Il collare elettrico per cani: profili di rilevanza penale

Giulia Mentasti
20 Gennaio 2017

Il comportamento di chi utilizza un collare elettrico ha sempre rilevanza penale o sussistono ipotesi in cui un uso educativamente orientato può essere distinto dall'abuso dello stesso? E, se così fosse, un eventuale abuso con quale norma penale dovrebbe essere represso?
Massima

L'impiego di un collare elettrico su di un cane può integrare la contravvenzione di cui all'art. 727, comma 2, c.p. (Detenzione di animali in condizioni incompatibili con la loro natura e produttive di gravi sofferenze).

Il caso

Il 4 febbraio 2015 veniva ritrovato da alcuni agenti della polizia locale un cane segugio che vagava in assenza del proprietario; al collo dell'animale – immediatamente portato in un ricovero per animali randagi e poi affidato ad una associazione del settore – veniva trovato un collare elettronico con la spia luminosa verde indicante il funzionamento accesa. Riconsegnato il cane al proprietario grazie all'esame del microchip identificativo presente sotto la cute dell'animale, l'ispettore della polizia locale compiva alcuni accertamenti dai quali risultava che il collare rinvenuto sul cane era uno strumento per l'addestramento; il collare, azionato a distanza con un telecomando, generava delle scosse elettriche sul cane che, provocando dolore fisico e stress psicologico, avevano l'obiettivo di dissuadere l'animale da comportamenti sgraditi al proprietario (c.d. collare elettrico).

Nel giudizio di primo grado il tribunale di Trento (ud. 14 ottobre 2015, dep. 21 ottobre 2015) si esprimeva a favore della configurabilità, nel caso concreto, della contravvenzione di abbandono animali, così come specificata dall'art. 727, comma 2, c.p., poiché riteneva che l'inflizione di scariche elettriche fosse palesemente produttiva di sofferenze e di conseguenze sul sistema nervoso del cane. Per avallare la propria decisione, il giudice faceva riferimento agli interventi di veterinari e guardie zoologiche concordi nell'affermare che l'uso di tale collare avesse il solo scopo di plasmare il comportamento del cane attraverso la trasmissione di una scarica elettrica in una zona molto sensibile e ricca di terminazioni nervose quale la parte anteriore del collo. Ritenuto, quindi, che il collare elettrico era uno strumento tecnologico di tortura, il tribunale condannava l'imputato a 1000,00 euro di ammenda.

Contro questa decisione il difensore proponeva ricorso in Cassazione lamentando vizi di motivazione in merito al ritenuto effettivo utilizzo del collare, alla sussistenza della sofferenza generata nel cane e alla presenza dell'elemento psicologico del reato.

La suprema Corte, con sentenza depositata il 29 novembre 2016, dichiarava inammissibile il ricorso poiché volto a censurare la ricostruzione della vicenda sul piano storico, che era invece già stata compiuta in modo logico dal Tribunale, senza alcun vizio nella motivazione.

La questione

L'analisi di questo caso suggerisce alcune riflessioni in merito all'utilizzo del collare elettrico sui cani. Innanzitutto, la denominazione collare elettrico fa riferimento a una vasta gamma di collari (collari educativi, antiabbaio e di localizzazione) tra loro distinti per funzionalità e modi di funzionamento, il cui utilizzo solo in alcuni casi è suscettibile di integrare una fattispecie penale. Spesso, infatti, questi collari raggiungono il proprio obiettivo attraverso segnali acustici, vibrazioni o emissioni di spray aromatizzati, che, attivandosi in maniera automatica o dietro comando del proprietario/addestratore al comportamento sgradito del cane, sfruttano l'effetto sorpresa sull'animale, che collegherà la fastidiosa reazione al suo comportamento, venendo così dissuaso dal ripeterlo. Questi collari interessano, però, la giurisprudenza solo quando, per il raggiungimento dei suddetti obiettivi, ai segnali acustici e alle semplici vibrazioni si sostituiscono (o si affiancano) stimolazioni elettriche comandate a distanza e trasmesse sul corpo dell'animale da elettrodi presenti nella parte interna del collare. In questi casi, benché l'intensità della scossa sia spesso modulabile in base alle caratteristiche degli animali, la produzione di sofferenze fisiche o psichiche e l'eventuale provocazione di lesioni all'animale impone ai giudici di interrogarsi in merito alla sussistenza di un maltrattamento e, quindi, di un'offesa a quel sentimento di umana compassione per gli animali oggi penalmente tutelato.

