I rapporti tra corruzione per l'esercizio della funzione e corruzione per un atto contrario ai doveri d'ufficio

17 Ottobre 2016

La problematica affrontata dalla suprema Corte afferisce ai rapporti tra le due fattispecie di corruzioni di cui agli artt. 318 e 319 c.p., alla luce delle strutturali modifiche apportate dalla legge di riforma 190/2012. Come è noto la nuova fattispecie prevista dall'art. 318 c.p., rubricato Corruzione per l'esercizio della funzione, prescinde dal richiedere quale oggetto del mercimonio il riferimento ad uno specifico atto dell'ufficio ...
Massima

L'asservimento della pubblica funzione ad interessi personali di terzi, anche mediante il compimento di atti contrari ai doveri d'ufficio non preventivamente fissati, integra il delitto di cui all'art. 319 c.p. e non invece il più lieve reato di corruzione per l'esercizio delle funzione di cui all'art. 318 c.p., fattispecie quest'ultima che rimane assorbita dal reato più grave in ragione della cosiddetta progressione criminosa, figura che rende unitaria la complessiva vicenda corruttiva.

Il caso

Nella sentenza in commento la Corte di cassazione è stata chiamata a decidere in merito al ricorso proposto dall'imputato ed al contempo anche dalla procura generale presso la Corte d'appello per motivi speculari a quelli addotti dalla difesa.

L'imputato, tecnico presso la direzione edilizia di un Comune, era stato condannato per numerosi episodi di corruzione cosiddetta propria ex art. 319 c.p., consistita nel provvedere con atti contrari ai doveri d'ufficio (anche mediante la sottrazione o l'inserimento illecito di documenti nei fascicoli dell'ente pubblico) in favore di un libero professionista operante nel settore alberghiero.

La Corte d'appello però con riguardo ad un unico capo d'imputazione per corruzione cosiddetta impropria, relativo a 68 pratiche edilizie in cui non era stata provata la contrarietà ai doveri d'ufficio del mercimonio da parte del dipendente comunale, aveva dichiarato la parziale prescrizione del reato, configurabile a suo avviso come un'ipotesi tipica di c.d. corruzione della funzione, ascrivibile alla fattispecie dell'art. 318 c.p., come riscritto a seguito della legge di riforma 190/2012.

Avverso la sentenza di condanna l'imputato proponeva ricorso per cassazione ritenendo che tutti i capi d'imputazione dovessero essere riqualificati ai sensi del novellato art. 318 c.p., in quanto la complessiva condotta del reo poteva essere ricondotta ad un generale asservimento delle funzioni pubbliche all'interesse del privato corruttore.

La procura generale invece impugnava il capo della sentenza in cui la Corte d'appello aveva dichiarato la prescrizione di alcune condotte corruttive, sull'assunto che queste fossero ascrivibili all'ipotesi dell'art. 318 c.p., in quanto non era stata provata la contrarietà ai doveri d'ufficio degli atti posti in essere dal pubblico ufficiale.

La questione

La problematica affrontata dalla suprema Corte afferisce ai rapporti tra le due fattispecie di corruzioni di cui agli artt. 318 e 319 c.p., alla luce delle strutturali modifiche apportate dalla legge di riforma 190/2012.

Come è noto la nuova fattispecie prevista dall'art. 318 c.p., rubricato Corruzione per l'esercizio della funzione, prescinde dal richiedere quale oggetto del mercimonio il riferimento ad uno specifico atto dell'ufficio (come invece faceva il vecchio art. 318), a differenza invece dell'ipotesi più grave di corruzione propria di cui all'art. 319 c.p., ove è stato mantenuto il sinallagma tra compenso illecito al pubblico ufficiale e compimento di un atto contrario ai doveri dell'ufficio, ovvero omettere o ritardare un atto del proprio ufficio.

In termini astratti le due fattispecie avrebbero due ambiti di applicazioni diversi ed apparentemente alternativi, l'uno riguardante la messa a disposizione della funzione pubblica agli interessi del corruttore (reato di pericolo) e l'altro l'illecita compravendita di uno specifico atto contrario ai doveri dell'ufficio (reato di danno).

Nella realtà è però assai frequente che le condotte tipiche delle due ipotesi di corruzioni si intreccino, per cui il funzionario pubblico “a libro paga” di un privato, oltre a mettersi a disposizione del corruttore per favorirlo o comunque agevolarlo nell'ambito dei doveri d'ufficio, compia anche atti contrari a questi doveri o accetti di compierli nel caso gli venisse chiesto dal privato.

In queste ipotesi, come anche nel caso esaminato dalla sentenza in commento, si pone il problema dell'eventuale concorso tra i reati citati di cui agli artt. 318 e 319 c.p., con tutte le conseguenze che ne derivano in termini di entità della sanzione da applicare e di individuazione del termine di prescrizione delle diverse condotte illecite, a seconda che il predetto rapporto venga qualificato come progressione criminosa, reato eventualmente permanente, oppure reato continuato .

Le soluzioni giuridiche

Da tempo la giurisprudenza della Cassazione in tema di corruzione ha consolidato l'orientamento (già espresso anche prima della riforma del 2012) secondo cui lo stabile asservimento del pubblico ufficiale ad interessi personali di terzi, attraverso il sistematico ricorso ad atti contrari ai doveri di ufficio, ancorché non predefiniti, né specificamente individuabili ex post ovvero mediante l'omissione o il ritardo di atti dovuti, integra il reato di cui all'art. 319 c.p. e non il più lieve reato di corruzione per l'esercizio della funzione di cui all'art. 318 c.p., il quale ricorre, invece, solo quando l'oggetto del mercimonio sia costituito dal compimento di atti dell'ufficio (in questi termini per ultima si veda la sentenza: Cass. pen.,Sez. VI, 11 febbraio 2016 , n. 8211).

