Le condizioni di trattenimento dello straniero in attesa dell'allontanamento

19 Novembre 2015

Il trattenimento de facto di migranti operato in assenza di una espressa previsione legale viola l'art. 5 § 3 della Cedu. L'informazione ai migranti del loro status giuridico e delle possibilità di accesso alla tutela giurisdizionale deve risultare tempestiva ed effettiva pena la violazione dell'art. 5 § 3 e dell'art. 5 § 4 della Cedu.
Massima

Il trattenimento de facto di migranti operato in assenza di una espressa previsione legale viola l'art. 5 § 3 della Cedu.

L'informazione ai migranti del loro status giuridico e delle possibilità di accesso alla tutela giurisdizionale deve risultare tempestiva ed effettiva pena la violazione dell'art. 5 § 3 e dell'art. 5 § 4 della Cedu.

Le condizioni di trattenimento devono risultare tale da non integrare trattamenti disumani e degradanti che non sono giustificati neppure in ragione dell'eccezionalità di una situazione migratoria. Il ricorso giurisdizionale deve risultare effettivo e consentire una compiuta valutazione della situazione fattuale e l'adozione di misure che rendano effettiva la tutela dei diritti.

Il caso

La sentenza in epigrafe accoglie il ricorso con il quale tre cittadini tunisini censurano la condotta posta in essere dall'Italia in occasione del loro ingresso irregolare e del successivo soggiorno nel Paese, ritenendo violate una pluralità di disposizioni contenute all'interno della Cedu.

La decisione assume peculiare rilievo anche in considerazione del momento storico in cui si collocano i fatti oggetto del giudizio, risalenti al settembre del 2011 ed ossia nel contesto delle rilevante ondata migratoria che segue alla c.d. “primavera”.

Giunti a Lampedusa a bordo di imbarcazioni di fortuna nelle giornate del 17 e del 18 novembre del 2011, i ricorrenti vengono prima trasferiti in un centro di soccorso e di prima accoglienza e sistemati in un apposito settore che ospita cittadini tunisini adulti. Appena pochi giorni dopo (il 20 novembre) scoppia una grave rivolta dei migranti dovuta alle gravi condizioni di ospitalità e il centro viene devastato da un incendio. Trasportati presso il parco sportivo di Lampedusa per trascorre la notte del 21 novembre 2015, i ricorrenti – insieme ad altri migranti – riescono ad eludere la sorveglianza e raggiungono il paese di Lampedusa dove pongono in essere manifestazioni di protesta. Fermati dalla polizia italiana, i migranti sono trasferiti a Palermo ed ospitati a bordo di navi ormeggiate nel porto del capoluogo siciliano.

Nelle date del 27 e del 29 novembre dello stesso anno, i ricorrenti sono destinatari di decreti di accompagnamento alla frontiera emessi dall'autorità italiana e successivamente eseguiti.

Della vicenda si occupa anche l'autorità giudiziaria italiana. Viene instaurato un procedimento penale per abuso d'ufficio e arresto illegale in relazione alle condizioni di detenzioni sulle navi che si chiude, tuttavia, con ordinanza di archiviazione del Gip presso il Tribunale di Palermo. A sostegno della propria decisione il giudice osserva come:

a) la possibile rilevanza penale deve escludersi in ragione della particolare situazione creatasi a Lampedusa e delle esigenze di tutela di incolumità pubblica acuitesi specie dopo la rivolta dei migranti con conseguente applicazione della previsione di cui all'art. 54 c.p.;

b) la mancata immediata adozione di misure nei confronti dei migranti esclude comunque l'integrarsi della fattispecie di arresto illegale dovendosi considerare rispettato un termine ragionevole in ragione del cospicuo numero di persone sbarcate in quel momento sulle coste italiane e delle oggettive difficoltà di esecuzione celere dei provvedimenti;

c) le condizioni di detenzione lamentate a bordo della nave contrastano con ulteriori evidenze e non possono quindi affermarsi con assoluta certezza.

Di rilievo per l'esame del giudice europeo risultano anche due pronunce del giudice di pace italiano che accoglie due ricorsi presentati da altri migranti evidenziando l'eccessiva durata di una limitazione della libertà personale prima dell'adozione delle misure di allontanamento.

