Lo standard probatorio della connotazione mafiosa nell’attività di procacciamento dei voti

Roberto Scotti
18 Febbraio 2016

Il c.d. metodo mafioso, nuovo elemento costitutivo dell'art. 416-ter c.p., è considerato presunto ed immanente nell'illecita pattuizione qualora il soggetto che si impegni a procurare voti in cambio dell'erogazione di denaro o altre utilità sia persona appartenente ad una consorteria di tipo mafioso, ed agisca in nome e per conto della stessa.
Massima

Il c.d. metodo mafioso, nuovo elemento costitutivo dell'art. 416-ter c.p., è considerato presunto ed immanente nell'illecita pattuizione qualora il soggetto che si impegni a procurare voti in cambio dell'erogazione di denaro o altre utilità sia persona appartenente ad una consorteria di tipo mafioso, ed agisca in nome e per conto della stessa. Nel caso in cui il promittente sia soggetto estraneo all'associazione per la configurabilità del delitto di scambio elettorale politico-mafioso, occorre la prova del concreto impiego o della specifica programmazione del ricorso all'intimidazione o alla prevaricazione mafiosa con le modalità di cui al comma terzo dell'art. 416-bis c.p.

Il caso

Nella sentenza in commento, la suprema Corte viene chiamata a pronunciarsi sui ricorsi proposti, sia dalla Procura della Repubblica presso il tribunale di Salerno che dall'imputato, avverso il provvedimento con cui il tribunale del Riesame di Salerno confermava l'applicazione della misura della custodia cautelare in carcere, disposta dal Gip del medesimo tribunale, in ordine alla fattispecie di reato di cui all'art. 416-ter c.p., pur escludendo la partecipazione del promittente i voti elettorali (relativi all'elezione alla carica di Sindaco di un Comune locale da parte del promissario) alle ulteriori ipotesi delittuose ascritte al ricorrente, relative alla partecipazione ad un'associazione di stampo mafioso operante sul territorio, ad un'ipotesi delittuosa di tentata estorsione, nonché l'aggravante di cui all'art .7, l. 203/1991, annessa ad ipotesi delittuose di furto di bestiame ritenuti finalizzati a foraggiare le macellerie del clan.

Il tribunale del riesame condivideva dunque l'impianto accusatorio solo in ordine alla fattispecie del reato di scambio elettorale politico-mafioso ex art. 416-ter c.p., con riferimento alle elezioni volte alla nomina a Sindaco del Comune di Sarno nell'anno 2014 e ai furti di bestiame semplici (previa esclusione dell'aggravante dell'art. 7, d.l. 152/1991), non ritenendo sussistente l'attualità della associazione e la presenza di un effettivo contegno minaccioso utile alla tentata estorsione, in ragione della oramai estraneità dei coimputati, ivi compreso il ricorrente, al sodalizio mafioso operante nella zona, nonché della rilevabile autonomia di giudizio e di azione degli stessi e dell' insussistente forza di intimidazione e di prevaricazione dimostrata sul territorio, in conseguenza anche dello stato di detenzione carceraria del capo clan.

Proponeva ricorso la Procura impugnando la statuizione di ritenuta insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in ordine al reato associativo di cui all'art. 416-bis c.p., in ordine alla tentata estorsione, al mancato riconoscimento dell'aggravante ex art. 7, d.l. 152/1991, annessa ai furti di bestiame, rimarcando la storia criminale della famiglia dell'imputato (già condannato in via definitiva per partecipazione ad un'associazione di stampo mafioso operante sul territorio) e che poteva ritenersi ancora componente del clan Serino, clan che aveva mostrato una sua operatività anche nel corso dell'anno 2013, malgrado la detenzione del suo capo, e poteva ritenersi ancora attivo nel settore delle imposizioni, negli esercizi commerciali di riferimento, dei videogiochi e della macchinette distributrici di bevande e alimenti.

Proponeva ricorso anche l'indagato, lamentando invece la contraddittorietà della motivazione dell'ordinanza, che da un lato riconosceva l'insussistenza attuale del sodalizio mafioso e dall'altro recuperava l'operatività dello stesso ascrivendo all'imputato il reato di cui all'art. 416-ter c.p.

