Produzione e traffico illecito di stupefacenti di lieve entità

Michele Toriello
18 Marzo 2016

Il d.l. 146/2013 ha trasformato il fatto di lieve entità di cui al comma 5 dell'art. 73 d.P.R. 309/1990 da circostanza attenuante a reato autonomo, pur mantenendone inalterati i presupposti applicativi. Ciò ha spinto parte della dottrina a chiedersi se davvero una fattispecie autonoma di reato possa presentare identico soggetto attivo, identica condotta, identico oggetto materiale ed identico elemento soggettivo di altra fattispecie, differenziandosi da essa solo per elementi secondari ed accidentali.
Abstract

Il d.l. 146 del 24 dicembre 2013 ha trasformato il fatto di lieve entità di cui al quinto comma dell'art. 73 d.P.R. 309/1990 da circostanza attenuante ad effetto speciale a reato autonomo, rubricato come delitto di condotte illecite in tema di sostanze stupefacenti o psicotrope di lieve entità, pur mantenendone inalterati i presupposti applicativi (ciò ha spinto parte della dottrina a chiedersi se davvero una fattispecie autonoma di reato possa presentare identico soggetto attivo, identica condotta, identico oggetto materiale ed identico elemento soggettivo di altra fattispecie, differenziandosi da essa solo per elementi secondari ed accidentali – qualità e quantità delle sostanze; mezzi, modalità e circostanze dell'azione –, che, per l'appunto, stanno intorno al reato ma non ne definiscono la struttura).

L'intervento normativo, introdotto per adempiere all'obbligo – prescritto dalla Corte europea dei diritti dell'uomo nella nota sentenza Torreggiani dell'8 gennaio 2013 – di adottare incisive riforme in relazione alle condizioni di vita dei detenuti, è stato ispirato dalla dichiarata finalità di ridurre la presenza nella popolazione carceraria dei soggetti tossicodipendenti, assai spesso detenuti a seguito della commissione di fatti di contenuta gravità aventi ad oggetto sostanze stupefacenti, di regola inquadrabili nello schema del comma 5 dell'art. 73 d.P.R. 309/1990: il legislatore ha eliminato ogni possibilità che il fatto di lieve entità possa rimanere travolto dalla ritenuta prevalenza di circostanze aggravanti, impedendo che il più mite trattamento sanzionatorio del comma 5 possa essere eliso (con conseguente ritorno al ben più severo delta punitivo previsto per il reato-base) nel caso, assai frequente, in cui sia contestata una circostanza aggravante o la recidiva.

Per effetto della ulteriore novella introdotta dalla legge 16 maggio 2014, n. 79, la cornice edittale del reato è stata ulteriormente limata, attestandosi oggi nella reclusione da sei mesi a quattro anni, e nella multa da € 1.032 a € 10.329.

La circostanza che, a differenza dei delitti previsti dai precedenti commi dell'art. 73d.P.R. 309/1990, quello di cui al quinto comma sia indifferente al tipo di sostanza stupefacente trattato ha indotto alcuni Autori a dubitare della ragionevolezza dell'impianto normativo: tuttavia la Corte costituzionale, che con ordinanza n. 53 dell'11 marzo 2015 aveva ordinato la restituzione degli atti – perché rivalutasse la questione alla luce dello ius superveniens – al giudice remittente che aveva sollevato la questione in relazione al testo introdotto dal d.l. 146/2013, ha da ultimo, con sentenza n. 23 del 13 gennaio 2016, dichiarato inammissibile la nuova questione sollevata in relazione all'attuale testo della norma incriminatrice, rilevando che il problema sollevato dal giudice remittente non potrebbe essere risolto né da una pronuncia ablativa (che accentuerebbe i vizi denunciati, determinando una irragionevole e sproporzionata parificazione tra fatti lievi e non lievi), né da un intervento additivo e manipolativo (che esorbita dai poteri spettanti al giudice delle leggi), ed osservando che comunque la disposizione censurata lascia al giudice un margine di valutazione sufficientemente ampio da permettergli di graduare proporzionalmente la pena anche in ragione della natura della sostanza.

