Nuove contestazioni fisiologiche: l'esclusione del patteggiamento è incostituzionale

18 Luglio 2017

L'art. 516 c.p.p. è costituzionalmente illegittimo nella parte in cui non prevede la facoltà dell'imputato di richiedere il patteggiamento al giudice del dibattimento, relativamente al fatto diverso emerso nel corso dell'istruzione dibattimentale, che forma oggetto della nuova contestazione. Lo ha stabilito la Corte costituzionale, con la sentenza n. 206, depositata il 17 luglio 2017.

L'art. 516 c.p.p. è costituzionalmente illegittimo nella parte in cui non prevede la facoltà dell'imputato di richiedere il patteggiamento al giudice del dibattimento, relativamente al fatto diverso emerso nel corso dell'istruzione dibattimentale, che forma oggetto della nuova contestazione. Lo ha stabilito la Corte costituzionale, con la sentenza n. 206, depositata il 17 luglio 2017.

Le censure del giudice a quo. La pronuncia in commento trae origine dalla questione di legittimità costituzionale dell'art. 516 c.p.p., nella parte in cui non prevede la facoltà dell'imputato di richiedere al giudice del dibattimento l'applicazione di pena, a norma dell'art. 444 c.p.p., relativamente al fatto diverso emerso nel corso dell'istruzione dibattimentale, che forma oggetto di nuova contestazione.

Secondo il rimettente, anche nel caso di modificazione “fisiologica” dell'imputazione, impedire la richiesta di patteggiamento sarebbe in contrasto con l'art. 24, comma 2, Cost., perché determinerebbe una compressione dei diritti di difesa dell'imputato, al quale non potrebbe essere addebitata alcuna colpevole inerzia, né potrebbero essere attribuite le conseguenze negative di un "prevedibile" sviluppo dibattimentale il cui rischio sia stato liberamente assunto.

La disposizione censurata, inoltre, violerebbe l'art. 3 Cost., sotto due profili. In primo luogo, perché, anche in relazione alla modificazione "fisiologica" della imputazione, l'imputato che subisce una nuova contestazione verrebbe a trovarsi in una posizione diversa e deteriore, quanto alla facoltà di accesso ai riti alternativi e alla fruizione della correlata diminuzione di pena, rispetto a chi della stessa imputazione fosse stato chiamato a rispondere sin dall'inizio. In secondo luogo, perché sarebbe irragionevole una disciplina processuale, che, nel caso di contestazione "fisiologica" del fatto diverso, ex art. 516 c.p.p., consentisse all'imputato di recuperare i vantaggi connessi ad alcuni riti speciali (il giudizio abbreviato e l'oblazione), impedendo, invece, l'accesso al rito dell'applicazione della pena su richiesta delle parti.

Il precedente orientamento della Consulta sulle nuove contestazioni "fisiologiche". Rispetto alle nuove contestazioni "fisiologiche" – a quelle, cioè, effettivamente determinate dalle acquisizioni dibattimentali – la Consulta, con una serie di pronunce emesse negli anni immediatamente successivi all'entrata in vigore del codice di rito, aveva escluso che la preclusione dei riti speciali violasse gli artt. 3 e 24 Cost., ritenendo che l'interesse dell'imputato a beneficiare dei relativi vantaggi in tanto poteva rilevare, in quanto egli avesse rinunciato al dibattimento.

In particolare, la Corte aveva escluso l'irragionevolezza della preclusione all'ammissione di tali giudizi in caso di contestazione dibattimentale suppletiva, trattandosi di un'evenienza non infrequente e ben prevedibile in un sistema processuale imperniato sulla formazione della prova in dibattimento: pertanto, il relativo rischio rientra naturalmente nel calcolo in base al quale l'imputato si determina a chiederli o meno, onde egli non ha che da addebitare a sé medesimo le conseguenze della propria scelta (cfr., tra le tante, Corte cost., n. 277/1990, n. 593/1990 e n. 316/1992).

La giurisprudenza costituzionale sulle nuove contestazioni “tardive”. Con riferimento alle contestazioni dibattimentali "tardive", la Consulta è invece pervenuta, proprio rispetto al patteggiamento, ad una diversa conclusione, ritenendo che in questa ipotesi non possa parlarsi di una libera assunzione da parte dell'imputato del rischio di una nuova contestazione nel dibattimento, dato che le sue determinazioni in ordine ai riti speciali erano state sviate da una condotta processuale anomala del pubblico ministero (Corte cost., n. 265/1994): le valutazioni dell'imputato circa la convenienza del rito alternativo dipendono, anzitutto, dalla concreta impostazione data al processo dal p.m., cosicché, quando, in presenza di un'evenienza patologica del procedimento, quale è quella derivante dall'errore sull'individuazione del fatto e del titolo di reato in cui è incorso il P.M., l'imputazione subisce una variazione sostanziale, risulta lesivo del diritto di difesa precludere all'imputato l'accesso ai riti speciali.