La questione

La suprema Corte di cassazione torna a pronunciarsi sulla struttura del reato di cui all'art. 416-ter c.p. nel testo vigente dopo le modifiche introdotte dalla l. 62 del 2014 e, in particolare, sulla configurabilità del c.d. metodo mafioso, cioè della prospettazione e/o utilizzo da parte del promittente i voti elettoralidelle modalità di cui al terzo comma dell'articolo 416-bis, della forza di intimidazione e costrizione della volontà degli elettori, tipiche del sodalizio mafioso e sulla necessità di una loro esplicita previsione nella pattuizione elettorale intercorrente tra il candidato e un soggetto promittente.

Già precedenti arresti della suprema Corte di cassazione si sono occupati della definizione di tale nuovo elemento costitutivo del reato, rimarcandone la natura di elemento strutturale della fattispecie (cfr. in argomento Cass. pen., Sez. VI, 28 agosto 2014 n. 36382) e la necessità della sua rappresentazione e volizione da parte di colui che chiede i voti perché si configuri il reato di cui all'art 416-ter c.p., in mancanza del quale il patto elettorale rimane nell'area del penalmente irrilevante o al più integra la diversa fattispecie di corruzione elettorale, punita meno gravemente, ex art. 96, d.P.R. 361/1957.

Il caso esaminato dalla Corte nella sentenza in commento approfondisce in maniera particolare ma logica, il tema degli elementi di prova del ricorso al metodo mafioso, degli elementi sintomatici della connotazione mafiosa del procacciamento dei voti, innanzitutto da un punto di vista soggettivo e assume rilevanza nell'ambito del dibattito accesosi a seguito del restyling del reato di scambio politico-mafioso, statuendo che solo quando il soggetto che si impegna a reclutare i suffragi è persona intranea ad una consorteria di tipo mafioso ed agisce per conto e nell'interesse di quest'ultima, il ricorso alle modalità di acquisizione del consenso tramite la modalità di cui all'art. 416 bis, terzo comma, cod. pen. può dirsi immanente all'illecita pattuizione, non è necessario che l'accordo concernente lo scambio tra voto e denaro o altra utilità contempli l'attuazione, o l'esplicita programmazione, di una campagna attuata mediante intimidazioni.

Da tale impostazione sembra potersi desumere che la prova della prospettazione dell'utilizzo del metodo mafioso nel procacciamento dei voti da parte del promittente e della rappresentazione e volizione da parte del candidato dell'utilizzo di tale metodo, è presunta ed implicita al momento della pattuizione quando l'interlocutore del politico è mafioso ed agisca all'interno di una propria consorteria criminale operante sul territorio, la cui forza di intimidazione sul territorio è attiva ed attuale: in tal caso, il mandato a procacciare i voti conferito dal candidato o dal capo partito o da chi cura l'elezione del candidato al referente criminale dell'associazione non può che ricomprendere logicamente anche l'utilizzo del metodo tipico di estrinsecazione tipico dell'associazione criminale ex art. 416-bis c.p.

Tale onere probatorio relativo alla contemplazione nel patto elettorale dell'attuazione, o dell'esplicita programmazione, di una campagna attuata mediante intimidazioni invece sembra imporsi e presentarsi più stringente quando l'interlocutore del politico agisca uti singuli, per conto o come intermediario di una consorteria criminosa, ma da esterno alla stessa, prospettando l'utilizzo del metodo mafioso.

La conclusione cui perviene la suprema Corte di cassazione nella massima in commento sembra riespandere, solo in ordine alla prima ipotesi, il perimetro applicativo dell'art 416-ter c.p., risultato ristretto ai primi commentatori della norma a seguito della modifica operata proprio in ordine all'elemento del metodo mafioso, cheimporrebbe al giudice, ai fini della configurabilità del reato de quo, il raggiungimento della prova della promessa esplicita dell'eventuale ricorso al metodo mafioso nelle attività di procacciamento dei voti.

