beneficia il reo (Cass. Sez. III, 16 gennaio 2012, n. 1199; Cass. Sez. Un. 23 aprile 2013, n. 18374).

Guida all'approfondimento

BALDUCCI, Il sequestro preventivo nel processo penale, Milano 1991;

BEVERE, Coercizione reale, limiti e garanzie, Milano 1999; Cirulli, In tema di presupposti del sequestro preventivo, in Giur. It. 1992, 316;

FIORE, Accertamento dei presupposti e problematiche in tema di sequestro preventivo, in Riv. It. Dir. proc. pen. 1995, 543;

GUALTIERI, Misure cautelari reali, in Trattato di procedura penale, a cura di G. Spangher, vol. II, t. 2, Torino, 2008;

LATTANZI, Sul fumus richiesto per il sequestro preventivo, in Cass. pen. 1995, 351;

VENTURA, Sequestro preventivo, in Dig. Disc. Pen., II Agg., Torino, 2004, 750.

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