Non si configura il reato di abbandono di incapace per l'amministratore di sostegno

20 Aprile 2016

Il problema valutato dalla suprema Corte attiene alla possibilità di individuare una posizione di garanzia in capo all'amministratore di sostegno al fine di affermare una sua responsabilità ex art 591 c.p. nei confronti del soggetto sottoposto a protezione.
Massima

In mancanza di apposite previsioni nel decreto di nomina (che definisce in concreto i poteri e dunque anche gli obblighi dell'amministratore in relazione alla specificità della situazione e delle esigenze del soggetto amministrato), l'amministratore di sostegno non assume una posizione di garanzia rispetto ai beni della vita e dell'incolumità individuale dei soggetto incapace.

Egli infatti, pur avendo un dovere di relazionare periodicamente (secondo la cadenza temporale stabilita dal giudice) sull'attività svolta e sulle condizioni di vita personale e sociale del beneficiario, assistendo la persona nella gestione dei propri interessi patrimoniali, non ha anche il compito della “cura della persona”, previsto per il tutore dall'art. 357 c.c., disposizione non richiamata dall'art. 411 c.c., Norme applicabili all'amministrazione di sostegno.

Il caso

Un amministratore di sostegno di un'anziana signora, la quale aveva richiesto di rimanere a vivere a casa propria con l'aiuto di una badante e del figlio non convivente, veniva imputato del delitto di cui all'art. 591 c.p.

Gli veniva contestato di aver abbandonato la persona sottoposta alla sua protezione, omettendo di accudirla per un fine settimana, finché non veniva soccorsa dai vigili del fuoco e dal personale del 118, che la trovavano in pessime condizioni igieniche, senza cibo e bevande, totalmente disidratata e disorientata nello spazio e nel tempo.

Il Gup presso il tribunale di Gorizia, con sentenza del 12 novembre 2013, all'esito di rito abbreviato dichiarava non doversi procedere nei confronti dell'amministratore di sostegno, per il delitto di cui all'art. 591 c.p., perché il fatto non costituiva reato, per mancanza dell'elemento soggettivo.

Sul piano oggettivo e materiale, infatti, riconosceva che non era stata assicurata all'amministrata un'adeguata assistenza, come richiesto dall'articolo 410 c.c., perché l'amministratore non si era reso conto dell'incapacità del figlio dell'anziana e dell'insufficienza a garantire la cura necessaria di una badante a orario parziale e non aveva segnalato agli organi di riferimento la necessità di un immediato ricovero in una struttura protetta, ma escludeva la sussistenza del dolo richiesto dalla norma incriminatrice.

Riteneva cioè che la condotta dell'amministratore di sostegno fosse riconducibile esclusivamente ad un difetto di diligenza e prudenza.

L'imputato proponeva appello, deducendo l'insussistenza anche dell'elemento oggettivo del reato, poiché nessun pericolo per l'incolumità individuale della anziana si sarebbe verificato, tenuto conto anche del parere del medico che aveva prestato nell'occasione i soccorsi.

L'adita Corte d'appello di Trieste, rilevato che contro la sentenza di proscioglimento era ammesso solo ricorso per Cassazione, con propria ordinanza, disponeva la trasmissione degli atti alla Corte di cassazione per competenza.

La suprema Corte, con la decisione in commento, puntualizzato che non poteva proporsi appello vuoi nel caso di sentenza di proscioglimento vuoi in caso di assoluzione, decisione quest'ultima che non era stata assunta dal Gup all'esito del giudizio abbreviato, riteneva che, nel caso di specie, dovesse escludersi la sussistenza di una posizione di garanzia in capo all' amministratore di sostegno rispetto alla signora sottoposta alla misura di protezione, la quale, d'altra parte, era anche assistita dal figlio e da una badante.

Annullava quindi la sentenza senza rinvio, perché il fatto non sussiste.

La questione

Il problema valutato dalla suprema Corte attiene alla possibilità di individuare una posizione di garanzia in capo all'amministratore di sostegno al fine di affermare una sua responsabilità ex art 591 c.p. nei confronti del soggetto sottoposto a protezione.

L'indagine non può che riguardare anche l'identificazione della fonte da cui può scaturire l'obbligo giuridico protettivo, il suo specifico contenuto e considerare l'ambito e le finalità dell'istituto dell'amministrazione di sostegno e il suo discrimen rispetto agli altri istituti di protezione della persona incapace.