Consapevole della complessità della situazione, la Corte europea ricorda inoltre le numerose relazioni di istituzioni ed organismi non governativi sulla grave situazione creatasi a Lampedusa. Se ne occupa la commissione straordinaria per i diritti umani del Senato italiano censurando l'eccessiva durata della permanenza in attesa dell'adozione dei provvedimenti da parte dell'autorità e le non adeguate condizioni di trattenimento. Ancor più analitico il rapporto dell'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa che ricostruisce la complessa situazione migratoria sull'isola sia prima che dopo la caduta del regime libico, stigmatizzando, in particolare, la sussistenza di una vera e propria detenzione spesso in condizioni non conformi ai necessari parametri e l'inadeguatezza delle informazioni fornite ai migranti. Profili denunciati anche da Amnesty International nel rapporto del 21 aprile 2011 in cui si esprime anche il timore di espulsioni collettive dovute all'applicazione dell'accordo italo – libico del 7 aprile 2011.

La questione

La questione in esame sottoposta all'attenzione della Corte risiede nella verifica di violazione dei diritti dei migranti in una situazione grave ed eccezionale come quella verificatasi a Lampedusa. La Corte riafferma l'importanza della principi posti a tutela della libertà personale e della dignità dell'essere umana che non ammettono restrizioni neppure in casi eccezionali come quello in esame.

Le soluzioni giuridiche

Terminata la ricostruzione fattuale della vicenda, possono esaminarsi le motivazioni della Corte europea in relazione alle violazioni della Convenzione denunciate dai ricorrenti. La prima di questa riguarda la presunta privazione della libertà in modo con compatibile con la disposizione di cui all'art. 5 §§ 1 della Convenzione. Sul punto, la Corte rigetta preliminarmente l'eccezione del Governo italiano che ritiene il trattenimento presso il centro di accoglienza e a bordo delle navi non parificabile ad una detenzione rammentando come per verificare se ci sita una limitazione della libertà personale occorra partire dalla situazione concreta e tener conto di un insieme di criteri specifici del suo caso particolare come il genere, la durata, gli effetti e le modalità di esecuzione della misura considerata (Amuur c. Francia, 25 giugno 1996, § 42, Recueil des arrêts et décisions 1996-III, e Stanev c. Bulgaria [GC], n. 36760/06, § 115, Cedu 2012).

Declinando i propri principi alla fattispecie in esame, la Corte ritiene sussistente una limitazione della libertà personale in ragione del carattere prolungato del trattenimento e dell'impossibilità di un abbandono volontario del centro e delle navi. Nel merito, ricordati i principi di legalità, tassatività e proporzionalità che presiedono l'adozione di misure limitative della libertà personale, la Corte ritiene il prolungato trattenimento di migranti privo di effettiva base legale nel diritto interno. Secondo il giudice europeo, tale base non può rinvenirsi nella previsione di cui all'art. 14 del decreto legislativo n. 286 del 1998, operante solo in caso di necessità di soccorso, di identificazione del migrante, di attesa della documentazione di viaggio o di disponibilità del vettore. Situazioni non riscontrabili nel caso di specie anche in considerazione del mancato trattenimento in un Cie (centro identificazione ed espulsione) ma in un mero centro di accoglienza pur in assenza di ragioni di soccorso. Né un base legale può rinvenirsi nell'accordo italo – libico che non essendo pubblico non soddisfa le primaria esigenza di certezza del diritto in cui si sostanzia il principio di legalità.

La Corte accoglie, inoltre, il motivo di ricorso fondato sulla violazione della previsione di cui all'art. 5 § 4 ritenendo non adeguate le informazioni fornite ai migranti. A parere della Corte la mera informazione sullo status giuridico di un migrante non soddisfa le esigenze dell'articolo 5 § 2 della Convenzione, che richiede che siano comunicati all'interessato i motivi giuridici e fattuali della sua privazione della libertà. Nel caso si riscontra la mancata consegna di idonea documentazione che indichi i motivi di fatto e di diritto per i quali i migranti sono sottoposti a trattenimento (cfr., Abdolkhani e Karimnia, sopra citata, § 138; Moghaddas c. Turchia, n. 46134/08, § 46, 15 febbraio 2011; Athary c. Turchia, n. 50372/09, § 36, 11 dicembre 2012; e Musaev c. Turchia, n. 72754/11, § 35, 21 ottobre 2014). Né i decreti di respingimento contengono informazioni sulle ragioni della limitazione della libertà personale e sono comunque consegnati solo dopo dieci giorni dall'ingresso.

