L'utilizzabilità delle intercettazioni come corpo di reato

Raffaele Frate
19 Maggio 2016

Le Sezioni unite si sono espresse sulla questione se, in tema di intercettazioni, telefoniche o ambientali, utilizzate in altri procedimenti, la comunicazione intercettata, costituente condotta delittuosa, sia qualificabile, essa stessa o il supporto registrante, interamente o in parte, corpo di reato.
Massima

La conversazione o comunicazione intercettata costituisce corpo del reato allorché essa integra di per sé la fattispecie criminosa e, in quanto tale, è utilizzabile nel processo penale.

Il caso

In tema di intercettazioni, le Sezioni unite della Corte di cassazione sisono occupate della questione relativa all'utilizzodelle stesse in procedimento diverso quale corpo del reato.

La questione in parola trae origine dal caso riguardante due militari dell'Aliquota radiomobile del Comando Compagnia Carabinieri, i quali erano stati riconosciuti responsabili del delitto di distruzione e deterioramento di cose militari aggravato (artt. 40 e 110 c.p. e art. 169 e 47 c.p.m.p.) perché, in servizio di perlustrazione a bordo di autovettura di proprietà dell'Amministrazione militare, avevano intenzionalmente mandato il motore “fuori giri”, portato l'autovettura a velocità elevata e innestato per due volte la prima marcia, provocando la rottura del cambio e del differenziale. In prima istanza la sentenza, poi confermata in appello, fondava la statuizione di responsabilità, tra l'altro proprio sulle risultanze della registrazione digitale sonora di quanto avvenuto a bordo dell'autovettura.

La captazione audio, più precisamente, contenente non soltanto rumori ma anche le voci degli imputati, descrittive della condotta tenuta e ritenute espressive del compiacimento di entrambi, era stata tratta da un dispositivo per intercettazione ambientale installato sul veicolo nel contesto di indagini per reati diversi a carico di militari del medesimo Comando. A stretto rigore, quindi, non esportabile nel procedimento ad quem, non essendo previsto l'arresto obbligatorio in flagranza per il reato di distruzione e deterioramento di cose militari aggravato (art. 270, comma 1, c.p.p.); eppure, acquisita nel corso del dibattimento e utilizzata dai giudici di merito per fondare il giudizio di responsabilità perché ritenuta nella sua interezza corpo di reato (art. 431, comma 1, lett. h) c.p.p.).

Sul punto, la prima Sezione penale della suprema Corte, cui era stato assegnato il ricorso, aveva rilevato un contrasto di orientamenti in seno alla giurisprudenza di legittimità e, pertanto, con ordinanza del 30 ottobre 2013, aveva rimesso il ricorso alle Sezioni unite, che si pronunziavano con sentenza del 26 giugno 2014, n. 32697.

La questione

La questione di diritto distillata nell'ordinanza sottoposta dalla Sezione rimettente è la seguente: se, in tema di intercettazioni, telefoniche o ambientali, utilizzate in altri procedimenti, la comunicazione intercettata, costituente condotta delittuosa, sia qualificabile, essa stessa o il supporto registrante, interamente o in parte, corpo di reato, e sia soggetta alle norme che regolano l'uso processuale del corpo di reato, o alle disposizioni stabilite dall'art. 270 c.p.p.

I giudici di legittimità, nel dirimere la questione, evidenziano preliminarmente come sul tema si registrino diversi e contrastanti orientamenti giurisprudenziali:

Secondo un primo e consistente orientamento nel caso in cui le registrazioni non rappresentino una conversazione su circostanze relative al fatto reato per cui sono state disposte ma una comunicazione che integra essa stessa condotta criminosa, la loro acquisizione al processo va inquadrata nelle norme che regolano l'uso processuale del corpo di reato, giacché tali registrazioni sono da considerare cose sulle quali il reato è stato commesso e non è soggetta, pertanto, alle limitazioni stabilite dall'art. 270 c.p.p. (Cfr. in questi termini Cass. pen., Sez. VI, 7 maggio 1993, n. 8670; Cass. pen., Sez. VI, 27 marzo 2001, n. 14345; Cass. pen,Sez. VI, 18 dicembre 2007, n. 5141; Cass. pen., Sez. VI, 17 luglio 2012, n. 32957).

