I poteri di impugnazione della parte civile rispetto ai fatti per i quali l’azione penale è prescritta

Angelo Zampaglione
18 Dicembre 2015

Il giudice di appello, nel dichiarare l'estinzione del reato per prescrizione o per amnistia su impugnazione, anche ai soli effetti civili, della sentenza di assoluzione ad opera della parte civile, può condannare l'imputato al risarcimento dei danni in favore di quest'ultima.
Massima

Il giudice di appello, nel dichiarare l'estinzione del reato per prescrizione o per amnistia su impugnazione, anche ai soli effetti civili, della sentenza di assoluzione ad opera della parte civile, può condannare l'imputato al risarcimento dei danni in favore di quest'ultima, atteso che l'art. 576 c.p.p. conferisce al giudice dell'impugnazione il potere di decidere sul capo della sentenza anche in mancanza di una precedente statuizione sul punto.

La previsione di cui all'art. 576 c.p.p. conferisce al giudice penale dell'impugnazione il potere di decidere sulla domanda di risarcimento, ancorché in mancanza di una precedente statuizione sul punto, poiché, introducendo una deroga all'art. 538 c.p.p. legittima la parte civile non soltanto a proporre impugnazione contro la sentenza di proscioglimento ma anche a chiedere al giudice della impugnazione, ai fini dell'accoglimento della propria domanda di risarcimento, di affermare, sia pure incidentalmente, la responsabilità penale dell'imputato ai soli effetti civili, statuendo in modo difforme, rispetto al precedente giudizio, sul medesimo fatto oggetto dell'imputazione e sulla sua attribuzione al soggetto prosciolto. In tal caso, non sussiste un difetto di giurisdizione civile del giudice penale dell'impugnazione perché, diversamente dall'art. 578 c.p.p. – che presuppone la dichiarazione di responsabilità dell'imputato e la sua condanna, anche generica, al risarcimento del danno – l'art. 576 c.p.p. presuppone una sentenza di proscioglimento.

Il caso

Il tribunale, chiamato a giudicare Tizio, Caio e Sempronio per i reati di apertura abusiva di luoghi di pubblico spettacolo o intrattenimento e di disturbo della quiete pubblica, assolveva il primo per non aver commesso il fatto e condannava gli altri due alla pena di un mese di arresto e di cento euro di ammenda, nonché al risarcimento dei danni in favore della parte civile.

A seguito di appello proposto sia dagli imputati condannati Caio e Sempronio sia dalle parti civili nei confronti dell'imputato assolto Tizio, la Corte territoriale riformava l'impugnata sentenza dichiarando il non doversi procedere nei confronti Caio e Sempronio per intervenuta prescrizione dei reati (confermando le statuizioni civili) e condannando Tizio al risarcimento dei danni cagionati alle parti civili.

Più precisamente, il giudice di secondo grado, dopo aver valutato l'appello dei condannati ai soli fini civilistici e ricorrendone i presupposti dell'art. 578 c.p.p., confermava le ragioni di responsabilità di Caio e Sempronio. Nei confronti dell'imputato Tizio accoglieva le doglianze delle parti civili, ferma restando l'impossibilità di incidere sul giudicato penale già formatosi per la mancata presentazione di impugnazione della parte pubblica.

Contro tale sentenza Tizio ricorreva per cassazione lamentando la violazione delle norme di rito e la mancanza e manifesta illogicità della motivazione, ai sensi degli art. 606, comma 1, lett. b), c) ed e), c.p.p. in relazione agli artt. 576, 578, 597 e 605 c.p.p. In primo luogo, il ricorrente riteneva l'appello delle parti civili inammissibile per mancanza da parte del procuratore di specifico mandato ad impugnare, non essendo stata appellata dagli organi inquirenti (procura della Repubblica o procura generale) la sentenza di assoluzione emessa in primo grado e non essendo sufficiente la procura speciale rilasciata per la costituzione di parte civile. In secondo luogo, Tizio riteneva che il giudice, avendo oltrepassato il potere riconosciutogli dalla legge e attribuito alla impugnazione della parte civile una estensione cognitiva finalizzata alla rimozione del vincolo extrapenale, dipendente dalla decisione assolutoria esecutiva, avesse formulato un giudizio su una domanda relativa al capo civile, necessariamente dipendente da un accertamento sul fatto reato. Riteneva che si fosse pronunciato, pertanto, sulla responsabilità dell'autore dell'illecito. Secondo il ricorrente, così facendo la sentenza avrebbe creato un conflitto di giudicati e, ribellandosi al giudicato assolutorio per un reato prescritto e depenalizzato, lo ha condannato al risarcimento del danno.