Sulla base di tali considerazioni, sono stati dichiarati costituzionalmente illegittimi, per contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost., gli artt. 516 e 517 c.p.p., nella parte in cui non consentivano all'imputato di richiedere il patteggiamento (Corte cost., n. 265/1994) ed il giudizio abbreviato (Corte cost., n. 333/2009) relativamente al fatto diverso o al reato concorrente contestato in dibattimento, quando la nuova contestazione concerneva un fatto che già risultava dagli atti di indagine al momento dell'esercizio dell'azione penale.

Il nuovo orientamento sulle nuove contestazioni “fisiologiche”. Con due recenti sentenze, la Consulta ha cambiato il proprio orientamento in tema di nuove contestazioni "fisiologiche". Con la prima (n. 237/2012) ha dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione del principio di eguaglianza e del diritto di difesa, l'art. 517 c.p.p., nella parte in cui non consente all'imputato di chiedere al giudice del dibattimento il giudizio abbreviato per il reato concorrente, emerso nel corso dell'istruzione dibattimentale, oggetto della nuova contestazione.

Con la seconda (n. 273/2014) ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 516 c.p.p., nella parte in cui non prevede la facoltà dell'imputato di richiedere al giudice del dibattimento il giudizio abbreviato per il fatto diverso, emerso nel corso dell'istruzione dibattimentale, oggetto della nuova contestazione.

Contestazione del fatto diverso: ingiusto penalizzare l'imputato. In conformità con il nuovo indirizzo sopra ricordato, la pronuncia in commento ribadisce che, in seguito alla contestazione, ancorché "fisiologica", del fatto diverso, l'imputato che subisce la nuova contestazione viene a trovarsi in posizione diversa e deteriore – quanto alla facoltà di accesso ai riti alternativi e alla fruizione della correlata diminuzione di pena – rispetto a chi, della stessa imputazione, fosse stato chiamato a rispondere sin dall'inizio. Infatti, condizione primaria per l'esercizio del diritto di difesa è che l'imputato abbia ben chiari i termini dell'accusa mossa nei suoi confronti (cfr. Corte cost., n. 237/2012 e n. 273/2014) e ciò vale, non solo per il giudizio abbreviato ma anche per il patteggiamento: in questo procedimento, infatti, la valutazione dell'imputato è indissolubilmente legata, ancor più che nel giudizio abbreviato, alla natura dell'addebito, trattandosi, non solo di avviare una procedura che permette di definire il merito del processo al di fuori e prima del dibattimento, ma di determinare lo stesso contenuto della decisione, il che non può avvenire se non in riferimento a una ben individuata fattispecie penale.

Perciò, anche rispetto al patteggiamento, quando l'accusa è modificata nei suoi aspetti essenziali, non possono non essere restituiti all'imputato termini e condizioni per esprimere le proprie opzioni (cfr. Corte cost., n. 237/2012 e n. 273/2014). Senza contare, poi, che la modificazione dell'imputazione, oltre ad alterare in modo significativo la fisionomia fattuale del tema d'accusa, può avere riflessi di rilievo sull'entità della pena irrogabile all'imputato e, di conseguenza, sulla incidenza quantitativa dell'effetto premiale connesso al rito speciale.

Economia processuale, comportamento dell'imputato e parità di trattamento: incostituzionale l'esclusione del patteggiamento. La Consulta adduce ulteriori argomentazioni a sostegno dell'ammissione al patteggiamento anche in caso di nuove contestazioni fisiologiche. Innanzitutto, l'accesso al rito alternativo dopo l'inizio del dibattimento rimane comunque idoneo a produrre un'economia processuale, anche se attenuata, sia consentendo al giudice di verificare l'esistenza delle condizioni per l'applicazione della pena, senza alcuna ulteriore attività istruttoria, sia escludendo l'appello e, almeno tendenzialmente, anche il ricorso per cassazione.

Inoltre, la facoltà di chiedere il patteggiamento non può rimanere preclusa ritenendo che l'imputato, non avendolo chiesto prima, si sarebbe assunto il rischio di tale evenienza. Infatti, non si può pretendere che l'imputato valuti la convenienza di un rito speciale tenendo conto anche dell'eventualità che, a seguito dei futuri sviluppi dell'istruzione dibattimentale, l'accusa a lui mossa subisca una trasformazione, la cui portata resta ancora del tutto imprecisata al momento della scadenza del termine utile per la formulazione della richiesta (Corte cost., n. 273/2014).

Infine, l'esclusione del patteggiamento determina un'ingiustificata disparità di trattamento rispetto al caso del recupero, da parte dell'imputato, della facoltà di accesso al patteggiamento per circostanze puramente "occasionali" che provochino la regressione del procedimento. Ciò si verifica, in particolare, allorché, in seguito alle nuove contestazioni, il reato rientri tra quelli per cui si procede con udienza preliminare e questa non sia stata tenuta: in tale ipotesi, infatti, il giudice deve disporre la trasmissione degli atti al P.M. (artt. 516, comma 1-ter, e 521-bis c.p.p.), con l'effetto di rimettere in termini l'imputato per la richiesta del rito alternativo.

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