Nel caso di promissario intraneus all'associazione di stampo mafioso, potrebbe, infatti, essere sufficiente anche la prova della caratura mafiosa del predetto, della implicita allusione alla possibilità di procurare un determinato numero di voti grazie alla forza di intimidazione di cui gode il clan e, sul versante soggettivo del promissario, della piena consapevolezza della “mafiosità” della controparte e della sua capacità di procacciare preferenze grazie alla forza di intimidazione di cui è dotato ed a cui ha fatto, anche solo indirettamente, riferimento.

Nel caso invece di mancanza di attualità del potere della consorteria mafiosa, inteso come forza intimidatoria e quale forza di condizionamento vasto sul territorio e/o di estraneità al clan del promissario i voti (come nell'ipotesi sottoposta al vaglio della Corte in cui il ricorrente, cui si contestava il 416-ter c.p., non veniva riconosciuto appartenente al clan, ritenuto ormai inattivo e disgregato sul territorio dopo l'arresto del suo capo), è invece necessaria una specifica e più pregnante valutazione probatoria per la configurabilità del reato di cui all'art. 416-ter c.p.

Ciò soprattutto nel caso in cui il promittente non sia più in grado di porre in essere un'effettiva prevaricazione ed un reale condizionamento dell'elettorato, vuoi per l'estraneità all'associazione, vuoi per l'insussistenza della stessa.

La situazione di estraneità al gruppo malavitoso e/o lo svilimento nel tempo e sul territorio di riferimento del potere intimidatorio del gruppo, già in fase cautelare, richiedono, quindi, in misura inversamente proporzionale, un quadro probatorio più netto e persuasivo della pattuizione a matrice mafiosa dei voti secondo il paradigma normativo dell'art. 416-ter c.p.

A tale decisione, la suprema Corte perviene dopo l'analisi e l'approfondimento della configurabilità dell'art. 416-ter c.p. e dell'ipotesi in cui le caratteristiche proprie del metodo mafioso, ex art. 416-bis, comma 3, c.p., siano inattuabili per la scemata forza intimidatoria del clan mafioso di riferimento ovvero quando la forza intimidatoria sia stata prospettata da soggetti che non facciano effettivamente parte della consorteria criminale.

Uno degli aspetti affrontati dalla pronuncia in esame è se la millantata appartenenza ad una consorteria mafiosa e l'evocato utilizzo del metodo mafioso siano da soli elementi sufficienti a far presupporre la sussistenza delle modalità di cui al terzo comma dell'art. 416 bis c.p., vero e proprio elemento costitutivo della nuova fattispecie penale del patto di scambio politico-mafioso, anche in assenza di realizzazione di sostanziali condotte di intimidazione e prevaricazione di stampo mafioso o anche solo di un concretamente realizzabile programma di interventi di tal guisa.

Utile alla comprensione della soluzione ermeneutica offerta dalla Suprema Corte è una breve ricognizione della struttura della fattispecie prevista dall'art. 416-ter c.p. prima e dopo la sua riformulazione che ha, in primo luogo, modificato la struttura soggettiva della fattispecie.

Nella precedente formulazione, la norma penale de qua prevedeva la punibilità del solo soggetto promissario, il candidato che si impegnava a corrispondere denaro al fine di ottenere illecitamente l'estensione del consenso elettorale. Il promittente, invece, rimaneva esclusivamente punibile per la sua partecipazione al consorzio criminale: si rientrava, pertanto in una fattispecie di concorso necessario improprio, nel quale ad essere punibile era l'uomo politico che scendeva a patti con l'associazione criminale, presupponendo la punibilità dell'altro contraente ex art. 416-bis c.p.

Alla luce della riforma legislativa si è pervenuti a diversa configurazione della fattispecie: il primo comma sancisce la punibilità del promissario, mentre al secondo comma si stabilisce che soggiace alle stesse pene colui che promette di procurare voti mediante il ricorso al metodo mafioso.

Ne discende la configurazione strutturale di un reato a concorso necessario, nel quale sono punibili entrambe le parti contraenti l'accordo illecito.