La questione

Il quesito di cui è stata investita la Corte di legittimità è il seguente: nel dichiarare l'estinzione del reato per prescrizione o per amnistia su impugnazione, anche ai soli effetti civili, della sentenza di assoluzione ad opera della parte civile, è consentito al giudice di appello condannare l'imputato al risarcimento dei danni in favore di quest'ultima, anche in mancanza di una precedente statuizione sul punto?

Le soluzioni giuridiche

Due sono le questioni principali affrontate dalla prima Sezione nella pronuncia in commento: in primis, quella relativa all'ammissibilità dell'appello presentato dal procuratore della parte civile munito della sola procura speciale conferita per la costituzione di parte civile; in secondo luogo, quella concernente i poteri di impugnazione della parte civile rispetto ai fatti per i quali l'azione penale è prescritta ed, in particolare, il diverso ambito applicativo degli artt. 576 e 578 c.p.p.

La prima questione è stata risolta sulla scorta del consolidato indirizzo giurisprudenziale delle Sezioni unite che considerano legittimamente proposto l'appello del difensore della parte civile munito di procura speciale (mandato alle liti) anche se non concernente espresso riferimento al potere di interporre il detto gravame, posto che la presunzione di efficacia della procura per un solo grado del processo”, stabilita dall'art. 100, comma 3, può essere vinta dalla manifestazione di volontà della parte – desumibile dalla interpretazione del mandato – di attribuire anche un siffatto potere (Sez. un., 27 ottobre 2004, Mazzarella, in Mass. Uff., 229179).

Nel caso di specie, la formula utilizzata nella procura conferita al difensore era molto ampia essendo stata la medesima conferita ai fini della costituzione di parte civile e del compimento “di tutti gli atti ritenuti necessari, utili ed opportuni nell'interesse dei mandanti, in ogni stato e grado del giudizio, compresa la proposizione di impugnazioni”. Di questo ne hanno compiutamente dato atto i giudici della pronuncia in commento, evidenziando che «il contenuto del mandato, la cui sottoscrizione è stata debitamente autenticata, è all'evidenza univocamente dimostrativo della volontà delle parti civili di non limitare il potere rappresentativo del loro difensore fiduciario a presentare il solo atto di costituzione e a resistere all'impugnazione dell'imputato ovvero contraddire a essa, ma di estendere il potere rappresentativo conferito in prospettiva attiva al fine, per quanto qui di interesse, di impugnare la sentenza e le statuizioni sfavorevoli».

Con riferimento alla seconda e più rilevante questione i giudici della prima Sezione hanno richiamato un loro orientamento in tema di effetti civili della decisione, ricordando che la disciplina di cui all'art. 578 c.p.p. non è applicabile quando l'appellante o il ricorrente sia la parte civile, alla quale l'art. 576 c.p.p. riconosce il diritto ad una decisione incondizionata nel merito sulla propria domanda, atteso che dette norme disciplinano situazioni processuali ed hanno ambiti di operatività diversificati, mirando l'art. 578 c.p.p. a non fare acquistare efficacia di giudicato al capo della sentenza relativo all'azione risarcitoria ove non concorra una impugnazione della parte civile, mentre l'art. 576 c.p.p. conferisce al giudice dell'impugnazione il potere di decidere sulla domanda al risarcimento e alle restituzioni pur in assenza di una precedente statuizione sul punto (Cass. pen, Sez. III, 11 febbraio 2004, n. 18056).

Del medesimo avviso anche la dottrina. Il raffronto sul piano esegetico-sistematico del contenuto degli artt. 578 e 576 c.p.p., suffraga l'inferenza circa la diversa proiezione delle citate disposizioni, dovendosi concludere che l'art. 578 c.p.p. trova applicazione se con l'impugnazione per gli effetti penali, idonea a impedire il formarsi del giudicato, non concorra un'impugnazione per gli effetti civili, mentre l'art. 576 c.p.p. opera nel caso opposto, cioè allorché sussista l'impugnazione della parte civile unita, o meno, a quella di altri legittimati (Nuzzo, Sui poteri del giudice dell'impugnazione in materia civile nell'ipotesi di estinzione del reato, in Cass. pen., 2008).