Benché nel 2005 un'ordinanza con validità annuale del Ministero della Salute – in seguito annullata dal Tar Lazio per violazione del principio di riserva di legge in materia penale (Roma, 15 settembre 2006, n. 8614) – abbia vietato l'utilizzo del collare elettrico e di altri analoghi strumenti e benché nel 2010 l'Italia abbia ratificato la Convenzione europea per la protezione degli animali da compagnia – nella quale all'articolo 7 si prescrive che nessun animale da compagnia deve essere addestrato con metodi che possono danneggiare la sua salute e il suo benessere – ad oggi non esiste in Italia una norma ad hoc volta a sanzionare specificamente l'utilizzo di simili collari. Di qui un filone giurisprudenziale che da anni si interroga sulla rilevanza penale dell'uso del collare elettrico, nel quale si inserisce la presente decisione della suprema Corte. La questione, nella sentenza in esame, resta peraltro sullo sfondo, poiché la Cassazione si concentra sulle questioni processuali che determinano e motivano l'inammissibilità del ricorso. Incidentalmente, tuttavia, la suprema Corte conferma il ragionamento del tribunale di Trento, che non solo ha individuato un reato nel comportamento di chi appone su di un cane un collare elettrico, ma ha anche stabilito che si trattava della contravvenzione di cui all'art. 727, comma 2, c.p. e non, come in altri casi era stato ritenuto, del reato di maltrattamento di animali di cui all'art. 544-terc.p.

Dunque, il comportamento di chi utilizza un collare elettrico ha sempre rilevanza penale o sussistono ipotesi in cui un uso educativamente orientato può essere distinto dall'abuso dello stesso? E, se così fosse, un eventuale abuso con quale norma penale dovrebbe essere represso?

Le soluzioni giuridiche

Quanto alla prima domanda, la giurisprudenza ha negli anni delimitato il campo del penalmente rilevante definendo – almeno in via generale – quali comportamenti, o meglio, quale uso del collare elettrico fosse suscettibile di integrare reato. Alcune sentenze di merito tra il 2009 e il 2012 hanno, infatti, iniziato a distinguere tra uso e abuso del collare elettrico, ritendendo lecito l'utilizzo dello stesso quando avvenga in conformità alle prescrizioni del costruttore (trib. Lucca, 4 novembre 2009, R., in Cmerito 2010, 4, 400) e alle finalità per le quali viene commercializzato (trib. Verona 24 maggio 2012, R., in Cmerito, 2012, 11, 1022): quando si tratti cioè di un utilizzo tale da non provocare all'animale lesioni, sevizie o danni alla salute. Seguendo questo orientamento, condiviso anche da alcune pronunce dei giudici di legittimità, dunque, risulterebbe punibile solo un uso del collare elettrico incontrollato e non volto in maniera consapevole e ponderata all'addestramento dell'animale, un uso, di conseguenza, in grado di provocare un danno alla salute psico-fisica dell'animale (Cass. pen., Sez. III, 24 gennaio 2007, n. 15061; Cass. pen., Sez. III, 15 giugno 2015, n. 24922; Cass. pen.,Sez. III, 20 giugno 2013, n. 38034). Si è venuto così a delineare in giurisprudenza un confine, quello tra uso ed abuso, teoricamente immaginabile, ma non sempre semplice da individuare in concreto.

Per quanto attiene, invece, alla riconducibilità di tale comportamento alla fattispecie delittuosa prevista all'art. 544-ter c.p. (punita con la reclusione da tre a diciotto mesi o con la multa da 5.000 a 30.000 euro) o a quella contravvenzionale dell'art. 727, comma 2, c.p. (sanzionata con l'arresto fino a un anno o con l'ammenda da 1.000 a 10.000 euro), va sottolineato che il delitto di cui all'art. 544-ter c.p. richiede per la sua configurabilità la presenza di un comportamento crudele o non necessario che abbia causato una lesione all'animale, una sevizia o un comportamento contrario alle sue caratteristiche etologiche o, infine, un trattamento che gli abbia procurato un danno alla salute; la contravvenzione prevista dall'art. 727 co. 2 c.p. è integrata, invece, unicamente dalla detenzione dell'animale in un modo incompatibile con la sua natura, purché produttiva di gravi sofferenze.

Nel caso in esame i giudici di legittimità, nel respingere il ricorso per vizio di motivazione contro la sentenza di primo grado, hanno concordato con i giudici di merito circa la collocazione del fatto nell'art. 727, comma 2, c.p. Il giudice di primo grado, infatti, aveva condannato l'imputato ex art. 727, comma 2,c.p. per aver detenuto il proprio cane in condizioni contrarie alla sua natura, avendo utilizzato un collare elettrico che aveva generato nell'animale inutili sofferenze, ingiustificabili con l'esigenza di addestramento o di repressione di comportamenti molesti dell'animale (v. trib. Trento 21 ottobre 2015).

Questo orientamento, pur nel quadro di un rigetto formale del ricorso, è ricollegabile ad alcuni precedenti di Cassazione. Ad esempio, nel caso di utilizzo di collare elettrico su di un cane durante una battuta di caccia, è stata ritenuta configurabile la contravvenzione di cui all'art. 727, comma 2, c.p. poiché la brevità del periodo e la proporzionalità del voltaggio alle caratteristiche del cane non avevano permesso di riconoscere la sussistenza di crudeltà o lesioni (invece necessarie ex art. 544-ter c.p.), bensì unicamente di sofferenze che, in quanto gravi e incompatibili con la natura del cane, avevano determinato l'applicabilità della norma contravvenzionale (Cass. pen., Sez. III, 11 febbraio 2016, n. 21932).