La sentenza sottoposta alla valutazione della Corte ha ritenuto integrata la condotta di abbandono da parte dell'amministratore di sostegno – per non aver segnalato agli organi di riferimento la necessità di un immediato ricovero dell'amministrata in una struttura protetta –, senza porsi il problema preliminare di riconoscere la sussistenza di una posizione di garanzia che non fosse correlata soltanto al dato formale della qualifica dell'amministratore di sostegno, valutazione che, secondo quanto chiarito con la pronuncia in commento, deve necessariamente precedere quella relativa all'elemento soggettivo della condotta, integrabile a titolo di dolo generico.

A tal fine, secondo l'avviso espresso dalla suprema Corte è necessario analizzare sia le finalità protettive fondanti la stessa posizione di garanzia, sia la natura dei beni dei quali è titolare il soggetto garantito, che costituiscono l'obiettivo della tutela rafforzata, alla cui effettività mira la clausola di equivalenza di cui all'art 40, comma 2, c.p.

Le soluzioni giuridche

Secondo la Corte di cassazione, nella pronuncia in commento, se è vero che l'evento di pericolo per la persona incapace si è in concreto verificato, esso non è ascrivibile e rimproverabile al suo amministratore di sostegno.

Ciò non per difetto dell'elemento soggettivo, come ha ritenuto il Gup, ma perché l'amministratore di sostegno, nel caso di specie, non riveste una posizione di garanzia nei confronti dell'anziana signora rinvenuta in condizioni fisiche precarie, stante il contenuto del decreto di nomina emesso dal giudice tutelare, non comprensivo anche dell'obbligo di cura della persona.

Secondo la suprema Corte, quindi, il ruolo dell'amministratore di sostegno può essere limitato alla gestione degli interessi patrimoniali del beneficiario e non si estende automaticamente alla cura della persona.

La Corte è pervenuta a tale soluzione ricostruendo la fattispecie di reato contestata all'imputato e l'ambito di applicazione e la finalità dell'istituto dell'amministrazione di sostegno.

Ricordato che il delitto di abbandono di persone minori o incapaci, previsto dall'articolo 591 c.p., può essereintegrato da qualunque azione od omissione, contrastante con il dovere giuridico di cura o di custodia, che grava sul soggetto agente e da cui derivi uno stato di pericolo, anche meramente potenziale, per la vita o per l'incolumità del soggetto passivo, incapace di provvedervi da solo, ha evidenziato come tale reato proprio può essere commesso solamente da parte di un soggetto che riveste una posizione di garanzia nei confronti dei soggetto passivo, sia esso un minore o un incapace.

Ha chiarito, in proposito, come le fonti da cui derivano gli obblighi di custodia e di assistenza che realizzano la protezione del bene a cui presidio è posta la norma dell'art. 591 c.p. possono essere rinvenute nelle norme giuridiche di qualsivoglia natura, in convenzioni di natura pubblica o privata, regolamenti o legittimi ordini di servizio, rivolti alla tutela della persona umana, in ogni condizione ed in ogni segmento del percorso che va dalla nascita alla morte.

A fronte di un ventaglio così ampio di fonti da cui può derivare l'obbligo di custodia e di assistenza, anche il decreto di nomina emesso dal giudice tutelare, con il quale un soggetto venga investito del ruolo di amministratore di sostegno di persona necessitante di protezione può astrattamente costituire una posizione di garanzia in capo al primo.

In considerazione però della finalità dell'istituto dell'amministrazione di sostegno – introdotto nell'ordinamento dalla l. 9 gennaio 2004, n. 6 – diretto ad offrire a chi si trovi nella impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi uno strumento di assistenza che ne sacrifichi nella minor misura possibile la capacità di agire,è necessario però esaminare di volta in volta la fonte costitutiva dell'obbligo di protezione, per rilevare se essa si estenda anche al piano personale del soggetto incapace.

L'organo di legittimità ha infatti evidenziato innanzitutto il caratteresicuramente meno invasivo di tale misura di protezione, tratto distintivo rispetto agli altri istituti preposti a tutela degli incapaci, quali l'interdizione e l'inabilitazione, in quanto funzionale alla tutela, con la minore limitazione possibile della capacità di agire, delle persone prive in tutto o in parte di autonomia nell'espletamento delle funzioni della vita quotidiana, mediante interventi di sostegno temporaneo o permanente. Ha quindi ricordato come l'interdizione per il maggiore di età e il minore emancipato, prevista dall'art. 414 c.c., sia sostanzialmente riservata ai casi più gravi e a quei soggetti totalmente incapaci di provvedere ai propri interessi, la cui malattia si manifesta in maniera costante e non occasionale, comportandone di regola la perdita totale della capacità di agire; che, invece, la misura di protezione dell'amministratore di sostegno prevista dall'art. 404 c.c., comporta una contrazione sicuramente minore dell'autonomia e della capacità di agire per la persona che, per effetto di una infermità ovvero di una menomazione fisica o psichica, si trova nella impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi.

