La modifica delle misure cautelari in sede di attenuazione delle esigenze cautelari: cumulate giudici, cumulate

Enrico Campoli
19 Aprile 2017

La cumulatività delle misure coercitive non custodiali, in seguito alla riforma ex legge 47/2015, costituisce, oramai, un principio sistemico generale della materia cautelare che deve trovare applicazione anche in sede di attenuazione delle esigenze cautelari.
Massima

L'art. 299, comma 2, c.p.p., alla luce della lettura sistematica delle norme in materia cautelare, non preclude la cumulatività delle misure cautelari non custodiali in sede di attenuazione delle esigenze cautelari.

Il caso

Il giudice per le indagini preliminari (e non delle indagini preliminari, come pervicacemente, viene denominato, nella sentenza in commento, dai giudici di legittimità) sostituisce, ex art. 299, comma 2, c.p.p., la misura cautelare degli arresti domiciliari con quelle, cumulative, dell'obbligo di dimora nel comune di residenza e dell'obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria.

Il tribunale del riesame conferma l'ordinanza del giudice per le indagini preliminari condividendo l'applicazione della cumulatività in sede di attenuazione delle esigenze cautelari.

Avverso il provvedimento dell'organo di gravame formula (personalmente) ricorso per cassazione l'indagato assumendo l'erronea applicazione degli artt. 275, comma 3, e 299, comma 2, c.p.p. sotto il profilo dell'applicazione cumulativa di misure cautelari coercitive al di fuori delle ipotesi previste dalla legge.

La questione

Antecedentemente alla riforma introdotta dalla legge 47/2015 le Sezioni unite della Corte di cassazione, (sent. n. 29907 del 30 maggio 2006), dinanzi a qualche timido tentativo della giurisprudenza di merito di estendere la cumulatività delle misure coercitive non custodiali, sbarravano la strada ad ogni interpretazione di questa natura affermando, perentoriamente, che l'applicazione cumulativa di misure cautelari personali può essere disposta soltanto nei casi previsti dalla legge agli artt. 276, comma 1, e 307, comma 1-bis, c.p.p.

Le incisive novelle del testo dell'art. 275 c.p.p. (comma terzo: La custodia cautelare in carcere può essere disposta soltanto quando le altre misure coercitive o interdittive, anche se applicate cumulativamente, risultino inadeguate), destinate, da un lato, a potenziare il significato dell'accesso alla custodia in carcere quale extrema ratio della gradualità cautelare e, dall'altro, in forza anche delle plurime decisioni della Corte costituzionale, a scardinare ogni presunzione di adeguatezza, se non valutando la specifica idoneità di ciascuna in relazione alla natura ed al grado delle esigenze cautelari da soddisfare nel caso concreto (comma primo dello stesso articolato), hanno rimescolato del tutto l'intera materia.

Alle ipotesi, già prima esistenti, della trasgressione alle prescrizioni imposte (art. 276, comma 1, c.p.p.) e della decorrenza dei termini per alcuni reati (art. 307, comma 1-bis, c.p.p.), è stata affiancata, espressamente, la possibile applicazione cumulativa delle misure non custodiali sia in fase genetica (a mezzo della suddetta riscrittura dell'art. 275, comma 3, c.p.p.) che in quella evolutiva della sostituzione in seguito all'aggravamento delle esigenze cautelari (interpolando, appositamente, l'art. 299, comma 4, c.p.p.).

Parallelamente a tali significative innovazioni l'art. 299, comma 2, c.p.p., invece – che riguarda sì la sostituzione delle misure cautelari personali ma in relazione alla situazione fattuale opposta dell'attenuazione delle esigenze cautelari – non veniva fatto oggetto di alcun intervento in sede di riforma rimanendo ancorato ad una declinazione “antica”, negatrice, in punto di lettera, all'applicazione congiunta – ( … quando le esigenze cautelari risultano attenuate ovvero la misura cautelare non appare più proporzionata all'entità del fatto o alla sanzione che si ritiene possa essere irrogata, il giudice sostituisce la misura con altra meno grave ovvero ne dispone l'applicazione con modalità meno gravose).

Secondo il ricorrente, proprio in ragione del fatto che l'art. 299, comma 2, c.p.p. è rimasto immune da ogni intervento di modifica dimostra che la riforma della legge 47/2015 ha consentito sì l'estensione dell'applicazione cumulativa delle misure cautelari personali (diverse da quelle custodiali) anche al fuori delle ipotesi già previste dagli artt. 276 e 307 c.p.p. ma ciò solo nella fase genetica della loro applicazione, ex art. 275, comma 3, c.p.p. ovvero in quella di aggravamento delle esigenze cautelari, ex art. 299, comma 4, c.p.p. ma mai in sede di attenuazione di quest'ultime.

Si sostiene, pertanto, nel ricorso di legittimità che la violazione del (presunto) divieto a provvedere al cumulo delle misure coercitive non custodiali in sede di sostituzione ex art. 299, comma 2, c.p.p. – divieto che discende dal principio della domanda cautelare ex art. 291 c.p.p. e dal principio di legalità ex art. 272 c.p.p. – non solo comporta, in astratto, l'emissione di un'ordinanza “estranea al sistema” ma determina anche, in concreto, nel combinare l'obbligo di dimora e le relative prescrizioni e l'obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria una cumulatività assimilabile agli arresti domiciliari senza il beneficio tipico di quest'ultimi in merito al calcolo del presofferto o dei termini di fase.

