Non punibilità del favoreggiamento commesso dal convivente more uxorio

Antonio Corbo
18 Novembre 2015

Questione da tempo discussa è quella relativa alla possibile applicazione della causa di non punibilità prevista dall'art. 384, comma 1, c.p. alla condotta di favoreggiamento commessa in favore del convivente di fatto. Se la giurisprudenza costituzionale e la quasi totalità delle pronunce del giudice di legittimità risultano contrarie a tale soluzione, diversificato è l'atteggiamento della dottrina.
Abstract

Questione da tempo discussa è quella relativa alla possibile applicazione della causa di non punibilità prevista dall'art. 384, comma 1, c.p. alla condotta di favoreggiamento commessa in favore del convivente di fatto. Se la giurisprudenza costituzionale e la quasi totalità delle pronunce del giudice di legittimità risultano contrarie a tale soluzione, diversificato è l'atteggiamento della dottrina. La recentissima sentenza Cass. pen., Sez. II, 21 aprile 2015, n. 34147, alla luce di una approfondita disamina della questione ha rimesso in movimento il dibattito, approdando alla tesi dell'operatività dell'istituto nei casi in questione.

Il tema oggetto di approfondimento

La sentenza della Corte di cassazione, Sez. II, n. 34147 del 21 aprile 2015, depositata il 4 agosto 2015, esaminando una fattispecie relativa al reato di favoreggiamento personale, ha formalmente enunciato il principio di diritto secondo cui la causa di non punibilità prevista dall'art. 384, comma 1, c.p. in favore del coniuge opera anche in favore del convivente more uxorio.

Tale affermazione rappresenta una sostanziale novità nel panorama della giurisprudenza di legittimità, nel cui ambito, salvo un'affermazione invero incidentale, risulta generalmente accolta l'opposta soluzione, anche alla luce di significative indicazioni provenienti dalla giurisprudenza costituzionale.

Meno compatta, invece, appare la dottrina che si è occupata dell'argomento.

Il tema – che, è bene precisarlo, riguarda le condotte di favoreggiamento diverse da quelle di tipo dichiarativo, in quanto, per queste ultime, opera la causa di non punibilità di cui all'art. 384, comma 2, c.p., applicabile per effetto della dichiarazione di illegittimità costituzionale pronunciata dalla Corte costituzionale con sentenza n. 416 del 1996 – appare estremamente problematico per la consistenza degli argomenti addotti a sostegno di entrambe le soluzioni. Per una migliore comprensione della portata della sentenza n. 34147 del 2015, sembra preferibile muovere da una ricapitolazione della precedente elaborazione della giurisprudenza, di legittimità e costituzionale, e della dottrina.

Le soluzioni della giurisprudenza ordinaria e costituzionale

L'esame dell'elaborazione della giurisprudenza della Corte di cassazione, generalmente contraria all'applicazione della causa di non punibilità prevista dall'art. 384, comma 1, c.p. al delitto di favoreggiamento commesso dal convivente more uxorio, non può prescindere da una contestuale analisi delle pronunce della Corte costituzionale, posto che queste decisioni sono state costantemente richiamate nelle motivazioni delle sentenze di legittimità.

La Corte costituzionale, precisamente, già a partire dal 1980 e costantemente fino ad oggi, ha escluso l'incostituzionalità dell'art. 384, comma 1, c.p., nella parte in cui non è – o, meglio, non è ritenuto – applicabile alle condotte indicate (cfr. le pronunce Corte cost. 124/1980, Corte cost. 39/1981, Corte cost. 352/1989, Corte cost. 237/1986, Corte cost. 8/1996, Corte cost. 121/2004 e Corte cost. 140/2009).

In particolare, nella sentenza n. 8 del 1996, la Corte costituzionale ha evidenziato che ragioni costituzionali giustificano un differente trattamento normativo tra rapporto di coniugio e rapporto di convivenza di fatto: il primo, infatti, trova tutela diretta nell'art. 29 Cost., mentre il secondo fruisce della protezione apprestata dall'art. 2 Cost., laddove tale disposizione si riferisce ai diritti inviolabili dell'uomo nelle formazioni sociali; inoltre, ai fini della considerazione giuridica dei due rapporti, è necessario tener presente il maggior spazio da riconoscersi, nella convivenza, alla soggettività individuale dei conviventi e nel rapporto di coniugio, […] alle esigenze obiettive della famiglia come tale, cioè come stabile istituzione sovra individuale.