Dall'altro lato, però, la suprema Corte di Cassazione, ha evidenziato come la scelta tra un istituto di protezione o l'altro non deve essere semplicemente basata sul grado d'infermità o d'impossibilità di attendere ai propri interessi del soggetto, potendosi scegliere quello dell'amministrazione di sostegno, se più capace ad adattarsi alle esigenze della persona incapace, in relazione alla sua flessibilità ed alla maggiore agilità della relativa procedura applicativa.

Ciò richiamando sul punto quanto affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 440 del 2005 secondo cui, la complessiva disciplina inserita dalla L. n. 6 del 2004, sulle preesistenti norme del codice civile affida al giudice il compito di individuare l'istituto che, da un lato, garantisca all'incapace la tutela più adeguata alla fattispecie e, dall'altro, limiti nella minore misura possibile la sua capacità; e consente, ove la scelta cada sull'amministrazione di sostegno, che l'ambito dei poteri dell'amministratore sia puntualmente correlato alle caratteristiche del caso concreto.

Partendo da tale ultima considerazione, la Corte di cassazione ha quindi sostanzialmente chiarito che va fatto un distinguo caso per caso nella scelta della misura di protezione più adeguata e che si deve guardare al contenuto del decreto di nomina dell'amministratore di sostegno per rilevare l'ambito di espansione dei suoi compiti di assistenza e di protezione, onde verificare se gli stessi siano ristretti al solo ambito patrimoniale, burocratico o si spingano anche alla cura della persona, presupposto per poter configurare una responsabilità penale ex art. 591 c.p.

I compiti dell'amministratore di sostegno nei confronti del soggetto sottoposto a misura di protezione possono essere infatti diversi, in relazione alle necessità di tutela e di assistenza di ciascuno dei soggetti da assistere e proteggere.

Nel caso sottoposto al vaglio della suprema Corte di cassazione, mancando qualsiasi richiamo nel decreto di nomina del giudice tutelare alla necessità di cura della persona da amministrare, la Corte ha quindi escluso la posizione di garanzia dell'amministratore di sostegno con riferimento all'anziana signora e quindi la rilevanza penale del fatto ex art 591 c.p., per essere stata rinvenuta la predetta, all'esito del fine settimana trascorso senza il presidio dell'amministratore di sostegno, in condizioni precarie di salute.

Osservazioni

La natura dell'istituto di protezione e dei compiti di cui normalmente viene investito l'amministratore di sostegno al momento della nomina fatta con decreto del giudice tutelare, pone l'amministratore di sostegno di regola, in una posizione dialettica con il soggetto debole, sottoposto a protezione, assistito e non sostituito, diversamente da quanto accade in ambito di interdizione.

Ed infatti, i primi due commi dell'art. 410 c.c., impongono all'amministratore di sostegno, da un lato, di tenere conto dei bisogni e delle aspirazioni del beneficiario, dall'altro, di informare tempestivamente il beneficiario sugli gli atti da compiere, e il giudice tutelare in caso di dissenso con il beneficiario stesso.

Vero è che la maggiore flessibilità dell'istituto de quo, ne comporta l'applicazione in casi di “attenuazione” della capacità di agire di diversa intensità, e consente di riempire di diversi contenuti il decreto di nomina dell'amministratore di sostegno, per poter soddisfare il più possibile le esigenze di reale tutela e protezione del soggetto.

Può verificarsi dunque che anche l'obbligo della cura della persona, funzione che normativamente è indicata per il tutore, possa rientrare tra i compiti affidati all'amministratore di sostegno, facendo sorgere in capo allo stesso la funzione di garanzia rispetto ai beni della vita e alla incolumità dell'incapace, al pari di quanto accade per il tutore o per quei soggetti (familiari e strutture di ricovero) a cui viene demandato per legge o per contratto di natura privatistica, questo compito.

Solo in tal caso, può configurarsi, ricorrendo tutti gli altri presupposti, una responsabilità penale per abbandono di persona incapace ex art 591 c.p.

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