La disciplina penale degli stupefacenti fra fatto lieve e "fatto tenue"

Beatrice Lo Proto
20 Marzo 2017

Il reato previsto dall'art. 73, comma 5, d.P.R. 309/1990 punisce i fatti previsti dai precedenti commi 1 e 4 ma che siano di lieve entità. In seguito all'entrata in vigore dell'art.131-bis c.p. diventa inevitabile interrogarsi sul rapporto che intercorre tra tale (nuova) causa di non punibilità e la sopracitata lieve entità del fatto.
Abstract

Il reato previsto dall'art. 73, comma 5, d.P.R. 309/1990 punisce i fatti previsti dai precedenti commi 1 e 4 – ossia le condotte di chi coltiva, produce, fabbrica, estrae, raffina, vende, offre o mette in vendita, cede o riceve, a qualsiasi titolo, distribuisce, commercia, acquista, trasporta, esporta, importa, procura ad altri, invia, passa o spedisce in transito, consegna per qualunque scopo o comunque illecitamente detiene sostanze stupefacenti – ma che siano di lieve entità.

In seguito all'entrata in vigore dell'art.131-bis c.p., rubricato Esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, diventa inevitabile interrogarsi sul rapporto che intercorre tra tale (nuova) causa di non punibilità e la sopracitata lieve entità del fatto.

A prima vista, infatti, i due istituti sembrerebbero esprimere il medesimo concetto. Essi, tuttavia, operano su piani differenti: la disciplina della lieve entità del fatto attiene alla sfera dell'offensività penale della condotta, mentre la particolare tenuità del fatto esclude l'applicabilità della pena ma, non incidendo sul carattere antigiuridico del fatto, non impedisce l'esistenza del reato.

I caratteri costitutivi del fatto di lieve entità

La valutazione della lieve entità del fatto si fonda su uno dei principi cardine del sistema penale, quale quello di offensività: in assenza di un'effettiva lesione o di una messa in pericolo del bene giuridico tutelato dalla norma non può esservi reato; la fattispecie in commento, pertanto, ricorre quando il fatto presenta una offensività minima o, secondo una diversa terminologia, quando il fatto sia di trascurabile offensività (Cass. pen., Sez. VI, 14 aprile 2008, n. 27052).

Il d.l. 23 dicembre 2013, n. 146, convertito con modificazioni dalla l. 21 febbraio 2014, n. 10, ha trasformato la circostanza attenuante della lieve entità in reato autonomo ma, pur modificando la natura giuridica dell'istituto, non ha inciso sui suoi presupposti applicativi. Il fatto di lieve entità, pertanto, continua ad essere configurabile nei casi di minima offensività penale della condotta, desumibile avendo riguardo al dato qualitativo, al dato quantitativo ed agli altri parametri richiamati dalla disposizione: mezzi, modalità e circostanze dell'azione.

Tali parametri – la giurisprudenza di legittimità è concorde sul punto – necessitano imprescindibilmente di essere valutati globalmente; ciascuno degli elementi indicati nella norma deve essere positivamente apprezzato dal giudice, con la conseguenza che non ricorrono gli estremi dell'ipotesi lieve quand'anche uno soltanto degli elementi della norma risulti negativamente assorbente e dunque impedisca di qualificare di modesta offensività il fatto e lieve l'aggressione al bene giuridico (Cass. pen., Sez. unite., 24 giugno 2010, n. 35737; Cass. pen., Sez. IV, 29 gennaio 2014, n. 15020).

Esaminando le pronunce più recenti si nota come, tra i diversi indici contenuti nella norma, l'elemento quantitativo (più direttamente collegato all'oggettività del reato) sia quello che incide maggiormente nell'individuazione dell'entità della lesione all'interesse protetto; esso, pertanto, può avere un valore preclusivo al riconoscimento dell'ipotesi lieve qualora risulti prevalente rispetto agli altri fattori indicati dalla norma (Cass. pen., Sez. IV, 25 settembre 2008, n. 39373).