La pronuncia ha poi osservato che, se la distinta considerazione costituzionale dei due tipi di relazione non esclude affatto la comparabilità delle discipline riguardanti aspetti particolari dell'uno e dell'altro, sì da consentire un controllo di ragionevolezza a norma dell'art. 3 Cost. su specifiche differenze, come emblematicamente dimostrato proprio dalla sentenza n. 416 del 1996 precedentemente richiamata (ma anche dalle sentenze Corte cost. n. 404 del 1988 e Corte cost. n. 559 del 1989, in materia di diritto all'abitazione), tuttavia, al di fuori di specifici casi che possono rendere necessaria una identità di disciplina, ulteriori interventi di assimilazione sono riservati alla sfera di discrezionalità del legislatore.

Ha quindi concluso:

a) con riferimento al parametro costituito dall'art. 3 Cost., che un'eventuale dichiarazione di incostituzionalità che assumesse in ipotesi la pretesa identità della posizione spirituale del convivente e del coniuge, rispetto all'altro convivente o all'altro coniuge, oltre a rappresentare la premessa di quella totale equiparazione delle due situazioni che […] non corrisponde alla visione fatta propria dalla Costituzione, determinerebbe ricadute normative consequenziali di portata generale che trascendono l'ambito del giudizio incidentale di legittimità costituzionale;

b) con riferimento al parametro costituito dall'art. 2 Cost., che quest'ultima disposizione non impone come costituzionalmente necessaria una tutela del rapporto di convivenza di fatto implicante una generalizzata esclusione della punibilità delle condotte indicate dall'art. 384, comma 1, c.p., attesa la difforme considerazione riservata alle due situazioni, una riconducibile sotto l'egida dell'art. 29 Cost., e l'altra sotto quella dell'art. 2.

Successivamente, le medesime conclusioni ed i medesimi argomenti sono stati ribaditi nell'ordinanza n. 121 del 2004, e nella sentenza n. 140 del 2009. In quest'ultima decisione, la Corte costituzionale ha aggiunto che la diversa soluzione non può essere raggiunta neppure facendo leva sull'art. 199 c.p.p., che estende la facoltà di astensione dei prossimi congiunti dall'obbligo di deporre anche al convivente more uxorio (attuale o passato) in relazione ai fatti verificatisi o appresi dall'imputato durante la convivenza: la specifica previsione appena indicata, infatti, ad avviso della Consulta (in linea con quanto affermato nella precedente sentenza n. 352 del 2000, riferita alla fattispecie ex art. 649 c.p.), dimostra che, quando il legislatore ha inteso attribuire rilevanza giuridica al rapporto di convivenza, anziché intervenire sulla definizione generale di prossimi congiunti contenuta nell'art. 307, quarto comma, cod. pen. includendovi anche il convivente, ha ritenuto di operare scelte selettive e mirate a casi determinati.

Nella giurisprudenza della Corte di cassazione, poi, sin da tempi risalenti, si registra una costante esclusione dell'applicazione della causa di non punibilità prevista dall'art. 384, comma 1, c.p. al delitto di favoreggiamento commesso dal convivente more uxorio, in genere facendosi riferimento alla tassatività della elencazione delle persone qualificabili come prossimi congiunti contenuta nell'art. 307, comma 4, c.p. (cfr.: Cass. pen., Sez. II, 9 marzo 1982, n. 7684; Cass. pen., Sez. VI, 20 febbraio 1988, n. 6365; Cass. pen., Sez. I, 5 maggio 1989, n. 9475; Cass. pen., Sez. VI, 18 gennaio 1991, n. 132).