I caratteri del fatto di lieve entità

I criteri considerati sintomatici di un'offesa attenuata all'interesse protetto riguardano sia la condotta (mezzi, modalità e circostanze dell'azione) che l'oggetto materiale del reato (quantità e qualità delle sostanze); l'indagine deve essere dunque svolta guardando al dato qualitativo, al dato quantitativo ed agli altri parametri relativi alla condotta richiamati dal comma 5 dell'art. 73: ma — secondo l'oramai consolidato insegnamento dei giudici di legittimità — se anche solo uno degli indici previsti dalla legge è connotato da tale pregnanza negativa da risultare assorbente, ogni ulteriore considerazione ricavabile dagli altri indici rimane priva di concreta incidenza (cfr. Cass. pen., Sez. III, n. 31163/2014)

Il ridotto tasso di determinatezza della norma (fondata sull'applicazione di parametri suscettibili di numerose — e astrattamente parimenti ineccepibili — interpretazioni) e la duttile interazione tra i parametri (come si è appena detto, ogni parametro è potenzialmente in grado di soverchiare gli altri) ha comportato radicali ed a volte inconciliabili difformità nell'individuazione giurisprudenziale dei caratteri tipici del fatto di lieve entità. Ed invero, guardando alle pronunce di legittimità degli ultimi anni, deve rilevarsi che il fatto di lieve entità è stato riconosciuto in ipotesi relativa alla illecita detenzione di oltre 200 dosi di hashish (Cass. pen., Sez. VI, n. 10895/2013) ed escluso in ipotesi relative alla illecita detenzione di 137 ovvero di 166 dosi di hashish (cfr., rispettivamente, Cass. pen., Sez. IV, n. 39273/2008 e Cass. pen., Sez. IV, n. 23297/2011); è stato riconosciuto in ipotesi relativa alla illecita detenzione di 7,6 grammi di cocaina, idonea al confezionamento di 22 dosi medie singole (Cass. pen., Sez. VI, n. 27809/2013), nonché in ipotesi relativa alla illecita detenzione di 9,5 grammi di eroina, idonei al confezionamento di 4 dosi medie singole (Cass. pen., Sez. IV, n. 50842/2014), ed escluso in ipotesi relative alla illecita detenzione di 14 grammi di cocaina, idonea al confezionamento di 27 dosi medie singole (Cass. pen., Sez. VI, n. 46056/2014), ovvero di 11 grammi di cocaina (Cass. pen., Sez. IV, n. 47188/2007).

Certamente preponderante è il dato relativo all'elemento quantitativo: un dato ponderale esorbitante (riferito, naturalmente, non al peso lordo ma bensì alla quantità di principio attivo ricavabile) è certamente in grado di manifestare quella pregnanza negativa ed assorbente della quale si diceva, neutralizzando eventuali indicazioni favorevoli al reo rivenienti da altri parametri (cfr. Cass. pen., Sez. IV, n. 50842/2014, e Cass. pen., Sez. VI, n. 53692/2014).

Il riferimento alla qualità della droga ha indotto una parte della dottrina ed alcune pronunce di legittimità (cfr. Cass. pen., Sez. IV, n. 22643/2008 e, più di recente, Cass. pen., Sez. III, n. 24848/2014; in senso contrario, tuttavia, cfr. Cass. pen., Sez. III, n. 27064/2014) a fondare il riconoscimento del fatto di lieve sulla natura dello stupefacente: poiché, infatti, è scientificamente provato che le droghe “leggere” cagionano offese di minore entità al principale bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice, quello della salute, si è affermato che, ferma restando la necessità, in relazione alle droghe “pesanti”, di ancorare il giudizio al dato ponderale ed a quello del principio attivo, in relazione ai derivati della cannabis quel giudizio può essere utilmente fondato anche sulla minore pericolosità della sostanza. Ad analoghe conclusioni può peraltro pervenirsi — ancor più dopo la sentenza n. 32/2014 della Corte costituzionale — sulla base del vigente quadro normativo, che valorizza la minore idoneità lesiva delle condotte relative alle droghe “leggere” sia in punto di individuazione della dose media singola (con le diverse soglie e i diversi moltiplicatori del d.m. 11 aprile 2006), sia in punto di trattamento sanzionatorio, con il doppio binario ripristinato, anche se solo per i fatti “ordinari”, dalla citata declaratoria di incostituzionalità.

Sempre guardando al dato qualitativo, si rileva che di regola il fatto non può essere ritenuto lieve se è contestata una condotta relativa a più sostanze stupefacenti, soprattutto ove venga in rilievo anche la detenzione di droghe “pesanti” (in termini cfr. Cass. pen., Sez. IV, n. 43399/2010; Cass. pen., Sez. IV, n. 15445/2012; Cass. pen., Sez. III, n. 47671/2014).