Come chiarito dalla suprema Corte di cassazione, in maniera inappuntabile nella sentenza in commento, la nuova formulazione del 416-ter c.p. da luogo ad un reato contratto che si consuma immediatamente al momento dello scambio delle promesse oggetto del programma negoziale senza che sia necessario, poi, che i due poli del negozio illecito abbiano di fatto portato ad esecuzione l'impegno assunto (Cass. pen., Sez. VI, n. 25302/2015).

Mutuando dalle categorie civilistiche, si può affermare quindi che il patto elettorale politico-mafioso ha natura consensuale e non reale, si perfeziona con il mero scambio di consenso tra le parti, con la formalizzazione delle reciproche promesse, indipendentemente dalla fase esecutiva del patto, essendo rilevante, da un lato, la volontà e disponibilità dell'uomo politico a scendere a patti con la consorteria mafiosa e, dall'altro, la disponibilità dell'associato o di altro soggetto che agisce per essa o come suo intermediario a fornire l'appoggio elettorale illecito.

Si attribuisce in tal modo rilevanza penale già alla mera stipulazione dell'accordo (reato-contratto), causalmente illecito, con irrilevanza ai fini della punibilità del fatto al concreto e successivo adempimento.

È il momento genetico del patto, avente ad oggetto l'acquisizione del consenso elettorale, il condizionamento del voto con l'utilizzo di metodiche mafiose verso lo scambio di denaro o altre utilità (ad es. appalti nella pubblica amministrazione, posti di lavoro, o altro) ad assumere immediata rilevanza penale, a prescindere dall'esecuzione delle reciproche pattuizioni, dalla dazione concreta di denaro o altre utilità ex latere promissario e dal procacciamento effettivo di voti con l'utilizzo delle modalità di cui all'art. 416-bis c.p. ex latere promittente. Tant'è che le vicende relative al momento funzionale del rapporto sinallagmatico non rilevano ai fini della configurabilità del reato, integrato già solo per il mero scambio di consensi e, quindi , integrato anche laddove nessun voto in concreto venga procurato dal mafioso e nessuna vittoria elettorale venga ottenuta in esecuzione del patto stabilito dalle parti.

Per il perfezionamento della fattispecie, però, l'accordo deve riguardare e prevedere le specifiche modalità di realizzazione introdotte dalla novella in esame.

Ex latere promissario (il candidato ad una competizione elettorale che, per vincere le elezioni, si rivolge ad un soggetto avente “caratura mafiosa”), infatti, vi deve essere l'accettazione della promessa della controparte di procurare i voti mediante l'utilizzo del metodo descritto nell'art. 416-bis, comma 3, c.p. secondo cui l'associazione è di tipo mafioso quando coloro che ne fanno parte si avvalgono della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva (…) al fine di impedire od ostacolare il libero esercizio del voto o di procurare voti a sé o ad altri in occasione di competizioni elettorali.

Ai sensi del nuovo art. 416-ter c.p., le modalità di procacciamento dei voti debbono cioè costituire oggetto del patto di scambio politico-mafioso, in funzione dell'esigenza che il candidato possa contare sul concreto dispiegamento del potere di intimidazione proprio del sodalizio mafioso e che quest'ultimo si impegni a farvi ricorso, ove necessario.

Non è più punibile, quindi, il semplice accordo politico-elettorale del candidato o di un suo incaricato con il sodalizio mafioso, bensì esclusivamente quell'accordo avente ad oggetto l'impegno del soggetto e/o del gruppo malavitoso ad attivarsi nei confronti del corpo elettorale con le modalità tipiche della propria natura criminale.

Va osservato che se per un verso tale diversa connotazione dell'accordo ha prestato il fianco a critiche di maggiore restringimento dell'area di rilevanza penale del fatto, per altro verso non può non evidenziarsi che il legislatore ha finito per recepire nel nuovo paradigma normativo dell'art. 416-ter c.p. l'orientamento prevalente e più recente della giurisprudenza di legittimità, per la quale, ai fini della configurabilità del reato occorreva l'utilizzo di modi, metodi e scopi dell'associazione mafiosa (superando il contrastante orientamento giurisprudenziale che, nel tempo, ha ritenuto sufficiente, ai fini della configurabilità del delitto de quo, la semplice stipula del patto di scambio, contemplante la promessa di voti contro l'erogazione di denaro).