Più recentemente, la soluzione interpretativa in questione è stata ribadita da Cass. pen., Sez. VI, 28 settembre 2006, n. 35967; Cass. pen., Sez. II, 17 febbraio 2009, n. 20827 e Cass. pen., Sez. V, 22 ottobre 2010, n. 41139. Tutte e tre le decisioni hanno posto a fondamento delle loro conclusioni la giurisprudenza costituzionale sopra indicata, riportando anche testualmente passaggi delle motivazioni addotte da quest'ultima.

In particolare, Sez. VI, n. 35967/2006, cit. ha anche evidenziato che:

a) la prospettata equiparazione in via di interpretazione del convivente al coniuge ai fini della applicazione della causa di non punibilità prevista dall'art. 384 c.p. […] aprirebbe, infatti, inevitabilmente il problema della equiparazione anche in numerosi altri casi di previsioni legislative, talora anche in malam partem (ad es. artt. 570, 577, ultimo comma, 605 c.p.) che danno rilievo, ai più diversi fini e nei più diversi campi del diritto, alla esistenza di rapporti di comunanza di vita di tipo familiare;

b) in diversi settori dell'ordinamento risultano valutazioni differenziatrici della convivenza di fatto e del rapporto di coniugio (in materia penale: Corte cost. n. 352 del 2000; in altre materie: Corte cost. ord. nn. 204/2003, 491/2000, 481/2000, 313/2000, 1122/1988, sent nn. 461/2000, 166/1998 e 2/1998, 127/1997, 310/1989, 423/1988 e 45/1980)”.

A questo orientamento, l'unica decisione che risulta contrapposta è Cass. pen., Sez. VI, 22 gennaio 2004, n. 22398 secondo la quale anche la stabile convivenza more uxorio può dar luogo per analogia al riconoscimento della scriminante dell'art. 384 c.p.. È bene tuttavia rappresentare che tale pronuncia tratta il tema senza svolgere specifiche argomentazioni ed in via del tutto incidentale: la Corte di cassazione, infatti, nella vicenda in questione, ha rigettato il ricorso avverso una sentenza di condanna ritenendo che quest'ultima avesse correttamente escluso, in fatto, l'esistenza di un rapporto di convivenza more uxorio tra imputato di favoreggiamento e soggetto ‘favorito'.

Le tesi della dottrina

Meno univoca, come si è detto in premessa, risulta l'elaborazione della dottrina.

Già negli anni ottanta e novanta del secolo scorso, la maggior parte degli studiosi che hanno esaminato l'argomento, annotando le decisioni della Corte costituzionale, ha manifestato vive perplessità sull'indirizzo seguito dal giudice delle leggi (cfr. G. LUCCIOLI, La famiglia di fatto dinanzi alla Corte costituzionale: ancora un rifiuto di tutela, in Cass. pen. 1987, p. 681; A. MANNA, L'art. 384 c.p. e la «famiglia di fatto»: ancora un ingiustificato «diniego di giustizia» da parte della Corte costituzionale?, in Cass. pen. 1996, p. 1375; M. ZANOTTI, Una questione di costituzionalità mal posta: la facoltà di astensione dal dovere testimoniale del convivente di fatto e l'art. 29 Cost., in Giur. cost. 1996, p. 81).

L'opinione favorevole all'applicazione della causa di non punibilità di cui all'art. 384, comma 1, c.p. al convivente more uxorio, inoltre, è stata sostenuta anche valorizzando la previsione dell'art. 199, comma 1, lett. a), c.p.p., prima che la sentenza della Corte cost. n. 140 del 2009 confutasse specificamente l'argomento (D. ZOTTA, Casi di non punibilità, in I delitti contro l'amministrazione della giustizia, a cura di F. COPPI, Torino, 1996, p. 546).

Tuttavia, anche la tesi in linea con l'orientamento giurisprudenziale maggioritario annovera autorevoli sostenitori, i quali sottolineano che l'art. 307 c.p. postula una nozione tassativa di prossimi congiunti non suscettibile di estensione analogica (G. PIFFER, I delitti contro l'amministrazione della giustizia, in Trattato di diritto penale, a cura di G. MARINUCCI-E. DOLCINI, parte speciale, IV, Padova, 2005, p. 871).