Alcune decisioni valorizzano il dato relativo all'efficacia drogante o psicotropa della sostanza (considerando la percentuale di principio attivo contenuto nello stupefacente l'unico elemento in grado di ricondurre la fattispecie concreta a quella astratta), mentre in diverse occasioni il focus è stato posto non solo sulla maggiore o minore purezza della sostanza ma anche sulla natura della stessa: il d.m. 11 aprile 2006, nel fissare la quantità massima detenibile di droga, ha fatto ricorso per le principali sostanze ad un moltiplicatore variabile della dose media singola, determinato, per le sostanze ritenute meno pericolose, in termini più ampi (Cass. pen., Sez. IV, 21 maggio 2008, n. 22643).

Altre pronunce hanno affermato che il reato previsto dall'art. 73 d.P.R. 309/1990 è configurabile anche in relazione a dosi inferiori a quella media singola di cui al citato d.m. 11 aprile 2006, con esclusione soltanto delle condotte afferenti a quantitativi di sostanze stupefacenti talmente minimi da non poter modificare, neppure in maniera trascurabile, l'assetto neuropsichico dell'utilizzatore (Cass. pen., Sez. III, 9 ottobre 2014, n. 4760; nello stesso senso anche Cass. pen., Sez. IV, 27 ottobre 2015, n. 4324).

Si registra inoltre un orientamento che, seguendo le orme della citata sentenza delle Sezioni unite 24 giugno 1998, n. 9973, ha sottolineato l'irrilevanza del mancato superamento della soglia quantitativa drogante ed affermato che l'inidoneità dell'azione vada valutata unicamente con riguardo ai beni oggetto di tutela penale (salute pubblica, sicurezza e ordine pubblico, salvaguardia delle giovani generazioni) messi in pericolo anche dallo spaccio di dosi contenenti un principio attivo inferiore alla soglia drogante (in questo senso, Cass.pen., Sez. IV, 3 luglio 2009, n. 32317).

Ad ogni modo, in presenza di quantitativi non significativi ed in assenza di altri elementi ostativi, la lievità del fatto potrà essere riconosciuta valorizzando mezzi, modalità e circostanze dell'azione. Coerentemente, la giurisprudenza maggioritaria annovera tra le circostanze dell'azione anche le circostanze soggettive: tra esse, ad esempio, rientrano le finalità della condotta tenuta dall'agente (Cass. pen., Sez. unite, 24 giugno 2010, n. 35737) ed il suo stato di tossicodipendenza, purché sia accertato che questi destini i proventi della sua attività di spaccio all'acquisto di droga per uso personale (Cass. pen., Sez. III, 27 marzo 2015, n. 32695); non sono inclusi nel novero, invece, i precedenti specifici dell'agente (Cass. pen., sez. VI, 29 aprile 2014, n. 21612).

La particolare tenuità del fatto

L'istituto della particolare tenuità del fatto, introdotto con l'art. 1 del d.lgs. 16 marzo 2015, n. 28, ha la funzione di ampliare l'ambito dell'esclusione della rilevanza penale del fatto e, dunque, della non sanzionabilità di determinate condotte astrattamente integranti gli estremi di un reato.

Il nuovo istituto, di natura sostanziale, è applicabile ai soli reati puniti con la pena pecuniaria e/o con pene detentive non superiori nel massimo a cinque anni, calcolati senza tener conto delle circostanze aggravanti, salvo che si tratti di quelle speciali o ad effetto speciale e senza considerare gli effetti di un bilanciamento di circostanze ex art. 69 c.p.

Il giudizio sulla tenuità richiede pertanto una valutazione complessa, svolta in base ai parametri fissati dall'art. 133 c.p. e che tenga conto non solo di tutte le peculiarità della fattispecie concreta ma anche delle modalità della condotta, dell'esiguità del danno e della non abitualità del comportamento (Cass. pen., Sez. unite, 25 febbraio 2016, n. 1361).

Ai sensi della norma in esame, l'offesa non può essere considerata di particolare tenuità in due casi: innanzitutto qualora ricorrano alcune delle circostanze aggravanti previste dall'art. 61c.p.; in secondo luogo quando la condotta incida irreparabilmente ovvero in modo molto rilevante sull'incolumità personale della vittima.

Il terzo comma dell'art. 131-bis c.p. indica inoltre alcune situazioni nelle quali è possibile affermare l'abitualità del comportamento: ciò sussisterà laddove l'autore sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza, ovvero abbia commesso altri reati della stessa indole anche se ciascun fatto, isolatamente considerato, sia di particolare tenuità nonché se si tratti di reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate.