Le soluzioni giuridiche

I giudici di legittimità, con la sentenza in commento, hanno affermato i seguenti principi di diritto :

  • le modifiche introdotte dal legislatore del 2015 rinvengono una comune ratio nella funzionalità ad assicurare una più pregnante tutela al principio del “minor sacrificio della libertà personale” (Corte cost., sent. n. 299 del 2005), principio questo, che deve guidare anche l'interprete valorizzando la “logica dell'art. 13 della Carta fondamentale, la quale impone, di individuare, tra più interpretazioni, quella che riduca al minimo il sacrificio per la libertà personale” (Corte cost., sent. n. 292 del 1998);
  • la collocazione della modifica di cui all'art. 9 della l. n. 47 nel corpo del solo comma 4 dell'art. 299 c.p.p. (non è) di ostacolo all'applicabilità congiunta di altre misure cautelari anche nel caso di sostituzione della misura di cui al comma 2 dello stesso art. 299 c.p.p..
Osservazioni

I giudici di legittimità, nella loro pronuncia, prima di affrontare la questione centrale della cumulatività in sede di attenuazione delle esigenze cautelari, prendono in considerazione un argomento (offerto dal ricorso) che solo apparentemente è distonico rispetto ad essa, tanto da costituire poi l'occasione per dettare i corollari del principio di diritto affermato in quella stessa sede.

Nel contestare, difatti, l'affermazione che l'applicazione congiunta di alcune misure non custodiali possa comportare un pregiudizio corrispondente a quello degli arresti domiciliari, senza, al contempo, prevedere la possibilità di beneficiare dell'equiparazione normativa di quest'ultimi alla custodia in carcere (art. 284, comma 5, c.p.p.) – come accade, ad esempio, riguardo alla decorrenza di termini di fase (artt. 303-308 c.p.p.) ovvero per lo scomputo dalla pena definitiva del presofferto cautelare (art. 657 c.p.p.) – nella sentenza si ha occasione di puntualizzare che l'applicabilità cumulativa delle misure – quest'ultima, come vedremo più innanzi, intesa tout court – incontra un duplice limite operativo: il primo, che il giudice, allorquando provvede in sede di attenuazione delle esigenze cautelari (art. 299, comma 2, c.p.p.), nello stabilire il cumulo delle misure non custodiali non può determinare, per l'interessato, una condizione di maggiore afflitività di quella sofferta in precedenza, ed, il secondo, che i contenuti esecutivi delle stesse non devono fuoriuscire dai canoni di legalità e tassatività previsti dalla legge (ne costituisce, del resto, implicita conferma la circostanza che laddove la misura dell'obbligo di dimora si associa ad alcuni effetti tipici degli arresti domiciliari, – come accade quando alla stessa si combinano le prescrizioni di cui al comma quarto dell'art. 283 c.p.p. (c.d. arresti domiciliari minori), la giurisprudenza di legittimità ne nega, in linea di principio, ai fini dello scomputo dalla pena definitiva del presofferto cautelare, l'assimilabilità al regime custodiale, (Cass. pen., Sez. I, n. 47428/2007) ma sempre fatti salvi i casi in cui tali prescrizioni si dovessero svolgere con modalità gravose, come il divieto di allontanamento dal domicilio per un ampio arco della giornata (Cass. pen., Sez. II, n. 44502/2015).

Ed è proprio alla luce dei suddetti corollari che l'estensione della cumulatività delle misure coercitive non custodiali può essere ritenuta, in seguito alla riforma della legge 47/2015, uno degli antecedenti sistemici di tutta la materia cautelare.

Essa, difatti, pervade ogni aspetto della vicenda cautelare, a far momento dall'applicazione genetica per poi seguirne, indispensabilmente, ogni evoluzione successiva in considerazione della potenziale necessità di ragguagliarne, costantemente, l'adeguatezza e la proporzionalità.

Il dato letterale del comma 2 dell'art. 299 c.p.p., che delimita il potere di modifica del giudice, stabilendo che quest'ultimo nel caso di attenuazione delle esigenze cautelari sostituisce la misura con altra meno grave ovvero ne dispone l'applicazione con modalità meno gravose, deve ritenersi oramai anacronistico rispetto all'evoluzione complessiva della disciplina che privilegia la cumulatività delle misure come strumento ulteriore per evitare, il più possibile, il sacrificio della libertà personale.

Ogni interpretazione diversa – tesa cioè ad escludere la cumulatività dal solo momento dell'attenuazione delle esigenze cautelari – renderebbe illogico il sistema cautelare sottoponendolo a tensioni interpretative disancorate da ogni corretto inquadramento costituzionale.

Accadrebbe, difatti, che ciò che sarebbe permesso in sede applicativa, ovvero di aggravamento o di trasgressione, risulterebbe vietato in sede di attenuazione per cui due indagati dello stesso procedimento per il solo fatto di essere stati cautelarmente trattati in modo diverso nel momento iniziale possano vedersi, in presenza di analoghe circostanze fattuali maturate nel corso del tempo, applicato un regime cautelare differenziato solo in forza di una erronea preclusione ricavata esclusivamente dal dato letterale della norma, e ciò nonostante il giudice ritenga di poter, invece, aggiornare le cautele rappresentate dall'art. 274 c.p.p. in modo diverso e meno afflittivo per l'interessato.

Lo stesso principio di proporzionalità ed adeguatezza, nell'impedire l'accesso alla cumulatività proprio in un momento nevralgico quale quello dell'attenuazione delle esigenze cautelari, finirebbe per contemplare un vulnus nell'evoluzione della vicenda cautelare, la quale deve prendere in considerazione anche ogni accadimento successivo al momento genetico con tutti gli strumenti possibili e, soprattutto, senza alcuna paradossale esclusione.

Guida all'approfondimento

ENNIO AMODIO, Inviolabilità della libertà personale e coercizione cautelare minima, in Cass. pen., 1/2014.

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