La sentenza n. 34147 del 2015 delle Cassazione

Nella manifesta consapevolezza dell'esistente panorama giurisprudenziale e dottrinale, la sentenza della Corte di cassazione, Sez. II, n. 34147 del 2015, cit. ha accolto la soluzione assolutamente minoritaria tra i giudici di legittimità, offrendo un'analitica argomentazione a sostengono delle proprie conclusioni.

La decisione in esame, infatti, non si è limitata ad una puntuale disamina delle elaborazioni specifiche sul tema sottoposto alla sua cognizione: la stessa ha allargato la riflessione alla complessiva disciplina riservata dall'ordinamento giuridico alla famiglia di fatto, prestando tra l'altro particolare attenzione allo sforzo interpretativo dedicato dai giudici di legittimità alla, per certi versi, analoga previsione contemplata dall'art. 649 c.p. in relazione ai delitti contro il patrimonio.

Precisamente, la sentenza n. 34147 del 2015, nel dare conto delle pronunce della Corte costituzionale e dei moniti da questa invano indirizzati al legislatore per l'adozione di una coerente disciplina delle questioni inerenti alla famiglia di fatto, ha innanzitutto evidenziato il percorso della giurisprudenza in ordine all'interpretazione dell'art. 649 c.p. nella parte in cui, mentre prevede una causa di non punibilità a favore del coniuge non legalmente separato e la procedibilità a querela nel caso di fatto in danno di coniuge legalmente separato, nulla stabilisce con riferimento al convivente di fatto. Ha così messo in luce che, se ancora Cass. pen., Sez. V, 26 settembre 2005, n. 34339, aveva escluso con fermezza l'applicabilità dell'istituto di cui all'art. 649 c.p. alle unioni di fatto, già Corte cost., n. 423 del 1988, aveva sì dichiarato l'infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 649 c.p. ma attribuendo specifico rilievo, a tal fine, alla circostanza – riscontrata nel caso di specie – dell'avvenuto venir meno della convivenza more uxorio.

La sentenza n. 34147 del 2015, poi, sospendendo l'analisi dell'evoluzione interpretativa sull'art. 649 c.p., ha dato atto dell'evoluzione normativa e giurisprudenziale tendente alla parificazione di trattamento tra famiglia di diritto e famiglia di fatto richiamando, in particolare, gli indirizzi ermeneutici ormai consolidati sull'applicabilità della fattispecie incriminatrice di cui all'art. 572 c.p., relativa ai maltrattamenti in famiglia, anche con riferimento alla famiglia di fatto (cfr. Cass. pen., Sez. VI, 29 gennaio 2008, n. 20647), sulla necessità di tener conto dei redditi del convivente “more uxorio” ai fini dell'ammissione al gratuito patrocinio (cfr. Cass. pen., Sez. IV, 5 gennaio 2006, n. 109) e sulla rilevanza dell'esistenza di un'unione di fatto per il riconoscimento dell'attenuante della provocazione (cfr. Cass. pen., Sez. VI, 18 ottobre 1985, n. 12477).

La decisione, a questo punto, dopo aver anche rappresentato la presenza di un orientamento consolidato che esclude l'applicabilità dell'aggravante di cui all'art. 577, comma 2, c.p. (omicidio in danno del coniuge) in ragione del divieto di analogia in malam partem (cfr. Cass. pen., Sez. V, 27 febbraio 2007, n. 8121), ha evidenziato l'effetto “paradossale” derivante dall'applicazione dei diversi principi giurisprudenziali: nello stesso processo, l'imputato potrebbe vedersi negato l'accesso al gratuito patrocinio in considerazione del reddito del convivente more uxorio e negata l'applicazione della causa di non punibilità di cui all'art. 384, comma 1, c.p. per l'impossibilità di dare rilevanza alla medesima convivenza more uxorio.