Ai fini del riconoscimento della responsabilità penale, ad oggi, è dunque necessaria la piena rappresentazione e volizione, da parte dell'imputato, di aver concluso uno scambio politico-elettorale implicante l'impiego, da parte del sodalizio mafioso della sua forza di intimidazione e costrizione della volontà degli elettori (Cass. pen., Sez. VI, 28 agosto 2014, n. 36382)

Viene individuato il peculiare disvalore del reato piuttosto che nella mera stipula del patto elettorale con un mafioso, nella stipula del patto con qualunque soggetto prometta di portare voti ad un candidato avvalendosi del metodo mafioso, vale a dire di quelle modalità intimidatorie tipicamente connesse al suo modo di agire. In questo modo, cioè, il fatto assume autonomo rilievo penale rispetto alle specifiche ipotesi di corruzione elettorale non perché una delle due parti sia un appartenente ad un sodalizio mafioso, ma perché assicuri al candidato di poter contare, ove necessario per il rispetto del patto, sul concreto dispiegamento del potere di intimidazione proprio del sodalizio mafioso.

Le soluzioni giuridiche

Chiamata a valutare la legittimità dell'ordinanza del tribunale del riesame di Salerno, con la pronuncia in esame, la suprema Corte esamina dunque gli elementi probatori inerenti la configurabilità dell'art. 416-ter c.p., il perimetro soggettivo della fattispecie in esame (il soggetto promittente e la sua effettiva capacità di dar seguito alla realizzazione della promessa illecita, la consapevolezza dell'utilizzo del metodo mafioso da parte del promissario), operando un distinguo tra il caso in cui il promittente i voti sia soggetto intraneus, affiliato alla consorteria mafiosa e quelli in cui agisca da esterno ad essa, valutando, inoltre, la reale ed attuale potenzialità mafiosa dell'associazione.

Specifica la Corte, introducendo un elemento di valutazione in apparente contrasto con il nuovo dettato normativo, che la previsione espressa del “metodo mafiosonon impone, che il patto sia necessariamente connotato dalla esplicitazione delle modalità di realizzazione dell'impegno assunto nei confronti del candidato, potendo la stessa desumersi, in via inferenziale, da alcuni indici fattuali sintomatici della natura dell'accordo. Ciò perché, se anche la ratio dell'incriminazione consiste nello specifico rischio di alterazione del processo democratico che si determina quando il voto viene sollecitato da una organizzazione mafiosa, il suo riflesso sul piano degli elementi di fattispecie si esaurisce nella logica del comportamento di chi, per proprie esigenze elettorali, promette denaro ad una organizzazione criminale siffatta, ovviamente consapevole della sua natura e dei metodi che la connotano.

Con la modifica normativa dell'art. 416-ter c.p., in base al secondo comma, oggi infatti, risponde della condotta chi promette, e dunque non solo il soggetto intraneo che agisce rappresentando l'organizzazione mafiosa ma anche i soggetti che, uti singuli, si pongano quali intermediari dell'associazione mafiosa o comunque, sempre dall'esterno, garantiscano al candidato un siffatto metodo d'azione nell'acquisizione del consenso.

Quando si tratta di soggetto intraneus all'associazione in sostanza, in base all'analisi offerta nella sentenza in commento, la prova del patto elettorale ex art. 416-ter c.p. potrebbe desumersi anche dalla caratura mafiosa dei promittenti, dalla loro implicita allusione alla possibilità di procurare un determinato numero di voti grazie alla forza di intimidazione di cui godono e, sul versante soggettivo del promissario, dalla piena consapevolezza della “mafiosità” della controparte e della sua capacità di procacciare preferenze grazie alla forza di intimidazione di cui è dotato ed a cui ha fatto, anche solo indirettamente, riferimento.