In buona sostanza, secondo il descritto filone interpretativo nel caso in cui ci si trovi dinanzi ad una comunicazione che costituisca essa stessa il reato e non ad un dialogo evocativo o rappresentativo di fatti-reato autonomamente esistenti, la registrazione è da considerare cosa sulla quale il reato è stato commesso e, in quanto tale, va inquadrata nelle norme che regolano l'uso processuale del corpo di reato (in questo senso, oltre agli arresti suindicati, si veda anche Cass. pen.,Sez. VI, 21 febbraio 2003, n. 15729).

La Corte, poi, con pronuncia della Sez. VI, del 24 maggio 2005, n. 25128, pur non discostandosi dall'orientamento maggioritario appena scrutinato, che espressamente richiama, ritiene solo di dover precisare che il principio affermato configura una deroga alla disciplina generale al divieto posto dall'art. 270 c.p.p.e, come tale, è soggetto ai limiti rigorosi innanzi descritti, altrimenti si tradurrebbe in una generalizzata elusione delle norme in tema di utilizzo di intercettazioni in diversi procedimenti.

Nel caso specifico, la Corte ha annullato con rinvio la sentenza impugnata, per violazione dell'art. 270 c.p.p., in quanto la fattispecie di millantato credito si era realizzata, oltre che con le richieste telefoniche di danaro, con il successivo accordo per l'interessamento presso i pubblici funzionari e con la consegna del danaro.

Dunque, pur allineandosi al principio, secondo cui le limitazioni probatorie di cui all'art. 270 c.p.p. non si applicano quando la comunicazione intercettata costituisce essa stessa condotta delittuosa, divenendone pertanto corpo di reato, esclude da tale regola l'ipotesi che la comunicazione rappresenti solo un frammento, in quanto, in questo caso, la fattispecie criminosa non si esaurirebbe con la conversazione intercettata.

Secondo un altro orientamento fondato su due arresti giurisprudenziali, di segno diametralmente opposto, si ritengono imprescindibili i limiti di utilizzabilità probatoria previsti dall'art. 270 c.p.p. anche nel caso di intercettazioni che costituiscano esse stesse corpo del reato.

Ad esempio la suprema Corte con pronuncia della Sez. VI del 5 aprile 2001, n. 33187 ha affermato il principio, secondo cui, in tema di limiti di utilizzazione di intercettazioni telefoniche in altri procedimenti, anche quando le registrazioni non rappresentano una conversazione su circostanze relative al fatto reato per cui siano state disposte ma una comunicazione che integra essa stessa condotta criminosa, la loro acquisizione è soggetta alle disposizioni stabilite dall'art. 270 c.p.p. e non va inquadrata nelle norme che regolano l'uso processuale del corpo di reato, giacché la registrazione costituisce in ogni caso un mezzo di documentazione della comunicazione e non è definibile cosa sulla quale o mediante la quale il reato è stato omesso.

Sulla medesima linea esegetica anche una pronuncia della Sez. V, del 25 gennaio 2011, n. 10166, che ha affermato come, in tema di limiti di utilizzazione di intercettazioni telefoniche in altri procedimenti, qualora le registrazioni non rappresentino una conversazione su circostanze relative al fatto reato per cui siano state disposte, ma una comunicazione che integra essa stessa una condotta criminosa, la loro acquisizione è soggetta alle regole stabilite dall'art.270 c.p.p. e non va inquadrata nelle norme che regolano l'uso processuale del corpo di reato, giacché la registrazione costituisce in ogni caso un mezzo di documentazione della comunicazione e non è definibile cosa sulla quale o mediante la quale il reato è stato commesso.