In presenza di un dato quantitativo e qualitativo non particolarmente significativo, e dunque di per sé non decisivo, assumono rilievo gli aspetti relativi a mezzi (ciò che è servito al soggetto per commettere il reato: mezzi di trasporto, sostanze da taglio, immobili, sistemi di videosorveglianza per prevenire l'irruzione delle forze dell'ordine), modalità (il modo — rudimentale, ingenuo o comunque poco scaltro, o al contrario accorto, organizzato e professionale — in cui il soggetto ha commesso in reato) ed altre circostanze dell'azione (tra le quali ultime — secondo il prevalente e preferibile orientamento dei giudici di legittimità — devono ricomprendersi anche le “circostanze soggettive”, come ad esempio le finalità della condotta tenuta dall'agente: cfr. Cass. pen., Sez. un., n. 35737/2010, Rico). I tre parametri, nel testo della legge, sono separati da una congiunzione disgiuntiva e dunque è evidentemente sufficiente la valorizzazione anche solo di uno di essi, in assenza di significativi elementi che depongano in senso contrario, per il riconoscimento della lievità del fatto.

Tra i parametri di natura oggettiva vanno annoverati tutti quegli elementi che inducono a ritenere che l'episodio delittuoso ascritto all'imputato presenta minor disvalore (non solo perché riferito a quantitativi di stupefacente esigui e di per sé non significativi, ma anche) perché sintomatico di un'attività rudimentale o comunque non svolta con caratteristiche di allarmante professionalità, tenendo tuttavia ben presente che, se l'art. 74, comma 6, d.P.R. n. 309/1990 consente espressamente di riconoscere la lieve entità in relazione ai fatti posti in essere da un'associazione per delinquere, la sola circostanza che l'imputato abbia agito in modo continuativo o in collegamento più o meno stabile con altri soggetti non è di per sé sola sufficiente ad escludere la lievità del fatto (cfr. Cass. pen., Sez. VI, n. 41090/2013).

Ciò non esclude, tuttavia, la possibilità di valorizzare anche l'accertata sistematicità della condotta per escludere la lievità del fatto (cfr. Cass. pen., Sez. III, n. 19870/2014).

Quanto ai parametri di natura più prettamente soggettiva, mentre appaiono irrilevanti e non valorizzabili i precedenti penali dell'imputato, che non afferiscono all'azione la cui lievità si intende apprezzare (cfr. Cass. pen., Sez. VI, n. 21612/2014), possono venire in rilievo le finalità dell'attività delittuosa (ad es. una cessione effettuata senza fini di lucro), ovvero lo stato di tossicodipendenza ma solo in presenza di condotte di non allarmante disvalore, ove dagli atti emerga che l'imputato ha svolto una piccola attività di spaccio al fine di destinarne i proventi all'acquisto di droga per uso personale (così Cass. pen., Sez. V, n. 25883/2009); invero, l'aspetto relativo alla tossicodipendenza non può assumere pregnante rilievo in presenza di condotte di sistematica cessione a terzi di stupefacente ovvero ove il soggetto sia trovato in possesso di quantitativi non certo modici di stupefacente, come nel caso della recente pronuncia di legittimità che, valorizzando da un lato il dato relativo allo stupefacente rinvenuto (41 grammi di cocaina), e dall'altro lo stato di disoccupazione dell'imputato, ha escluso la configurabilità del fatto lieve, rilevando che alla non esiguità del dato ponderale dovesse aggiungersi proprio la considerazione relativa al conclamato stato di tossicodipendenza dell'imputato, che con la costante necessità di introiti che impone, mal si concilia con l'assenza di un'attività lavorativa in corso, ciò che conferma la deduzione — operata dal giudice di merito — del ricorso costante alla cessione per garantire il proprio fabbisogno (Cass. pen., Sez. VI, n. 44697/2013).

Gli aspetti processuali

Il delitto è attribuito al tribunale in composizione monocratica.

L'azione penale, a partire dal 21 maggio 2014 (data in cui è entrata in vigore la l. 79/2014, che ha ulteriormente ridotto la cornice edittale prevedendo una pena massima di quattro anni di reclusione), va esercitata mediante decreto di citazione diretta a giudizio.

La più mite cornice edittale comporta ridotti termini di prescrizione del reato (scesi da venti anni a sei anni, con prescrizione massima pari non più a venticinque anni ma a sette anni e sei mesi) e consente all'imputato di fruire della causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto, di cui all'art. 131-bis c.p. come introdotto dal d.lgs. 16 marzo 2015, n. 28 (sempre che non sia contestata una circostanza aggravante ad effetto speciale, quale ad esempio quella di cui all'art. 80, lett. a), del Testo unico) e di accedere all'istituto della messa alla prova introdotto dalla legge 28 aprile 2014, n. 67 (anche nel caso in cui sia contestata la circostanza aggravante ad effetto speciale di cui all'art. 80 del Testo unico: cfr. Cass. pen., Sez. VI, n. 6483/2015).