La prova della pattuizione del quomodo mafioso dell'attività di procacciamento dei voti per il candidato potrebbe ancorarsi anche al dato oggettivo della notoria fama criminale del clan, della presenza ed effettiva operatività della consorteria criminale sul territorio, cui il politico si rivolge proprio in ragione del peso delinquenziale, della carica intimidatoria dimostrata e la sua possibilità di incidere sul territorio di riferimento con i metodi tipici della mafiosità che, utilizzata anche per il procacciamento dei voti, potrebbe portare con maggiore probabilità alla vittoria elettorale nella competizione in cui è candidato il promissario: elementi questi che potrebbero portare a ritenere, in tal caso, come presunta la “colorazione mafiosa” dell'accordo.

Tanto nella consapevole, implicita, ma logica evidenza delle modalità attraverso le quali verrebbe reclutato dal promittente il consenso elettorale in favore del candidato promissario.

Ciò non avviene per la Corte, invece, allorquando il promittente non sia soggetto legato al clan malavitoso, ovvero quando la consorteria di cui ci si vanta di far parte abbia perso la forza di intimidazione e condizionamento sulla popolazione locale.

In tal caso per configurare il reato di cui all'art. 416-ter c.p. è richiesta lapiù rigida prova dell'esistenza di un patto che abbia visto consumarsi il reperimento voti secondo la connotazione modale tipica dell'attività mafiosa, nelle forme dell'art. 416-bis c.p. ovvero l'esistenza una precisa e definita programmazione dell'intervento a carattere mafioso per il procacciamento dei voti.

Nel caso sottoposto al vaglio della suprema Corte, viene invero evidenziata la contraddittorietà dell'impianto motivazionale dell'ordinanza impugnata, annullato con rinvio al medesimo tribunale che da un lato aveva sostenuto la carenza della gravità indiziaria in ordine alla partecipazione del ricorrente all'associazione di stampo mafioso operante sul territorio, nonché l'aggravante mafiosa di cui all'art. 7, d.l. 152/1991 nella realizzazione di furti di bestiame, in entrambe le sue articolazioni, e dall'altro, anche in virtù di un pregresso substrato delinquenziale a matrice mafiosa, riteneva senz'altro contemplata nel patto elettorale sugellato dal ricorrente con il candidato sindaco la connotazione mafiosa della ricerca dei voti in nome e per conto del candidato.

In tale caso, infatti, per il supremo Consesso, il Collegio del riesame avrebbe dovuto, con maggiore rigore probatorio, fornire elementi indiziari precisi e concordanti in ordine al contenuto del patto illecito, vista l'inoperatività di automatismi di tipo logico che diano prova della natura mafiosa del patto nel caso di soggetti estranei all'associazione.

Sostenendo, pertanto, l'inattività dell'associazione mafiosa sul territorio, perché ormai disgregata da tempo, o, perlomeno, l'incapacità di agire dell'imputato (promittente) con forza di intimidazione e coercizione tipica delle consorterie malavitose, l'art. 416-ter c.p. sarebbe stata configurabile, per la Corte, solo laddove fossero stati forniti elementi probatori certi dai quali inferire che il reclutamento elettorale sarebbe stato realizzato con il “metodo mafioso”.

Rapporto con il concorso esterno. L'irrilevanza del momento esecutivo del patto politico-mafioso e la centralità del momento di formazione dell'accordo (promessa di acquisizione di voti sul territorio con metodo mafioso da un lato e promessa di dazione di denaro o altre utilità dall'altro) ai fini della rilevanza penale del fatto ex art. 416-ter c.p., lascia aperta la valutazione delle condotte successive, della fase funzionale del rapporto instaurato dal politico con l'esponente del clan.

Sebbene nel corso dei lavori parlamentari e, in particolare, nella seduta del Senato del 22 gennaio 2014, sia stato evidenziato che nella fattispecie del voto di scambio viene tipizzato il concorso esterno, va precisato che rimangono alcune significative differenze tra la fattispecie di cui al ‘nuovo' art. 416-ter, comma 1,c.p. e quella del concorso esterno in partecipazione ad associazione di tipo mafioso in cui l'accordo svolge un ruolo centrale.