I due arresti, appena esaminati, si pongono in contrasto rispetto all'indirizzo maggioritario ma, a ben vedere, la divergenza non investe tanto il tema specifico della disciplina applicabile nell'ipotesi in cui l'intercettazione sia considerata corpo del reato, quanto piuttosto la stessa configurabilità della conversazione come corpo del reato.

In altri termini, il contrasto giurisprudenziale tra queste pronunce e l'orientamento maggioritario si esaurisce nella dibattuta possibilità di classificare come corpo del reato un bene immateriale, quale è la comunicazione registrata; il che, nella prospettiva esegetica dell'orientamento ora in esame, elimina in nuce l'ulteriore profilo della utilizzabilità probatoria delle conversazioni, costituenti esse stesse reato, indipendentemente dai limiti fissati dall'art. 270 c.p.p.

Le soluzioni giuridiche

Le Sezioni unite, nel risolvere la questione di diritto sottoposta, hanno preliminarmente chiarito che in materia di intercettazioni, le garanzie di ordine costituzionale sancite dagli artt. 14 (Inviolabilità del domicilio) e 15 (Libertà e segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione) Cost. riguardano solo le registrazioni o videoregistrazioni aventi contenuto comunicativo e non possono essere estese a quelle aventi diverso contenuto e che vengano effettuate al di fuori dei luoghi ricompresi dalla previsione di cui all'art. 14 Cost.

Con la duplice conseguenza, avuto riguardo al caso di specie, che l'abitacolo di un'autovettura non può essere considerato luogo di privata dimora (Cass. pen., Sez. I, 22gennaio 1996, n. 1904; Cass. pen., Sez. VI, 1 dicembre 2003, n. 2845; Cass. pen., Sez. I, 6 maggio 2008, n. 32851; Cass. pen., Sez. V, 18 gennaio 2013, n. 8365), dovendosi intendere tale il luogo adibito allo svolgimento di attività che ognuno ha il diritto di svolgere liberamente e legittimamente senza il pericolo di interferenze da parte di estranei e che la registrazione del rumore del motore dell'autovettura in uso agli imputati non è soggetta alla disciplina delle intercettazioni di cui agli art. 266 e ss. c.p.p.

Premesso quanto detto, secondo i giudici di legittimità, ai fini della soluzione del contrasto è dirimente definire la nozione di corpo del reato. Più in particolare, occorre accertare se a detta nozione possa essere attribuita una accezione più ampia di quella legata all'esistenza di un'essenza materiale connessa alla commissione del reato e, in quanto tale, tangibile ed apprensibile a fini processuali.

Al riguardo, l'arresto in esame ritiene di muovere la propria esegesi dal dato normativo, costituito dall'art. 253, comma 2, c.p.p. nel quale il reiterato utilizzo del termine cosa induce, prima facie, a ritenere che il legislatore abbia voluto attribuire al corpo del reato una accezione prettamente materiale, il che, secondo l'orientamento minoritario, dovrebbe escludere dal concetto di corpo di reato tutto ciò che è immateriale e quindi anche la conversazione captata.

Tuttavia, osservano i giudici, già nei successivi articoli 254 e 254-bis c.p.p. in tema rispettivamente di sequestro di corrispondenza e sequestro di dati informatici, telematici e di telecomunicazioni, si coglie come, in relazione a determinate forme di comunicazione, ciò che al legislatore preme acquisire sia il contenuto della corrispondenza, del dato informatico, telematico e della telecomunicazione, anche se l'intervento ablativo si materializza sul contenitore (la lettera di carta o il supporto informatico).

L'oggetto del sequestro viene così a connaturarsi di profili di immaterialità, identificandosi, ai fini del provvedimento ablativo, il contenuto della comunicazione o del dato informatico, rilevante per il processo, con il supporto materiale che lo contiene o che lo ha registrato.