Inoltre, secondo la Corte europea è integrata anche la violazione dell'art. 5 § 4 della Convenzione che conferisce il diritto ad un ricorso giurisdizionale avverso le misure di limitazione della libertà personale. Pur ricordando come i meccanismi di tutela possano risultare variabili il giudice sovranazionale ribadisce come la possibilità di accesso alla tutela giurisdizionale debba essere effettiva. Ora, l'inadeguata e non tempestiva informazione sulle ragioni della detenzione preclude la possibilità di un effettivo ricorso anche in ragione dell'assenza di appositi strumenti nell'ordinamento che consentano di censurare un prolungato trattenimento presso un centro di accoglienza o in altre situazioni di detenzione di fatto.

Passiamo alla violazione della previsione contenuta all'interno dell'art. 3 della Convenzione. I ricorrenti lamentano trattamenti disumani e degradanti durante la permanenza nel centro di accoglienza e a bordo delle navi. Rigettate le violazioni procedurali in quanto tardive, la Corte incentra la disamina esclusivamente sul profilo materiale accogliendo anche sul punto il ricorso. In primo luogo, la Corte ricorda alcune importante statuizioni della propria giurisprudenza rammentando come, per rientrare nell'ambito di applicazione dell'articolo 3 della Convenzione, un maltrattamento deve raggiungere un livello minimo di gravità. Valutazione fisiologicamente relativa da effettuarsi tenendo conto del complesso dagli elementi della causa, in particolare dalla durata del trattamento e dei suoi effetti fisici o psicologici nonché, talvolta, dal sesso, dall'età e dallo stato di salute della vittima (cfr. Price c. Regno-Unito, n. 33394/96, § 24, Cedu 2001-VII; Mouisel c. Francia, n. 67263/01, § 37, Cedu 2002-IX; e Naoumenko c. Ucraina, n. 42023/98, § 108, 10 febbraio 2004). Inoltre, la sussistenza di un maltrattamento deve provarsi al di là di ogni ragionevole dubbio seppur la prova possa risultare anche insieme di indizi, o da presunzioni non confutate, sufficientemente gravi, precise e concordanti (Irlanda c. Regno Unito, 18 gennaio 1978, § 161 in fine, serie A n. 25, e Labita c. Italia [GC], n. 26772/95, § 121, Cedu 2000-IV).

Inoltre, nella valutazione del carattere degradante del trattamento si tiene conto non solo dello scopo perseguito dal Governo ma ancor più di elementi oggettivi quali la dimensione del luogo di detenzione (Kadikis c. Lettonia, n. 62393/00, § 55, 4 maggio 2006; Andreï Frolov c. Russia, n. 205/02, §§ 47-49, 29 marzo 2007; Kantyrev c. Russia n.37213/02, §§ 50-51, 21 giugno 2007; Sulejmanovic c. Italia, n. 22635/03, § 43, 16 luglio 2009; e Torreggiani e altri, sopra citata, § 68), il tempo di restrizione della libertà personale (Kalachnikov c. Russia, n, 47095/99, § 102, Cedu 2002-VI; Kehayov c. Bulgaria, n, 41035/98, § 64, 18 gennaio 2005; e Alver c. Estonia, n. 64812/01, § 50, 8 novembre 2005), le modalità di trattenimento (Kudła c. Polonia [GC], n, 30210/96, §§ 92-94, Cedu 2000-XI, e Rahimi c. Grecia, n, 8687/08, § 60, 5 aprila 2011).

Declinando i proprio principi alla fattispecie sub observatione, la Corte evidenzia la grave ed eccezionale situazione dell'isola di Lampedusa, aggravatasi dopo la rivolta del 20 settembre 2011. Tuttavia, pur riconoscendo le difficoltà del Governo, la Corte ritiene che i fattori di eccezionalità non possano esonerare gli Stati dagli obblighi convenzionali. Nel valutare le condizioni di trattenimento la Corte esamina disgiuntamente il periodo trascorso presso il centro e quello a bordo delle navi. Nel primo caso la Corte fonda la propria decisione sui rapporti delle istituzioni e degli organismi non governativi ritenendoli prove idonea a fornire evidenza alla prospettazione dei ricorrenti. Né costituisce prova contraria la brevità delle detenzione tenendo conto della situazione di vulnerabilità dei migranti. Al contrario, non si ritiene provata la sussistenza di un trattamento disumano o degradante a bordo delle navi anche in ragione dell'accertamento contenuto nel decreto di archiviazione del Gip presso il Tribunale di Palermo.