Una volta illustrati tali profili, la sentenza n. 34147 del 2015 ha ripreso la trattazione del tema relativo all'interpretazione dell'art. 649 c.p. e richiamato Sez. IV 21 maggio 2009, n. 32190, la quale ha per la prima volta riconosciuto l'operatività della causa di non punibilità prevista dall'art. 649 c.p. anche al convivente more uxorio. Quest'ultima decisione dopo aver evidenziato l'evoluzione del concetto di famiglia e dopo aver sottolineato che la Corte costituzionale, con sentenza n. 352 del 2000, non aveva ritenuto irragionevole una interpretazione dell'art. 649 c.p. diversa da quella fino ad allora seguita dalla Corte di cassazione, ha messo in risalto le numerose modifiche normative intervenute a parificare il trattamento di famiglia di diritto e famiglia di fatto e precisamente:

a) la legge 66 del 1996, che ha equiparato la posizione del convivente a quella del coniuge agli effetti degli artt. 609-quater, 609-sexies;

b) la legge n. 269 del 1998, che, modificando l'art. 600-sexies c.p., ha introdotto una specifica aggravante se i reati previsti dagli artt. 600, 600-bis, 600-ter, 601 e 602 c.p. sono commessi dal convivente del coniuge;

c) la legge 154 del 2001, che ha reso applicabile anche al convivente la misura cautelare dall'allontanamento dalla casa familiare;

d) il d.l. 11 del 2009, che ha equiparato, ai fini di un'aggravante per il reato di cui all'art. 612-bis c.p., coniuge legalmente separato o divorziato e persona che sia stata legata da relazione affettiva alla persona offesa.

La medesima sentenza della Cass. pen., Sez. IV, n. 32910 del 2009, cit. ha poi osservato che, se la completa equiparazione della famiglia di fatto a quella legale è insoddisfacente, perché spesso implicherebbe l'applicazione di analogia in malam partem, è nondimeno necessario tener conto dei mutamenti sociali intervenuti, anche alla luce dell'evoluzione legislativa, e che, pertanto, anche per evitare incoerenze ed aporie, deve ritenersi operativa la causa di non punibilità prevista dall'art. 649 c.p. pure in relazione a chi sia, o sia stato, legato da identico vincolo non fondato sul matrimonio.

Peraltro, la sentenza n. 34147 ha dato anche atto che l'orientamento tradizionale in ordine all'interpretazione dell'art. 649 c.p. è stato nuovamente ribadito da Cass. pen., Sez. II, 13 ottobre 2009, n. 44047.

Conclusa questa disamina sull'istituto “parallelo”, la sentenza in esame ha rilevato che la necessità di una piena equiparazione tra famiglia fondata sul matrimonio e famiglia di fatto è imposta, tra l'altro, dall'art. 8 della Convenzione europea dei Diritti dell'Uomo, come interpretato dalla Corte europea dei Diritti dell'Uomo: quest'ultima, in particolare nelle sentenze del 13 giugno 1979, Marckx c. Belgio, e del 13 dicembre 2007, Emonet ed altri c. Svizzera, ha affermato specificamente che la nozione di famiglia accolta dall'art. 8 Cedu non si basa necessariamente sul vincolo del matrimonio, ma anche su ulteriori legami di fatto particolarmente stretti e fondati su una stabile convivenza.

La sentenza n. 34147 del 2015, cit. ha quindi aggiunto che il contrasto tra la rilevanza, agli effetti penali, della famiglia di fatto nell'ordinamento interno e l'art 8 Cedu, come interpretato dalla Corte di Strasburgo […] appare di solare evidenza, che le fonti internazionali aventi efficacia in bonam partem sono immediatamente cogenti per l'interprete, e che “l'evidenziato contrasto [può] essere senz'altro risolto in via interpretativa, poiché il necessario adeguamento interpretativo della normativa interna a quella sovranazionale (nel senso della completa equiparazione in bonam partem, ad ogni effetto penale, della famiglia pleno iure a quella di fatto) non risulta contrario ai principi costituzionali fondamentali interni, e, d'altro canto, proprio il contrasto insorto nell'ambito della giurisprudenza di legittimità sul tema, impedisce di ravvisare l'esistenza di un diritto vivente assolutamente contrario.

Da qui l'enunciazione del principio di diritto nei termini puntualmente trascritti all'inizio di questo lavoro.

In conclusione

La sentenza n. 34147 del 2015 ha sicuramente compiuto uno sforzo notevole e qualificato per assicurare coerenza al sistema.