Infine, la suprema Corte (Cass. pen., Sez. unite, 25 febbraio 2016, n. 1361) ha chiarito che l'applicabilità della non punibilità per particolare tenuità del fatto non è limitata a particolari delitti, ma si estende a qualsiasi reato (sempre che rientri nella fascia di pena di cui sopra) in quanto in ogni fattispecie criminosa è possibile tenere conto delle modalità della condotta.

In materia di stupefacenti, pertanto, l'art. 131-bis c.p. sarà applicabile anche a fatti riconosciuti come di lieve entità ai sensi del comma 5 dell'art. 73, d.P.R. 309/1990 purché non abituali e di particolare tenuità (salvo che sia contestata una circostanza aggravante ad effetto speciale, poiché in tal caso la pena massima supera la soglia massima di cinque anni).

Il rapporto tra principio di offensività e particolare tenuità del fatto in materia di stupefacenti. Le prime pronunce

Le pronunce della suprema Corte in merito al rapporto tra il principio di offensività in materia di stupefacenti e la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, vista la sua recente introduzione, non sono, inevitabilmente, numerose. In questa sede, si esamineranno innanzitutto due decisioni che hanno chiarito la distinzione tra inoffensività della condotta ed irrilevanza penale del fatto per tenuità ai sensi dell'art. 131-bis c.p.; in seguito, l'analisi verterà su specifiche situazioni in cui la giurisprudenza di legittimità ha riconosciuto od escluso la sussistenza della particolare tenuità del fatto in relazione al reato previsto dall'art. 73, comma 5, d.P.R. 309/1990.

La prima pronuncia (Cass. pen., 10 novembre 2015, n. 5254) ha giudicato inoffensiva in concreto la condotta in materia di coltivazione di stupefacenti in un'ipotesi in cui essa era di tale minima entità da rendere irrilevante l'aumento di disponibilità di droga e non prospettabile alcun pericolo di diffusione di essa (si trattava della coltivazione di due piante di canapa indiana e la detenzione di 20 foglie della medesima). In motivazione, la suprema Corte ha sottolineato che il presupposto per applicare l'istituto della particolare tenuità del fatto è che l'offesa al bene, seppur effettivamente sussistente, sia, nel caso concreto, di minima consistenza e, quindi, irrilevante.

La disposizione dell'art. 131-bis c.p. non può dunque operare nel caso in cui l'offesa manchi del tutto: l'applicazione della particolare tenuità, si legge, pur avendo un presupposto oggettivo (l'obiettiva scarsa rilevanza dell'offesa al bene protetto) è comunque condizionata da presupposti soggettivi (in particolare la non abitualità della condotta); inoltre la decisione di non punibilità dà atto che vi è un reato, ma che non merita la pena, essendovi varie conseguenze equivalenti alla condanna, anche in sede extrapenale.

Tale nuova disciplina, applicandosi al reato effettivamente realizzato, non incide sui principi in tema di offensività che, invece, escludono la stessa realizzazione del reato. Sulla scorta di tali considerazioni la suprema Corte ha accolto il ricorso ed assolto gli imputati ritenendo il fatto non sussistente in quanto non realizzato con le sue caratteristiche di aggressività del bene giuridico.

La seconda pronuncia che si segnala (Cass. pen., sez. IV, 15 luglio 2016 n. 48758) prende le mosse dal rilievo proposto dal ricorrente, il quale riteneva contraddittorio aver giudicato il fatto di lieve entità ai sensi dell'art. 73, comma 5, d.P.R. 309/1990 ed allo stesso tempo aver negato la ricorrenza nella fattispecie della causa di non punibilità di cui all'art. 131- bis c.p.

La suprema Corte, riassumendo i tratti caratterizzanti le due fattispecie in esame, ha puntualizzato come tale assunto sia manifestamente erroneo: ogni preteso automatismo o sovrapposizione tra lieve entità del fatto e particolare tenuità del fatto è giudicato pertanto del tutto infondato.