Le valutazioni della Corte non sono però condivise dai giudici Sajó e Vuċiniċ per i quali la durata contenuta del trattenimento, l'assenza di maltrattamenti e le condizioni di buona salute dei ricorrenti costituiscono fattori che conducono ad escludere la sussistenza di una gravità del trattamento tale da integrare la violazione della disposizione convenzionale.

In ultimo, restano da esaminare le censure relative alla violazione dell'art. 4 del Protocollo n. 4 che vieta le espulsioni collettive e dell'art. 13 della Cedu in ordine all'assenza di rimedi giurisdizionali interni a tutela delle situazioni soggettive sottoposte alla cognizione della Corte.

Sul primo punto, la Corte accoglie il ricorso ritenendo sussistendo elementi dai quali si evince il carattere collettivo dell'espulsione. Nota il giudice europeo come i decreti di respingimento non contengono alcun riferimento alla situazione personale degli interessati; né vi sono prove della sussistenza di colloqui individuali; inoltre, numerose persone della stessa nazionalità vengono espulse nello stesso periodo relativo ai fatti di causa in forza, tra l'altro, di un accordo bilaterale che prevede procedure semplificate sulla base della sola identificazione dei migranti. Le valutazioni della Corte sono oggetto di analitica critica nell'opinione dissenziente dei giudici Sajó e Vuċiniċ che ripercorrono la nozione di espulsione collettiva delineata dalla dottrina e dalla giurisprudenza internazionale. Secondo i due giudici le espulsioni poste in essere dall'Italia non possono qualificarsi come collettive in ragione del diverso trattamento riservato a persone vulnerabili ed in considerazione del fatto che le misure non sono adottate in ragione dell'appartenenza dei migranti ad uno specifico gruppo etnico, religioso o nazionale. La classificazione delle espulsioni come collettivi operata dalla Corte arreca un grave danno ad un concetto di diritto internazionale destinato a trovare applicazione solo in casi di eccezionale gravità dell'operato dello Stato.

Sul secondo punto la Corte ritiene come il meccanismo giurisdizionale previsto dal Tu immigrazione non paia idoneo in quanto incentrato su una valutazione di legittimità del respingimento e pertanto inadatto a consentire l'accesso alla tutela giurisdizionale per accertare la sussistenza di espulsioni collettive e la violazione dei diritti dei migranti. Inoltre, l'eventuale ricorso al Giudice di Pace non ha effetto sospensivo e ciò rende la procedura priva di effettiva in ragione anche dei rapidi tempi di esecuzione della misura di allontanamento (cfr. sentenza De Souza Ribeiro c. Francia ([GC], n. 22689/07, § 82, Cedu 2012).

Riscontrate le violazioni alle disposizioni convenzionali invocate dai ricorrenti, la Corte liquida un danno morale pari ad euro 10.000,00 oltre agli interessi moratori calcolati sul tasso d'interesse delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea maggiorato di tre punti percentuali. Cifra che pare eccessiva al giudice Lemmens che nella propria opinione dissenziente nota il possibile rischio di giungere ad un sistema di risarcimento fondato sui c.d. danni punitivi e pertanto slegato dalle situazioni concrete dei ricorrenti.

Osservazioni

La decisione della Corte europea offre rilevanti spunti di riflessioni.

Da un lato non possono che ritenersi condivisibili le risolute affermazioni in ordine alle necessità di tutela dei diritti ed in particolare della dignità umana che non possono retrocedere neppure in situazioni eccezionali come quella che fa da sfondo alla causa. La decisione inoltre getta nuove ombre sul sistema allestito dal Tu immigrazione che, nonostante le numerose ed anche relativamente recenti modifiche, contiene ancora delle evidenti lacune che precludono l'accesso ad una tutela giurisdizionale effettiva delle situazioni involte. Valutazione che vale in particolare per la procedura amministrativa di respingimento le cui rigide scansioni non tengono in debito conto della effettiva portata delle misure che non possono costituire solo un baluardo per le frontiere ma devono offrire maggior spazio alla tutela dei diritti dei migranti. Declinato alla peculiarità del caso, il giusto rigore della Corte appare però forse eccessivo e contrario ad alcune statuizioni della stessa giurisprudenza europea, opportunamente ricordate dalle opinioni dissenzienti dei giudici Sajó e Vuċiniċ.

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