Anche questa seconda questione giuridica è stata adeguatamente affrontata e risolta dalle Sezioni unite le quali, in primo luogo, hanno osservato che la normativa processuale penale vigente ha scelto l'autonomia dei giudizi sui due profili di responsabilità, civile e penale, nel senso che l'impugnazione proposta ai soli effetti civili non può incidere sulla decisione del giudice del grado precedente in merito alla responsabilità penale del reo ma il giudice penale dell'impugnazione, dovendo decidere su una domanda civile, necessariamente dipendente da un accertamento sul fatto di reato, e dunque sulla responsabilità dell'autore dell'illecito extracontrattuale, può, seppure in via incidentale, statuire in modo difforme sul fatto oggetto dell'imputazione, ritenendolo ascrivibile al soggetto prosciolto ed, in secondo luogo, hanno precisato che il giudice investito dell'impugnazione della parte civile, contro una sentenza di assoluzione per gli interessi civili, ripete per intero le sue attribuzioni dall'art. 576 c.p.p. […] e [...] ha, nei limiti del devoluto e agli effetti della devoluzione, i poteri che il giudice di primo grado avrebbe dovuto esercitare. Di conseguenza, sempre stando al dicta del Collegio esteso, il giudice di appello se si convince che tale giudice ha sbagliato nell'assolvere l'imputato ben può affermare la responsabilità di costui agli effetti civili e (come indirettamente conferma il disposto di cui all'art. 622 c.p.p.) condannarlo al risarcimento o alle restituzioni, in quanto l'accertamento incidentale equivale virtualmente – oggi per allora – alla condanna di cui all'art. 538, comma 1, c.p.p. che non venne non pronunziata per errore. Pertanto, il giudice di appello, nel dichiarare l'estinzione del reato per prescrizione o per amnistia su impugnazione, anche ai soli effetti civili, della sentenza di assoluzione ad opera della parte civile, può condannare l'imputato al risarcimento dei danni in favore di quest'ultima, atteso che l'art. 576 c.p.p. conferisce al giudice dell'impugnazione il potere di decidere sul capo della sentenza anche in mancanza di una precedente statuizione sul punto (Sez. un., 11 luglio - 19 luglio 2006, n. 25083).

Infine, non essendo inammissibile l'impugnazione della parte civile contro la sentenza di assoluzione, non impugnata dal pubblico ministero, anche se sia rilevata l'estinzione del reato per prescrizione alla data della sentenza di primo grado, la previsione di cui all'art. 576 c.p.p. conferisce al giudice penale dell'impugnazione il potere di decidere sulla domanda di risarcimento, ancorché in mancanza di una precedente statuizione sul punto, poiché, introducendo una deroga all'art. 538 c.p.p. legittima la parte civile non soltanto a proporre impugnazione contro la sentenza di proscioglimento ma anche a chiedere al giudice della impugnazione, ai fini dell'accoglimento della propria domanda di risarcimento, di affermare, sia pure incidentalmente, la responsabilità penale dell'imputato ai soli effetti civili, statuendo in modo difforme, rispetto al precedente giudizio, sul medesimo fatto oggetto dell'imputazione e sulla sua attribuzione al soggetto prosciolto. In tal caso, non sussiste un difetto di giurisdizione civile del giudice penale dell'impugnazione perché, diversamente dall'art. 578 c.p.p. – che presuppone la dichiarazione di responsabilità dell'imputato e la sua condanna, anche generica, al risarcimento del danno – l'art. 576 c.p.p. presuppone una sentenza di proscioglimento (Cass. pen., Sez. V, 27 ottobre 2010 – 1 febbraio 2011, n. 3670).

Osservazioni

La prima questione affrontata è quella sulla legittimazione del difensore della parte civile costituita a proporre appello contro la sentenza di primo grado ed, in particolare, sull'individuazione delle forme attraverso le quali si manifesta l'effettiva attribuzione di tale potere al difensore medesimo.