Nel ‘nuovo' art. 416-ter c.p. invero, assume rilievo centrale la promessa di procurare voti mediante le modalità di cui al terzo comma dell'art. 416-bis in cambio del versamento di denaro o altre utilità (tant'è che il reato si perfeziona anche se il politico non viene eletto o se non vi è l'adempimento di una delle due prestazioni), mentre tale profilo non costituisce elemento indefettibile ai fini della fattispecie risultante dal combinato disposto degli artt. 110 e 416-bis c.p.

Come chiarito anche recentemente dalla S.C. di Cassazione, per la configurabilità dell'art. 416-ter c.p. non è richiesta la conclusione di ulteriori patti che impegnino l'uomo politico ad operare in favore dell'associazione in caso di vittoria elettorale.

Orbene, se vengono conclusi ulteriori accordi – diversi da quelli consacrati nell'accordo elettorale –, se le locupletazioni assicurate dal politico al clan non rientrano pedissequamente nell'ambito dell'intesa illecita iniziale e si snodano nell'arco degli anni del mandato elettorale del politico eletto, direzionandosi anche in settori diversi da quelli inizialmente promessi al momento del patto elettorale (ad es. appalti con riferimento a cooperative di servizi, parcheggi, rifiuti, costituite con appartenenti al clan, posti di lavoro nell'amministrazione), la condotta successivamente posta in essere dal predetto a sostegno degli interessi dell'associazione che gli ha promesso o procurato i voti può assumere, a seconda dei casi, i caratteri della partecipazione ovvero del concorso esterno all'associazione medesima, configurandosi, oltre il reato sopra indicato, anche quello di cui all'art. 416-bis c.p., (cfr. Cass. pen. Sez. VI, 9 novembre 2011, n. 43107 Cass. pen.,Sez. VI, 6 maggio 2015,n. 30143), in particolare, quando ne esce rafforzata la forza criminale del clan.

Con riferimento al comma 2 dell'art. 416-ter c.p. poi, considerato che il soggetto attivo promittente può essere chiunque promette di procurare voti con le modalità di cui al primo comma e, quindi, non solo l'appartenente ad un sodalizio mafioso ma anche l'extraneus che delinque con metodo mafioso o si frappone tra il sodalizio e l'esponente politico (ante riforma non punibile ai sensi dell'art. 416-ter c.p., presupponendosi l'assorbimento di tale condotta in quella più grave delineata dal terzo comma dell'art. 416-bis c.p.), può affermarsi ora, per tale contraente, la possibile configurabilità di un concorso materiale di reati, con possibile attenuazione del regime sanzionatorio per l'applicazione del cumulo giuridico previsto per la continuazione ex art. 81 c.p., in quanto la realizzazione del patto rappresenterebbe comunque una condotta finalizzata al rafforzamento del sodalizio criminale, rientrando, pertanto, nella nozione di medesimo disegno criminoso.

Il soggetto promittente extraneus rispetto all'associazione invece potrebbe rispondere unicamente del reato di scambio elettorale politico mafioso nel caso in cui l'associazione non ne esca effettivamente rafforzata: ciò potrebbe realizzarsi quando alla promessa non faccia seguito la realizzazione dell'accordo.

Osservazioni

La decisione in commento non nega, dunque, la rilevanza del metodo mafioso nel voto di scambio ai fini della configurabilità del nuovo art. 416-ter c.p. ma ribadisce innanzitutto l'irrilevanza del suo effettivo impiego da parte del promittente nelle attività di procacciamento di voti, considerando sufficiente che il mafioso si impegni a procurare voti affermando o anche solo lasciando intendere con allusioni o gesti eloquenti, di potersi avvalere a tale scopo della forza di intimidazione derivante dalla sua appartenenza ad una consorteria mafiosa.

