Reato continuato e particolare tenuità del fatto: una convivenza davvero impossibile?

18 Settembre 2017

La commissione di più reati della stessa indole in esecuzione di un unitario disegno criminoso è sempre ostativa alla non punibilità per particolare tenuità del fatto? Dei rapporti fra reato continuato e particolare tenuità del fatto, la giurisprudenza ...
Massima

La commissione di più reati della medesima indole in esecuzione di un medesimo disegno criminoso non è di ostacolo all'applicazione della causa di non punibilità di cui all'art. 131-bis c.p. quando i reati sono stati compiuti nelle medesime circostanze di tempo e di luogo (continuazione c.d. sincronica).

Il caso

Tizio, accusato dei reati di cui agli artt. 612 e 614 c.p. per essersi intrattenuto all'interno dell'abitazione della nipote, erede del defunto titolare, nonostante l'invito della stessa ad andarsene ed averla minacciata, veniva assolto dal tribunale di Rovigo in quanto ritenuto non punibile per la particolare tenuità dei fatti commessi ai sensi dell'art. 131-bis c.p.

Avverso la suddetta pronuncia interponeva ricorso per cassazione il procuratore generale presso la Corte di appello di Venezia deducendo la violazione dell'art. 131-bis c.p., in quanto all'imputato è stata ritenuta applicabile la predetta causa di non punibilità nonostante avesse commesso più reati della stessa indole. Riteneva, infatti, il ricorrente che i fatti commessi dall'imputato presentassero caratteri comuni, essendo proiettati verso il comune obiettivo di contrastare il diritto della nipote sul bene ereditario.

Il ricorso veniva dichiarato infondato sul presupposto che la commissione di più reati della stessa indole nell'ambito di un disegno criminoso unitario non sarebbe ostativa all'operatività dell'art. 131-bis c.p. quando avviene in contestualità di tempo e di luogo.

La questione

La questione in esame è la seguente: la commissione di più reati della stessa indole in esecuzione di un unitario disegno criminoso è sempre ostativa alla non punibilità per particolare tenuità del fatto?

Le soluzioni giuridiche

Dei rapporti fra reato continuato e particolare tenuità del fatto, la giurisprudenza si è occupata più volte giungendo sempre alla conclusione che la causa di esclusione della punibilità di cui all'art. 131-bis c.p. non può essere dichiarata in presenza di più reati legati dal vincolo della continuazione, in quanto anche il reato continuato configura un'ipotesi di comportamento abituale per la reiterazione di condotte penalmente rilevanti, ostativa al riconoscimento del beneficio, essendo il segno di una devianza non occasionale (Cass. pen., Sez. III, 28 maggio 2015, n. 29897; Cass. pen., Sez. III, 1° luglio 2015, n. 43816; Cass. pen., Sez. II, 15 novembre 2016, n. 1; Cass. pen., Sez. V, 14 novembre 2016, n. 4852).

Si è infatti osservato che «il riconoscimento della continuazione incide sul trattamento sanzionatorio nella misura in cui segnala la minore intensità del dolo espresso nel corso della progressione criminosa, ma non consente di ritenere il fatto, anche nella dimensione consolidata dal riconoscimento dell'unicità del disegno criminoso, come una devianza "occasionale", ovvero non reiterata. In sintesi: il riconoscimento della continuazione valorizzando l'identità del disegno criminoso incide sulla valutazione del complessivo disvalore della progressione criminosa, ma non elide la circostanza che osta al riconoscimento del beneficio, ovvero la "oggettiva" reiterazione di condotte penalmente rilevanti» (Cass. pen., Sez. III, 28 maggio 2015, n. 29897).

Diversa è la soluzione adottata dalla Suprema Corte per il concorso formale di reati. In tal caso, infatti, si ritiene che vi sia unicità di azione od omissione, seppur violativa di plurime disposizioni di legge, di talché l'istituto non implica l'abitualità del comportamento ostativa alla causa di non punibilità in parola (Cass. pen., Sez. III, 8 ottobre 2015, n. 47039).

Nel quadro ermeneutico delineato si viene a collocare, senza intenti di rottura ma solo di ulteriore specificazione, la pronuncia in esame.

Osserva, infatti, la Corte che le fattispecie esaminate nelle pronunce citate sopra riguardavano ipotesi di continuazione c.d. diacronica, ossia delitti commessi in esecuzione di un disegno criminoso unitario ma in momenti spazio-temporali distinti fra loro. La reiterazione di condotte delittuose in distinte occasioni dimostra una pervicacia criminale che non consente di stimare il fatto come occasionale.

Nel caso portato all'attenzione della Suprema Corte nella pronuncia in esame, invece, i due reati sono stati consumati nelle medesime circostanze di tempo e di luogo, poiché l'imputato, invitato a lasciare la casa altrui, non solo vi si era trattenuto, ma aveva anche minacciato il titolare.