Giova al riguardo una premessa: il difensore della parte civile, a differenza del difensore dell'imputato, non è titolare di un autonomo potere di impugnazione della sentenza. Infatti, mentre il terzo comma dell'art. 571 c.p.p. prevede che può inoltre proporre impugnazione il difensore dell'imputato al momento del deposito del provvedimento ovvero il difensore, nominato a tal fine, l'art. 576 c.p.p., che si occupa della impugnazione della parte civile, parla esclusivamente di quest'ultima, e non del suo difensore. Ne consegue che il difensore della parte civile – per proporre appello in nome e per conto dei propri assistiti – dovrà a ciò essere espressamente legittimato da un atto che gliene conferisca il relativo potere.

Quindi, la parte civile può proporre impugnazione per mezzo del suo difensore soltanto se questi è munito di procura speciale per il grado di giudizio da instaurare. Ma tale procura può essere anche quella conferita originariamente, a norma dell'art. 100 c.p.p., purché sia espressamente estesa ai gradi ulteriori. Il terzo comma della medesima norma, poi, stabilisce che la procura speciale si presume conferita soltanto per un determinato grado del processo, quando nell'atto non è espressa una volontà diversa.

Sul punto, è ormai granitico il già richiamato orientamento delle Sezioni unite in base al quale è legittimamente proposto l'appello del difensore della parte civile munito di procura speciale (mandato alle liti) anche se non concernente espresso riferimento al potere di interporre il detto gravame, posto che la presunzione di efficacia della procura per un solo grado del processo, stabilita dall'art. 100, comma 3, c.p.p. può essere vinta dalla manifestazione di volontà della parte – desumibile dalla interpretazione del mandato – di attribuire anche un siffatto potere (Sez. un., 27 ottobre 2004, Mazzarella, in Mass. Uff., 229179).

Per quanto attiene la seconda questione affrontata, è possibile che, conclusosi il processo di primo grado con una sentenza di proscioglimento, il pubblico ministero decida di rimanere inerte e che, di conseguenza, l'appello venga presentato dalla sola parte civile. Come noto, a quest'ultima è concesso di impugnare ai soli effetti della responsabilità civile, e la sentenza di assoluzione non appellata dal pubblico ministero diventa irrevocabile sotto il profilo penale. Tuttavia, poiché la parte civile impugna il provvedimento di assoluzione al fine di ottenere la condanna alle restituzioni e al risarcimento dei danni anche non patrimoniali, la condanna che ne scaturisce presuppone, sotto un profilo logico, un accertamento della responsabilità penale dell'imputato.

Nel caso di specie, la Corte di appello ha fornito esatta interpretazione ed applicazione dei principi illustrati, poiché, dopo la corretta premessa della impossibilità di incidere sul giudicato penale, già formatosi per l'acquiescenza prestata alla pronuncia assolutoria dagli organi dell'accusa, è coerentemente pervenuta, in accoglimento dell'appello delle parti civili, alla condanna dell'imputato e ricorrente Tizio, al risarcimento dei danni, da liquidarsi nella competente sede civile, in favore delle medesime, non ritenendo la richiesta pregiudicata dalla mancanza di precedente statuizione sul punto.

Come ben evidenziato dai giudici della prima Sezione, tutto ciò trova inequivocabile conferma nella giurisprudenza di legittimità, avendo le Sezioni unite affermato che il giudice chiamato a decidere sull'appello della parte civile, dovendo pronunciarsi su una domanda civile che dipende da un accertamento sul fatto di reato, può, in via incidentale, affermare la responsabilità penale dell'imputato (Sez. un., 11 luglio 2006, Negri, Mass. Uff. 233918).

In definitiva, in questi casi, il giudicato si sdoppia e si avranno due differenti decisioni: un giudicato di assoluzione ai fini penali ed una sentenza di appello che afferma la responsabilità dell'imputato come presupposto di una condanna al risarcimento, che è idonea a diventare un giudicato ai fini civilistici, se confermata in cassazione. Soluzione questa coerente con il principio di separazione delle giurisdizioni (Tonini, Manuale di procedura penale, Milano, XVI Ed., 2015, 923).

Guida all'approfondimento

L. Algeri, L'impugnazione della parte civile, Padova, 2014, 101 ss.

Bricchetti, Dalla formula utilizzata nel mandato l'estensione del potere dell'avvocato, in Giust. pen., 2005, III, 491.

F. Nuzzo, Sui poteri del giudice dell'impugnazione in materia civile nell'ipotesi di estinzione del reato, in Cass. pen., 2008.

A. Pennisi, “Precedente condanna” e poteri di decisione del giudice penale sull'azione civile, in Dir. pen. e proc., n. 2/2007, 226 e ss.

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