È possibile — ex art. 381 c.p.p. — l'arresto facoltativo in flagranza (in proposito, circa la possibilità di ritenere integrato uno dei presupposti che ex art. 381, comma 4, c.p.p. devono giustificare l'arresto in flagranza, la gravità del fatto, in relazione a fatti che per espressa previsione legislativa devono ritenersi di lieve entità, cfr. Cass. pen., Sez. IV, n. 25658/2013 e n. 5879/2015) ma, ex art. 280, comma 2, c.p.p., è preclusa la possibilità di irrogare la misura della custodia cautelare in carcere (possibile solo per i reati puniti con pena edittale massima di almeno cinque anni), anche all'esito del giudizio di convalida (non ricorrendo alcuno dei casi di cui all'art. 391, comma 5, c.p.p.); residua la possibilità di applicare la più afflittiva misura ove il soggetto, già ristretto agli arresti domiciliari per il delitto in questione, trasgredisca alle prescrizioni inerenti alla misura cautelare (solo in questo caso, invero, l'art. 280, comma 3, c.p.p. consente di derogare ai limiti dettati dall'art. 280, comma 2, c.p.p.).

Non può procedersi a fermo di indiziato di delitto,ex art. 384 c.p.p.

I termini di fase delle misure cautelari, ex art. 303 c.p.p., sono:

  • per la fase delle indagini preliminari di tre mesi;
  • per la fase del giudizio di primo grado di sei mesi;
  • per il caso di giudizio abbreviato di tre mesi.

I termini massimi di durata della custodia cautelare sono pari a due anni.

L'art. 266, comma 1, lettera c) c.p.p. consente, in relazione a tutti i reati concernenti le sostanze stupefacenti o psicotrope, di procedere ad intercettazioni di conversazioni o comunicazioni.

Il soggetto tossicodipendente o assuntore di sostanze stupefacenti tratto a giudizio per il delitto di cui al comma 5 dell'art. 73 d.P.R. 309/1990, che non possa godere del beneficio della sospensione condizionale della pena, può richiedere al giudice (per non più di due volte) di irrogare, in caso di condanna o di applicazione della pena, in luogo delle pene detentive e pecuniarie previste dalla fattispecie incriminatrice, quella del lavoro di pubblica utilità; prima di provvedere il giudice deve raccogliere il parere del pubblico ministero; la sanzione sostitutiva ha una durata corrispondente a quella della pena detentiva irrogata; il lavoro di pubblica utilità può essere prestato non solo presso gli enti indicati nell'art. 54 d.lgs. 274/2000 ma anche presso le strutture private autorizzate all'esercizio di attività sanitaria e socio-sanitaria in favore di soggetti tossicodipendenti o alcooldipendenti ai sensi dell'art. 116 del Testo unico; in caso di violazioni degli obblighi connessi al lavoro di pubblica utilità, il giudice — avuto riguardo all'entità ed alle circostanze della violazione — può revocare il beneficio e ripristinare la pena sostituita.

In conclusione

L'eccessivo tasso di indeterminatezza della fattispecie — ancorata a parametri di riferimento (quantità e qualità della sostanza, mezzi, modalità e altre circostanze dell'azione) vaghi e suscettibili di diverse interpretazioni — ha portato la giurisprudenza ad interpretazioni non sempre uniformi in tema di riconoscimento del fatto di lieve entità, già circostanza attenuante ad effetto speciale, oggi ipotesi autonoma di reato.

Gli elementi indicati dal legislatore non devono sussistere congiuntamente, e anche uno solo di essi può essere posto a fondamento della ritenuta lievità del fatto. Ove, tuttavia, anche solo uno degli elementi presenti pregnanti caratteristiche di negatività, la sua sola valorizzazione sarà sufficiente ad escludere che si sia in presenza di un fatto lieve.

Il dato preponderante rispetto agli altri è quello relativo all'oggetto materiale della condotta: ciò comporta che il fatto non può essere ritenuto lieve se la sostanza oggetto di contestazione presenta — alla luce dell'analisi del principio attivo — un valore ponderale non esiguo.

In presenza di valori ponderali meno significativi (ed in assenza di elementi ostativi), la lievità del fatto potrà essere riconosciuta valorizzando la natura dello stupefacente, l'esiguità del principio attivo, le non allarmanti caratteristiche dell'azione, l'episodicità della condotta, lo stato di tossicodipendenza dell'imputato.

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