Non mancano peraltro sentenze in cui la Corte di cassazione ha inquadrato l'uso del collare elettrico all'interno della fattispecie di maltrattamento di animali ex art. 544-ter c.p. Infatti, quando venga utilizzato in maniera permanente per dissuadere il cane dall'abbaiare, il collare elettrico è stato talora considerato un illecito strumento di addestramento produttivo di stimoli di dolore e paure costituenti gravi lesioni (Cass. pen., Sez. III, 15 giugno 2015, n. 24922) e integranti, perciò, la più grave fattispecie delittuosa. Generando inutili sofferenze nell'animale, l'apposizione del collare integrerebbe un ingiustificato incrudelimento verso il cane, contrario alle sue caratteristiche etologiche (Cass. pen., Sez. III, 24 gennaio 2007, n. 15061; Cass. pen., Sez. III, 11 febbraio 2016, n. 21932).

Osservazioni

Nella sentenza in esame i giudici di legittimità si sono dunque mantenuti in linea con le ultime pronunce in tema di uso del collare elettrico, che, nel confermare la rilevanza penale di tale pratica, avevano provveduto a ricondurla alla contravvenzione di cui all'art. 727, comma 2, c.p.

Innanzitutto, pare condivisibile la scelta di sanzionare l'uso – o meglio l'abuso – di un simile strumento. È vero, infatti, che talvolta l'utilizzo del collare elettrico avviene per mano di proprietari e/o educatori consapevoli ed è altresì vero che oggi il mercato offre modelli di collari nei quali la stimolazione elettrica è modulabile e attivabile come misura estrema quando altri stimoli (suoni, vibrazioni) non hanno raggiunto l'obiettivo sperato. Tuttavia, sia l'evoluzione tecnologica, che rende oggi disponibili sul mercato strumenti meno invasivi quali collari che emettono segnali acustici, soffi d'aria o vibrazioni, sia il facile prestarsi di tale strumento ad abusi, nella forma di utilizzi prolungati, sproporzionati o non necessari, determinano spesso la contrarietà della pratica al comune sentimento per gli animali, chiedendo una sanzione.

Sembra, allora, altrettanto condivisibile la scelta, pur non unanime, di inquadrare l'abuso del collare elettrico nella fattispecie contravvenzionale. Il delitto di cui all'art. 544-ter c.p. richiede elementi quali la crudeltà o la sevizia che mai appaiono presenti nei casi di utilizzo sottoposti all'esame della giurisprudenza, in cui gli imputati – molto spesso cacciatori – hanno agito unicamente con intenzioni “educative”, per quanto censurabili. Il secondo comma dell'art. 727 c.p. consente, dunque, di punire comportamenti offensivi del sentimento di compassione verso gli animali che altrimenti rimarrebbero sprovvisti di qualsiasi sanzione: ricomprende, infatti, tutti quei casi di utilizzo del collare elettrico che, pur non animati da crudeltà, hanno causato una sofferenza anche solo psichica all'animale, lasciando, allo stesso tempo, spazio all'operatività dell'art. 544-ter c.p. per i casi più gravi (v. Cass. pen. Sez. III, 11 febbraio 2016, n. 21932, Bastianini, cit.).

Un ultimo, incidentale rilievo in relazione alla legittimità del commercio di collari elettrici, il cui utilizzo lecito, secondo la giurisprudenza, è fortemente limitato. Le principali case produttrici straniere, allarmate dall'aumento di condanne, hanno infatti iniziato ad inserire nei prodotti messi in vendita messaggi di esonero da responsabilità, che invitano l'acquirente a controllare la legislazione del proprio paese prima dell'utilizzo. Un controllo che però, in assenza di un esplicito divieto di utilizzo – da anni invocato dalle associazioni animaliste – spesso non approfondisce la casistica giurisprudenziale, portando l'acquirente a ritenere sempre lecito l'utilizzo del collare.

Guida all'approfondimento

BACCO, Sentimenti e tutela penale: alla ricerca di una dimensione liberale, in Riv. it. dir. proc. pen., 2010, pp. 1165 – 1203.

GATTA, Commento agli artt. 544-bis, 544-ter e 727 in Dolcini E. – Gatta G. L. Codice penale commentato, 4a ed., Milano, 2015.

MAZZA, Uso di collare antiabbaio ed incrudelimento senza necessità nei confronti dei cani, (Nota a Cass. Sez. III pen. 13 aprile 2007 n. 15061; Cass. sez. III pen. 28 novembre 2007 n. 44287) in Diritto e giurisprudenza agraria, alimentare e dell'ambiente, 2008, fasc. 10 pag. 635 – 636.

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