Sequestro mediante oscuramento della pagina facebook che contiene post minacciosi

19 Maggio 2017

Il sequestro disposto in relazione ai soli post pubblicati su una pagina Facebook è idoneo ad impedire che siano aggravate o protratte le conseguenze dei reati già consumati ma non ad impedire la commissione di ulteriori analoghi fatti delittuosi poiché il bene (la pagina Facebook) tornerebbe nella disponibilità – tra gli altri – di coloro che ...
Massima

Il sequestro disposto in relazione ai soli post pubblicati su una pagina Facebook è idoneo ad impedire che siano aggravate o protratte le conseguenze dei reati già consumati ma non ad impedire la commissione di ulteriori analoghi fatti delittuosi poiché il bene (la pagina Facebook) tornerebbe nella disponibilità – tra gli altri – di coloro che hanno posto in essere i fatti di cui il sequestro è stato originariamente disposto, per questo è necessario il sequestro mediante oscuramento della pagine.

Il caso

Con provvedimento di sequestro preventivo il Gip di Reggio Emilia in data 7 marzo 2016 disponeva il sequestro preventivo dei Facebook Musulmani d'Italia - comunità e Musulmani d'Italia - gruppo chiuso chiuso mediante oscuramento, in relazione alla pubblicazione, sugli stessi, di alcuni post ritenuti sia diffamatori che minacciosi nei confronti di una giornalista del Resto del Carlino

In data 14 giugno 2016 Facebook Ireland formulava richiesta di revoca parziale del sequestro, chiedendo che venissero modificate le modalità esecutive del decreto di sequestro preventivo con la revoca dell'oscuramento integrale delle suddette pagine Facebook e con la limitazione del vincolo ai singoli post ritenuti diffamatori.

Il Gip rigettava la richiesta, rilevando che l'istante Facebook Ireland - terzo estraneo alla vicenda giudiziaria - era privo di attuale e concreto interesse alla revoca parziale del sequestro.

Avverso tale ordinanza l'istante proponeva appello deducendo i seguenti motivi:

  • carenza di interesse concreto ed attuale;
  • erronea individuazione delle esigenze cautelari.

Il tribunale di Reggio Emilia rigettava l'appello condannando per l'effetto l'appellante al pagamento delle spese del giudizio.

La questione

Il Gip presso il tribunale di Reggio Emilia aveva disposto il sequestro preventivo, mediante oscuramento, dei gruppi Facebook Musulmani d'Italia - comunità e Musulmani d'Italia - gruppo chiuso, sui quali erano stati pubblicati post e commenti diffamatori e minacciosi nei confronti di una giornalista della testata Il Resto del Carlino.

La permanenza online delle frasi diffamatorie, secondo il giudice, avrebbe aggravato le conseguenze del reato commesso, perché protraeva la lesione alla reputazione, potendo i post raggiungere un numero sempre maggiore di persone. A seguito della notifica del decreto di sequestro, la Facebook Ireland – inizialmente inadempiente – aveva rimosso l'accesso ai singoli post individuati nel medesimo decreto e, successivamente, su sollecitazione dello stesso P.M., rimosso l'accesso alla pagina Facebook e al gruppo Facebook. La medesima Facebook Ireland, peraltro, formulava richiesta di revoca parziale del sequestro, chiedendo che venissero modificate le modalità esecutive. Avverso tale richiesta sia il Gip che, in sede di appello, il tribunale di Reggio Emilia, rigettavano la richiesta. I giudici del Collegio hanno affermato che Facebook Ireland sarebbe priva di attuale e concreto interesse alla revoca parziale del sequestro, considerato che sia la pagina Facebook che il gruppo, gravati dal vincolo, nell'ipotesi di dissequestro sarebbero tornati nella disponibilità non dell'istante ma delle persone che avevano creato e gestito i suddetti spazi virtuali.

Nella motivazione del tribunale di Reggio Emilia cosi si legge: « nell'ambito del mondo digitale, il sequestro preventivo, ove ne ricorrano i presupposti, investe direttamente la disponibilità delle risorse telematiche o informatiche d'interesse, equiparate normativamente a ‘cose', e ridonda, solo come conseguenza, anche in inibizione di attività, per garantire concreta incisività alla misura ».

Anche il secondo motivo, relativo alle esigenze cautelari, viene ritenuto infondato, in quanto secondo l'appellante il Gip avrebbe individuato nella propria motivazione esigenze cautelari del tutto nuove e diverse da quelle originariamente ravvisate violando cosi il contraddittorio. Il tribunale ritiene infondata anche tale ultima censura riconoscendo come il giudice per le indagini preliminari in sede di rigetto abbia motivato il provvedimento rilevando che il mantenimento del sequestro sui soli commenti negli spazi virtuali interessati sarebbe stato idoneo ad impedire l'aggravarsi o il protrarsi delle conseguenze dei reati consumati ma non ad impedire la commissione di ulteriori fatti criminosi della stessa specie o indole, in ragione del fatto che il bene sequestrato tornerebbe nella disponibilità di coloro che hanno posto in essere i fatti di cui all'imputazione. Secondo il Collegio l'asserita violazione del principio del contradditorio non sarebbe pertinente, posto che il contradditorio viene garantito in sede di gravame e che il Gip avrebbe proceduto a modificare ma a specificare le esigenze cautelari a fondamento dell'originario sequestro che, anche ad avviso del tribunale in funzione del giudice d'Appello viene confermato con il rigetto dell'istanza.

Le soluzioni giuridiche

Nel caso di specie il tribunale di Reggio Emilia ha chiarito che il service provider, pur essendo destinatario delle prescrizioni imposte dal giudice per mezzo del decreto di sequestro, non è titolare di alcun interesse al fine dell'istanza di revoca del provvedimento. Tale assunto è fondato anche sulla disciplina di cui agli artt. 14, 15 e 16 del d.lgs. 70 del 2003 che esclude la responsabilità della società esercente attività di hosting provider disponendo che l'autorità pubblica possa imporre l'inibizione dei contenuti presenti all'interno dello spazio virtuale gestito dal prestatore del servizio.

Osservazioni

Le Sezioni unite della Corte di cassazione con la sentenza del 17 luglio 2015, n. 31022 hanno affermato che è ammissibile il sequestro preventivo mediante oscuramento di una pagina web, a meno che non si tratti di una testata telematica registrata. Infatti, la testata giornalistica telematica, in quanto assimilabile funzionalmente a quella tradizionale, rientra nel concetto ampio di stampa e soggiace alla normativa, di rango costituzionale e di livello ordinario, che disciplina l'attività di informazione professionale diretta al pubblico. Il giornale on-line, al pari di quello cartaceo, quindi, non può essere oggetto di sequestro preventivo, eccettuati i casi tassativamente previsti dalla legge, tra i quali non è compreso il reato di diffamazione a mezzo stampa. Dal 2014 la Corte di cassazione ha però ribadito il principio di non eccedenza anche in ambito informatic , in virtù del quale può essere sottoposto a sequestro solo quanto strettamente pertinente al reato (articolo 275 del codice di procedura penale). Pertanto sarà legittimo il sequestro preventivo di un intero dominio internet solo quando risulti impossibile, con adeguata motivazione in merito, l'oscuramento di un singolo file o frazione del dominio stesso (Corte di cassazione, Sezione III, sentenza del 7 maggio 2014 n. 21271 ).

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