Tuttavia, due sembrano essere i principali ostacoli all'applicabilità della causa di non punibilità prevista dall'art. 384, comma 1, c.p. al favoreggiamento commesso in favore del convivente more uxorio per via interpretativa: l'individuazione di una identità di situazioni che imponga una parità di trattamento giuridico, sia pure agli specifici fini in esame, tra coniuge e convivente more uxorio; una volta risolto positivamente questo problema, il riconoscimento della possibilità di procedere ad interpretazione analogica senza la necessità di una dichiarazione di incostituzionalità.

Per quanto attiene al primo aspetto, difficoltà a ravvisare un'assoluta identità di situazioni tra famiglia di fatto e famiglia legale derivano, in linea generale, dalla necessità di un formale atto costitutivo per la seconda, e non anche per la prima fattispecie. Non sembra trascurabile, inoltre, come il riconoscimento di una generale parità di trattamento per via interpretativa – in quanto possibile solo in bonam partem – si tradurrebbe in una disparità di trattamento in malam partem per la famiglia di diritto: per restare agli esempi offerti da Cass. pen. Sez. VI, n. 35967 del 2006, cit., il reato di violazione degli obblighi di assistenza ex art. 570 c.p. sarebbe attribuibile al coniuge, ma non al convivente di fatto, così come le aggravanti ad effetto speciale previste in tema di omicidio dall'art. 577, comma 2, c.p., e di sequestro di persona, dall'art. 605, comma 2, c.p. sarebbero riferibili al coniuge, ma non al convivente di fatto. Forse, allora, sarebbe più agevole una soluzione che prenda le mosse da una verifica circa la sussistenza di identità di situazioni tra coniuge e convivente di fatto con specifico riferimento alla ragione fondativa della causa di non punibilità prevista dall'art. 384, comma 1, c.p.

Per quanto attiene al secondo aspetto, poi, può essere utile rilevare che, una volta posta la indispensabile premessa della riconosciuta identità di situazione tra coniuge e convivente di fatto, occorrerebbe verificare se sia possibile l'interpretazione analogica di una disposizione che pone una causa (speciale) di non punibilità, quale quella in esame, o se, invece, attesa la generalmente affermata eccezionalità di tale tipo di previsioni (cfr., ad esempio, in relazione all'art. 649 c.p., le affermazioni di Sez. II, 8 aprile 2011, n. 15834), sia comunque necessaria una pronuncia additiva da parte della Corte costituzionale.

Guida all'approfondimento

G. LUCCIOLI, La famiglia di fatto dinanzi alla Corte costituzionale: ancora un rifiuto di tutela, in Cass. pen. 1987, p. 681;

G. PIFFER, I delitti contro l'amministrazione della giustizia, in I delitti contro l'attività giudiziaria, in Trattato di diritto penale, diretto da G. MARINUCCI-E. DOLCINI, parte speciale, vol. IV, Padova, 2005;

N. PISANI, Casi di non punibilità, in Reati contro la pubblica amministrazione e contro l'amministrazione della giustizia, in Trattato teorico pratico di diritto penale, diretto da F. PALAZZO ed E. PALIERO, Torino, 2011;

M.G. ROSA, Art. 384 c.p., in I delitti contro l'amministrazione della giustizia e i delitti contro il sentimento religioso e la pietà dei defunti, in Codice di diritto penale, Rassegna di giurisprudenza e dottrina, diretto da G. LATTANZI-E. LUPO, Milano, 2010;

A. MANNA, L'art. 384 c.p.e la «famiglia di fatto»: ancora un ingiustificato «diniego di giustizia» da parte della Corte costituzionale?, in Cass. pen. 1996, p. 1375;

M. ZANOTTI, Una questione di costituzionalità mal posta: la facoltà di astensione dal dovere testimoniale del convivente di fatto e l'art. 29 Cost., in Giur. cost. 1996, p. 81;

D. ZOTTA, Casi di non punibilità, in I delitti contro l'amministrazione della giustizia, a cura di F. COPPI, Torino, 1996, p. 546.

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