Nell'argomentare quanto sopra, gli Ermellini hanno chiarito che l'istituto previsto dall'art. 131-bis c.p. si giustifica alla luce della riconosciuta graduabilità del reato, intesa come proprietà del reato di presentare diversi gradi di gravità, i quali determinano l'escursione delle pene (che quindi, tendenzialmente, non possono essere fisse) ma anche lo stesso persistere o meno di una responsabilità penale. L'ente reato propone, infatti, una struttura graduabile in ogni suo elemento: può parlarsi di grado del disvalore dell'evento, per indicare la misura variabile del giudizio di contrarietà all'ordinamento dell'offesa al bene; di grado di disvalore dell'azione, per indicare la misura variabile del giudizio di contrarietà all'ordinamento delle modalità della condotta; di intensità della colpevolezza per il fatto per indicare la misura variabile della colpevolezza per il fatto. Ai fini del riconoscimento del fatto di lieve entità il giudice è tenuto a valutare i mezzi, le modalità e le circostanze dell'azione, nonché la quantità e la qualità delle sostanze stupefacenti oggetto della condotta criminosa; ai fini del riconoscimento della particolare tenuità dei fatto, invece, vanno considerate le modalità della condotta, il grado di colpevolezza da esse desumibile e l'entità del danno o del pericolo ed altresì il carattere c.d. bagatellare dello stesso autore del reato, posto che è escluso possa ritenersi applicabile la causa di non punibilità ove il comportamento risulti abituale. La lievità del fatto ex art. 73, comma 5, d.P.R. 309/90 e la particolare tenuità ex art. 131-bis c.p., dunque, sono «fattispecie strutturalmente e quindi teleologicamente non coincidenti» e pertanto non può costruirsi una relazione di necessaria derivazione della seconda dalla prima.

Chiariti i principi base che regolano la materia in analisi, si passano di seguito in rassegna alcune specifiche situazioni concrete in cui la giurisprudenza di legittimità ha riconosciuto o escluso la sussistenza della particolare tenuità del fatto in relazione al reato previsto dall'art. 73, comma 5, d.P.R. 309/1990.

Nello specifico, il suo mancato riconoscimento ha trovato giustificazione, prevalentemente, in ragioni legate alle «modalità della condotta», giudicate di non particolare tenuità.

Ad esempio, si è esclusa l'applicabilità della causa di non punibilità in parola alla luce delle modalità organizzative della coltivazione, della quantità di sostanza detenuta e del particolare ardire nel coltivare in un appartamento abitato anche da altre persone (Cass.pen., Sez. VI, 9 novembre 2016, n. 51615); in un'altra occasione la decisione è stata la medesima poiché l'attività di coltivazione delle piante era stata agevolata dall'utilizzo di uno strumentario atto ad implementarne la crescita, rinvenuto assieme ad altro materiale idoneo alla manipolazione e consumo della sostanza stupefacente (Cass.pen., Sez. IV, 15 novembre 2016, n. 53329).

Ancora, la Suprema Corte non ha riconosciuto la sussistenza dell'art. 131 bis c.p. a causa dell'attiva partecipazione dell'imputato ad attività collettiva di spaccio di droga e di un dato ponderale di non particolare tenuità della sostanza stupefacente sottoposta a sequestro (Cass.pen., Sez. VI, 23 novembre 2016, n. 54724); seguendo lo stesso ragionamento, Cass. pen., Sez. IV, 12 ottobre 2016, n.47095valorizza anchela varietà dello stupefacente detenuto (non solo droga leggera, ma cocaina di qualità particolarmente pregiata), mentre Cass.pen., Sez. IV, 24 febbraio 2016, n.18770 sirichiama alla rilevanza dell'offesa al bene giuridico protetto alla stregua del rilevante pericolo di diffusività dello stupefacente ricavato dalla piantagione.

Alcune pronunce, infine, hanno escluso l'applicabilità dell'art. 131-bis c.p. facendo leva sui limiti di pena previsti per il reato contestato e sui precedenti del ricorrente (Cass. pen., Sez. VI, 1 dicembre 2016, n. 54458 e Cass. pen., sez. IV, 7 luglio 2016, n.38208).

Passando ora alle sentenze in cui la Suprema Corte ha confermato l'applicabilità della causa di non punibilità in parola, in un'occasione questa ha evidenziato come, sebbene la Corte d'Appello avesse correttamente accertato la sussistenza della fattispecie di cui all'art. 73, comma V, d.P.R.309/1990, in base a determinati elementi costitutivi (mezzi rudimentali, modestia della coltivazione, plausibile destinazione ad uso personale e terapeutico da parte di soggetto da tempo affetto da sclerosi multipla), a ben vedere, quegli stessi elementi, con riferimento al reato citato, concorrono a definire modalità della condotta e intensità del succitato pericolo idonee a definire l'offesa al bene protetto dalla norma incriminatrice in termini di particolare tenuità e di comportamento non abituale, sicché deve essere esclusa la punibilità del fatto in esame ai sensi del citato art. 131-bis c.p. (Cass. pen., Sez. VI, 23 novembre 2016, n. 54728).