Ad avviso della sentenza in commento, non vi sarebbe differenza, dal punto di vista dell'applicazione dell'art. 131-bis c.p., fra l'aver violato più volte la stessa norma o diverse norme incriminatrici con la medesima azione od omissione (concorso formale – omogeneo o eterogeneo – di reati ex art. 81, comma 1, c.p.) oppure con azioni od omissioni distinte ma realizzate nelle medesime circostanze di tempo e di luogo (continuazione – sincronica – ex art. 81, comma 2, c.p.). In entrambi i casi la volizione criminosa deve considerarsi sostanzialmente unica perché, anche se l'autore agisce in esecuzione di un disegno criminoso unitario, compie pur sempre le distinte azioni criminose nello stesso tempo e luogo e dunque si pone una sola volta contro l'ordinamento, a differenza della continuazione diacronica che presuppone singole volizioni a sostegno di ciascuna azione illecita commessa in diverse condizioni di tempo e luogo.

In definitiva, l'unitarietà del contesto in cui sono poste in essere le diverse condotte illecite conferisce unitarietà sostanziale alla volontà criminosa che le sorregge; ciò attribuisce al fatto complessivamente inteso quei tratti di occasionalità che consentono di stimarne la particolare tenuità ai fini dell'esenzione da pena del suo autore.

Osservazioni

Se dal punto di vista dogmatico la soluzione adottata dalla Suprema Corte nella pronuncia in esame non convince del tutto, sul piano applicativo merita adesione.

Prendendo le mosse dal primo profilo, deve osservarsi che l'art. 131-bis c.p. non può trovare applicazione quando il comportamento risulta abituale, circostanza che ricorre nel caso in cui l'autore abbia commesso più reati della stessa indole oppure reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate.

A stretto rigore, la condizione ostativa di cui sopra ricorre sia nel concorso formale di reati che nella continuazione.

Infatti, nonostante l'unità di azione od omissione, strutturalmente il concorso formale (sia omogeneo che eterogeneo) dà vita da una pluralità di reati. Ne consegue che, mentre nel concorso formale omogeneo l'imputato non potrà evitare la pena invocando la particolare tenuità del fatto, avendo commesso più reati della stessa indole (in quanto previsti dalla stressa norma), nei casi di concorso eterogeneo occorrerà accertare se i reati commessi siano o meno della stessa indole.

In merito al reato continuato, occorre premettere che, secondo l'orientamento dottrinale e giurisprudenziale dominante, esso configura una particolare ipotesi di concorso di reati che va considerato unitariamente solo per gli effetti espressamente previsti dalla legge, come quelli relativi alla determinazione della pena, mentre, per tutti gli altri effetti non espressamente previsti, la considerazione unitaria può essere ammessa esclusivamente a condizione che garantisca un risultato favorevole al reo.

Tuttavia, che lo si consideri unitariamente o meno, il reato continuato va escluso dall'ambito applicativo dell'art. 131-bis c.p. Infatti, se inteso come reato unico, esso ha ad oggetto condotte plurime; se inteso invece come pluralità di reati, il soggetto agente ha commesso più reati della stessa indole.

A fronte di tali dati normativi, deve osservarsi che se la clausola di non punibilità in esame fosse ritenuta del tutto incompatibile col reato continuato, l'art. 131-bis c.p. troverebbe applicazione nei soli casi di comportamenti isolati, risultato che si voleva evitare preferendo il concetto di non abitualità a quello di occasionalità, con buona pace degli obiettivi di deflazione processuale che si volevano conseguire con il nuovo istituto.

A ciò si aggiunga che diversa e maggiore è la capacità a delinquere dimostrata da un soggetto che, in contesti e in tempi diversi, magari in un lasso temporale ampio, reitera la condotta criminosa, sia pure nell'ambito di un medesimo disegno criminoso, rispetto a chi, eseguendo lo stesso piano, agisce in un frangente temporale unitario.

Ancor meno riprovevole è la condotta di colui che integra più reati con una sola azione od omissione, ovviamente.

Non pare allora operazione ermeneutica deprecabile quella che valorizza una concezione sostanziale della volontà criminosa, ravvisandone l'unitarietà nei contesti descritti. In fondo, colui che consuma più delitti nelle medesime circostanze di tempo e di luogo è come se si ponesse una sola volta contro l'ordinamento; la sua condotta criminosa può allora essere stimata anche come estemporanea e dunque non sintomatica di pervicacia criminale.

Guida all'approfondimento

AMATO, Più reati continuati impediscono la dichiarazione, in Guida dir., n. 36/2015, 81;

PACETTI, Particolare tenuità del fatto e reato continuato, in Cass. pen., 2015, 4432;

TRINCI, Particolare tenuità del fatto, Milano, 2016.

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