Assume quindi che per la configurazione del reato non è richiesta la reale intimidazione dei singoli elettori, ma semplicemente la generica disponibilità manifestata, anche in modo implicito, dal promittente al momento della stipula dell'accordo di ricorrere a modalità di tipo mafioso dirette o anche solo larvate per il procacciamento di voti; ritiene specificamente che la disponibilità all'utilizzo del metodo mafioso per acquisire i voti in favore del candidato sceso a patti, possa ritenersi sostanzialmente manifesta laddove il promittente sia intraneo ed agisca nell'interesse dell'associazione, in quanto la la fama criminale dell'interlocutore del politico e la sua possibilità di incidere sul territorio di riferimento lo rendono appetibile come controparte nell'accordo di scambio illecito, desumendo logicamente la sussistenza dell'elemento strutturale dell'utilizzo del metodo mafioso nel procacciamento dei voti dalla incontestabile, operativa e nota sul territorio, natura mafiosa di uno dei due contraenti.

Di contro, qualora il soggetto promittente sia estraneo, è pretesa la prova chiara ed immediata della pattuizione delle modalità del procacciamento cui risulta piegato l'illecito scambio elettorale, coerentemente alla nuova formulazione normativa dell'art. 416-ter c.p., che richiede per la configurabilità di tale reato anche la prospettazione/promessa sulle specifiche modalità di acquisizione del voto, non potendosi affermare l'esistenza del metodo mafioso in virtù della sola caratura del promittente stipulante.

Seguendo le argomentazioni svolte dalla suprema Corte di cassazione. nella sentenza in commento, dunque, lo standard probatorio della connotazione mafiosa dell'attività di procacciamento dei voti, contemplata nel patto elettorale, si diversifica in ragione della qualità soggettiva del promittente.

Tale impostazione comporta delle ricadute in ordine alla integrazione dell'elemento soggettivo del reato, alla prova del dolo del candidato o di altro soggetto che per in nome e per conto del predetto stipula l'accordo, in ordine alla dimostrazione probatoria dell'accordo.

La sentenza della Corte di cassazione stimola poi l'interrogativo di quale risoluzione dare all'ipotesi del c.d. “bluff mafioso”, quando la piena consapevolezza della stipulazione del patto elettorale politico-mafioso, rimanga ad un livello mentale esclusivo di un solo contraente, specificamente, dell'uomo politico o di chi ne cura gli interessi, che è convinto di interfacciarsi con soggetto “titolato” e di spessore mafioso ma in realtà privo di potenziale delinquenziale a connotazioni mafiose e che ingenera la convinzione erronea nel proprio interlocutore di un attuale e reale potere di intimidazione e di prevaricazione secondo le modalità tipiche della malavita organizzata, in realtà inattuabile o irrealizzabile per un depotenziamento assoluto sul territorio della propria capacità criminale.

Trattandosi di reato di pericolo (posto a presidio del bene giuridico dell'ordine pubblico ma anche del principio di legalità democratica e rappresentativa della istituzioni pubbliche e, quindi, a garanzia della libertà di esercizio del diritto al voto) che si realizza per la mera stipula di un accordo tra il politico ed il mafioso sopra descritto, a prescindere dalla concreta esecuzione del patto, (con deroga al principio generale dell'irrilevanza dell'accordo non seguito dalla commissione di un delitto stabilita nell'art. 115 c.p.), a prescindere dalla concreta efficacia dell'intervento e dall'effettiva utilità elettorale dello stesso patto per il politico, si potrebbe ritenere che il candidato politico o chiunque stipuli per esso un patto di scambio politico-mafioso nell'erronea rappresentazione mentale della fondatezza e della realizzabilità di tale promessa con il metodo mafioso da parte dell'interlocutore a spessore delinqueziale, sia comunque punibile ai sensi della norma analizzata, in quanto sussistenti tutti gli elementi richiesti.

Dubbi, invece, sorgono sulla punibilità del promittente laddove il quadro probatorio non si componga di elementi chiari ed obiettivi che giustifichino il convincimento ingenerato nell'uomo politico di aver di fronte un soggetto in grado di realizzare quanto promesso attraverso gli strumenti di manipolazione e convincimento tipicamente malavitosi. In tal caso, appare preferibile la tesi della non configurabilità del reato.

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