In ultimo recentissimo caso (Cass.pen., Sez. VI, 16 dicembre 2016, n. 7606), infine, la Sezione Sesta ha ritenuto non punibile per particolare tenuità del fatto una madre, incensurata, che, per proteggere il figlio, aveva occultato alle forze dell'ordine la sostanza stupefacente che questi deteneva ai fini di spaccio, definendo la condotta della donna come “marginale” e “momentanea” e, pertanto, non meritevole di essere sanzionata penalmente.

In ultima analisi, quanto stabilito dalle pronunce esaminate appare coerente con le ragioni che hanno condotto all'introduzione dell'art. 131-bis c.p.: il legislatore è infatti intervenuto in relazione ad un fatto concretamente offensivo del bene giuridico tutelato, bene già leso o posto in pericolo dal comportamento del soggetto agente. L'istituto della particolare tenuità del fatto risponde dunque all'esigenza di rimuovere dall'area del penalmente rilevante i fatti che arrecano un'esigua offesa al bene giuridico e che non necessitano di pena né di impegnare i complessi e dispendiosi meccanismi del processo.

In conclusione

La particolare tenuità del fatto rappresenta un nuovo strumento deflattivo, il cui ambito operativo riguarda fatti che, seppure non inoffensivi, realizzano in concreto una lesione del bene giuridico protetto dalla fattispecie incriminatrice di minima gravità.

Prima dell'introduzione dell'art. 131-bis c.p., in materia di stupefacenti, il fatto radicalmente inoffensivo era ricondotto all'art. 49, comma 2, c.p., mentre il fatto giudicato offensivo ma di lieve entità integrava gli estremi dell'art. 73, comma 5, d.P.R 309/1990.

Oggi, con l'introduzione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, il giudice potrà percorrere una terza via: qualora ravvisi i presupposti applicativi dell'art. 131-bis c.p., anche trovandosi dinanzi ad un caso che astrattamente integri tutti gli estremi del reato previsto dall'art. 73, comma 5, d.P.R. 309/1990, potrà dichiarare la non punibilità del fatto ai sensi dell'art. 131-bis c.p.

Alla luce di ciò, si segnala infine che, in riferimento allo specifico caso della coltivazione di lieve entità, l'art. 131-bis c.p. potrebbe rappresentare lo strumento adatto a risolvere molte di quelle situazioni di coltivazione domestica che, in precedenza, venivano ricondotte nell'alveo della concreta inoffensività del fatto: basti pensare, ad esempio, ai casi in cui la quantità di principio attivo presumibilmente ricavabile è insufficiente a provocare un effetto stupefacente, o alla situazione in cui si dimostri che la condotta non è in grado di incrementare la quantità di sostanza immessa nel mercato. Adottando una simile prospettiva, però, non si può ignorare che uno dei nodi più problematici con tutta probabilità sarà rappresentato dal requisito ostativo contenuto al comma 3 dell'art. 131-bis c.p., ossia la non abitualità del comportamento: in materia di sostanze stupefacenti – e con particolare riferimento alla coltivazione – l'abitualità del comportamento, infatti, risulta essere, nel concreto, assai frequente.

Guida all'approfondimento

In tema di coltivazione di stupefacenti e 131-bis c.p. si segnalano: TORIELLO, La coltivazione di sostanze stupefacenti tra principio di offensività e particolare tenuità del fatto in questa Rivista, 12 aprile 2016 e LA ROSA, La coltivazione “domestica” di cannabis tra (in)offensività e particoare tenuità del fatto, in Giurisprudenza Italiana, 2016, p. 196 ss.

Per un'analisi approfondita della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto si veda

PERINI, La non punibilità per particolare tenuità del fatto, in PITTARO (a cura di), La normativa penale 2012-2015. La disciplina anticorruzione e le principali innovazioni alla parte generale del codice penale, Trieste, 2015, p. 53 ss.

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