Non vi sono perciò dubbi in giurisprudenza sul fatto che in presenza di atti contrari ai doveri di ufficio, anche se non specificatamente individuabili neppure ex post, la condotta di asservimento del funzionario corrotto venga qualificata ai sensi della fattispecie più grave di corruzione propria. In sostanza il reato meno grave dal punto di vista della sanzione viene assorbito da quello più grave, non avendo rilievo se la corruzione per atti contrari ai doveri d'ufficio riguardi anche solo un episodio a fronte del generale asservimento della funzione pubblica a cui si riferisce il novellato art. 318 c.p., che per questa ragione potrebbe apparire condotta più riprovevole.

La sentenza in commento si è allineata a questo orientamento e di conseguenza ha annullato la sentenza di appello, seguendo i motivi di impugnazione della procura generale, laddove la Corte territoriale, lasciando separate le imputazioni per corruzione ex art. 318 c.p. da quelle relative ad episodi di corruzione per atti contrari ai doveri d'ufficio, aveva dichiarato prescritti gli episodi riconducibili all'art. 318 c.p.

A sostegno di questa decisione la Corte suprema ha evidenziato che l'accordo illecito tra l'imputato ed il corruttore prevedeva che il funzionario fosse “a libro paga” del privato dietro corresponsione di somme di denaro variamente modulate a seconda dell'entità e dell'importanza del suo indebito contributo, concretizzandosi anche nella commissione di atti contrari ai doveri d'ufficio, all'evidenza facenti parte dell'ampio ed onnicomprensivo accordo illecito raggiunto. Di conseguenza, ha affermato la Corte, è irragionevole prospettare una duplice e parallela vendita delle funzioni da parte dell'imputato – l'una funzionale alla commissione di atti conformi ai doveri di ufficio e l'altra esitata contestualmente nell'adozione di atti contrari a detti doveri – giacché il dato fattuale incontestabile è quello della presenza di un unico continuativo rapporto illecito.

Osservazioni

La sentenza in commento si segnala perché affronta anche dal punto di vista teorico i rapporti tra le due fattispecie, partendo dal dato fattuale dell'unitarietà della vicenda concreta che si pone in contrasto con la possibile ricostruzione in termini di concorso formale tra le due fattispecie.

La Cassazione ha perciò riaffermato che il novellato art. 318 c.p. troverebbe applicazione solo per quelle situazioni residuali in cui la vendita della funzione abbia ad oggetto con certezza uno o più atti dell'ufficio, oppure non sia noto il finalismo del mercimonio del pubblico ufficiale. In motivazione si legge che: lo stabile asservimento del pubblico ufficiale ad interessi personali di terzi realizzato attraverso l'impegno permanente a compiere od omettere una serie indeterminata di atti ricollegabili alla funzione esercitata, integra il reato di cui all'art. 318 c.p. (nel testo introdotto dalla legge 6 novembre 2012, n. 190), e non il più grave reato di corruzione propria di cui all'art. 319 c.p., salvo che la messa a disposizione della funzione abbia prodotto il compimento di un atto contrario ai doveri di ufficio, poiché, in tal caso, si determina una progressione criminosa nel cui ambito le singole dazioni eventualmente effettuate si atteggiano a momenti esecutivi di un unico reato di corruzione propria a consumazione permanente (in questi termini anche la sentenza Cass. pen., Sez. VI, 25 settembre 2014, n. 49226). Tale ricostruzione ha come corollario che la prescrizione decorre per tutti gli episodi corruttivi dalla cessazione del reato permanente, ossia dall'ultima dazione illecita, con l'effetto di spostare in avanti il termine di estinzione del reato.

Queste conclusioni sono però contrastate da un parte della dottrina che non condivide la ricostruzione in termini unitari (sia come reato permanente, sia come progressione criminosa) delle ipotesi di corruzione per così dire multipla, ossia con più episodi e corrispondenti pagamenti illeciti, sull'assunto che nei reati di corruzione la consumazione avverrebbe, secondo l'inequivoco dato normativo, già dal momento del perfezionamento dell'accordo illecito; le successive condotte sarebbero perciò da classificare come un postfatto non punibile, con l'effetto pratico, di non poca importanza, che la prescrizione decorrerebbe dal momento della conclusione dell'accordo e non già dall'ultima dazione del compenso illecito.

Guida all'approfondimento

MANTOVANI, Corruzione e "funzionario a libro paga": la riforma operata dalla l. 190/2012 e il muro della giurisprudenza-fonte, in Ind. pen., 2015, fasc. 1-2, pag. 110 ;

PALAZZO , Le norme penali contro la corruzione tra presupposti criminologici e finalità etico-sociali”, in Cass. pen., 2015, fasc. 10, pag. 3389;

STAMPANONI BASSI, Configurabilità del reato di cui all'art. 318 c.p. nel caso di sistematico ricorso ad atti contrari alla funzione non predefiniti nè identificabili, in Cass. pen., 2015 , fasc. 4, pag. 1419;

CINGARI, Gli incerti confini del delitto di corruzione per l'esercizio della funzione, in Dir. pen. proc. , 2014, fasc. 8, pag. 962;

GAMBARDELLA, Dall'atto alla funzione pubblica, la metamorfosi legislativa della corruzione impropria”, in Arch. pen., 2013, fasc. 1, pag. 51 e ss.

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