L'identificazione del supporto materiale che contenga elementi di natura dichiarativa costituenti illecito penale con il suo contenuto immateriale trova poi un espresso riconoscimento nell'art. 235 c.p.p., che individua una categoria indefinita di documenti costituenti corpo del reato, così stabilendo: I documenti che costituiscono corpo del reato devono essere acquisiti qualunque sia la persona che li abbia formati o li detenga.

Da ultimo, deve tenersi in conto anche il dato ormai pacifico nella giurisprudenza di legittimità, secondo cui, in relazione a determinati reati, nei quali la condotta criminosa assume carattere dichiarativo (falsità ideologica; falsa testimonianza e falsità analoghe; calunnia; simulazione di reato ed altri), il supporto cartaceo o la registrazione che contiene l'elemento dichiarativo che integra una delle fattispecie criminose citate è ritenuto costituire corpo di reato e in quanto tale soggetto al disposto di cui all'art. 235 c.p.p. (ex multis, Cass. pen.,Sez. V, 7 maggio 2004, n. 25881; Cass. pen., Sez. I, 7 luglio2004, n. 37160; Cass. pen., Sez. VI, 30 settembre 2004, n. 43193). Peraltro, la possibile identificazione della registrazione o dell'elemento documentale che ne costituisce trascrizione con il corpo del reato è un dato che, osservano i giudici di legittimità, si desume dalla espressa previsione dell'art. 271,comma 3, c.p.p.: In ogni stato e grado del processo il giudice dispone che la documentazione delle intercettazioni previste dai commi 1 e 2 sia distrutta, salvo che costituisca corpo del reato.

È lo stesso legislatore, pertanto, ad ipotizzare che la documentazione delle intercettazioni, in considerazione del loro contenuto comunicativo o dichiarativo, costituisca corpo del reato; in quanto tale sottratto all'obbligo di distruzione ed acquisibile agli atti del procedimento ai sensi del citato disposto di cui all'art. 431 c.p.p. A tal ultimo riguardo, le Sezioni unite dissentono, pertanto, da quei precedenti arresti (cfr. Cass. pen., Sez. V, n. 10166/2011) che riducono l'ambito applicativo della disposizione al reato di interferenza illecita nella vita privata altrui (art. 615-bis c.p.), evidenziando che la collocazione della norma nella disciplina delle intercettazioni disposte dal'autorità giudiziaria e l'espresso riferimento ai divieti di utilizzazione stabiliti dai primi due commi dell'art. 271 c.p.p. che riguardano detta disciplina, ne suggeriscono una portata generale, che va oltre la fattispecie criminosa suindicata.

Osservazioni

Sulla base di tali premesse, le Sezioni unite della suprema Corte pervengono all'affermazione del principio, secondo cui la registrazione o trascrizione del dato dichiarativo o comunicativo, che integra la fattispecie criminosa, costituisce corpo del reato, che, in quanto tale, deve essere acquisito agli atti del procedimento, ai sensi dell'art. 431, comma 1, lett. h), c.p.p. ed utilizzato come prova nel processo penale.

Tuttavia, in linea con quanto già affermato da Cassazione penale, Sez. VI, n. 25128 del 2005, la comunicazione o conversazione oggetto di registrazione costituisce corpo del reato, unitamente al supporto che la contiene, solo allorché essa stessa integri ed esaurisca la fattispecie criminosa, mentre deve essere escluso che sia tale una comunicazione o conversazione che si riferisca a una condotta criminosa o che ne integri un frammento, venendo portata a compimento la commissione del reato mediante ulteriori condotte rispetto alle quali l'elemento comunicativo assuma carattere meramente descrittivo.

Ciò non toglie, concludono le Sezioni unite, che l'eventuale inutilizzabilità delle intercettazioni in ambito processuale non ne esclude la funzione di notizia di reato, come tale utilizzabile dalla pubblica accusa per l'espletamento delle necessarie indagini volte all'acquisizione di elementi di prova sulla cui base potrà successivamente esercitare l'azione penale.

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