La messa alla prova degli adulti e l'astensione del giudice

20 Maggio 2016

Sussiste una causa di incompatibilità del giudice che emette l'ordinanza di sospensione del processo con messa alla prova nei confronti di un imputato e prosegua il processo nei confronti degli altri coimputati? L'istituto dell'incompatibilità del giudice a seguito dei numerosi interventi da parte del legislatore e della Corte costituzionale è diventato abbastanza complesso. La Corte di cassazione per risolvere il caso in esame ha richiamato la giurisprudenza costituzionale e di legittimità relativa ai casi di incompatibilità orizzontale del giudice che può verificarsi nello stesso grado e fase del giudizio.
Massima

L'ordinanza di sospensione del procedimento con messa alla prova, previsto dall'art. 464-quater c.p.p., non determina l'incompatibilità del giudice nel giudizio che prosegua, nei confronti di eventuali coimputati, con le forme ordinarie, in quanto viene adottata nella medesima fase processuale e non implica una valutazione sul merito dell'ipotesi di accusa, costituendo esercizio della discrezionalità giurisdizionale fondata sulla delibazione dell'inesistenza ictu oculi di cause di immediato proscioglimento ex art. 129 c.p.p., sulla verifica dell'idoneità del programma di trattamento e su una prognosi favorevole di non recidiva; soltanto nell'ipotesi di “esuberanza” motivazionale dell'ordinanza, che esondi dai limiti richiamati, pronunciandosi sul merito dell'ipotesi di accusa e/o su altre posizioni processuali, è possibile sollecitare una verifica in concreto del requisito dell'imparzialità, mediante gli istituti della astensione per gravi ragioni di convenienza (art.36, comma 1, lett.h), c.p.p) e della ricusazione per indebita manifestazione del proprio convincimento (art.37, comma 1, lett. b) c.p.p.).

Il caso

La Corte di appello di Bologna dichiarava inammissibili le istanze di ricusazione proposte da due imputati nei confronti del giudice monocratico del tribunale di Piacenza.

La dichiarazione di ricusazione si fondava sul fatto che nell'ambito del processo penale in corso nei confronti di cinque soggetti imputati per il delitto di turbata libertà dell'industria o del commercio (art.513 c.p.), il giudice monocratico del tribunale di Piacenza disponeva la separazione processuale nei confronti dell'imputato che aveva avanzato la richiesta di patteggiamento ed assegnava il fascicolo ad altro giudice persona fisica; inoltre, separava la posizione processuale nei confronti dei due imputati che avevano chiesto la messa alla prova.

Il giudice dichiarava, quindi, di non astenersi nel trattare anche il processo nei confronti dei due imputati da giudicare con il rito ordinario, trattandosi di posizioni concernenti reato a concorso eventuale mentre l'istituto della sospensione con messa alla prova, a differenza del rito del patteggiamento, comporta una valutazione meno pregnante che può sfociare in caso di esito positivo della prova in una declaratoria di estinzione del reato.

In altri termini, secondo il tribunale di Piacenza poiché il concorso nel reato di cui all'art. 513 c.p. da parte dell'imputato richiedente la messa alla prova è soltanto eventuale e non necessario, le condotte ascrivibili ai soggetti da giudicare con il rito ordinario e quella del richiedente la messa alla prova, possono ed anzi devono essere valutate in modo autonomo e senza che le valutazioni concernenti le une subiscano improprie ripercussioni in ragione delle valutazioni sulle altre.

Anche, la Corte di appello di Bologna confermava, che nel caso in esame non si verteva in un'ipotesi di concorso necessario e non è configurabile alcun pregiudizio per l'imparzialità del giudice.

Riteneva le istanze di ricusazione inammissibili sostenendo che la separazione processuale degli imputati che accedevano alla c.d. probation, mancando ancora una valutazione sulla responsabilità penale degli stessi, non comportava una valutazione pregnante sull'esistenza del reato e sull'attribuibilità all'imputato.

Avverso l'ordinanza della Corte di appello il difensore di uno degli imputati (del rito ordinario) proponeva ricorso in Cassazione.

La questione

Sussiste una causa di incompatibilità del giudice che emette l'ordinanza di sospensione del processo con messa alla prova nei confronti di un imputato e prosegua il processo nei confronti degli altri coimputati?

Le soluzioni giuridiche

L'istituto dell'incompatibilità del giudice a seguito dei numerosi interventi da parte del legislatore e della Corte costituzionale è diventato abbastanza complesso.

La Corte di cassazione per risolvere il caso in esame ha richiamato la giurisprudenza costituzionale e di legittimità relativa ai casi di incompatibilità orizzontale del giudice che può verificarsi nello stesso grado e fase del giudizio.

Già in passato la Cassazione ha stabilito che l'incompatibilità del giudice, come peraltro prevista dalla sentenza della Corte costituzionale n. 371 del 1996, non si può estendere in tutti i casi in cui si procede separatamente nei confronti dei concorrenti del reato ma deve essere circoscritta solo a quei casi in cui, con la sentenza che definisce il procedimento a carico di uno o più imputati siano state apprezzabilmente operate valutazioni, anche se in via incidentale, purché di contenuto univoco e rilevante, in ordine alla responsabilità penale di un terzo concorrente nel medesimo reato (Cass. pen., Sez. VI, 22 aprile 1999).

Recentemente la Cassazione ha affermato che il giudice, il quale abbia definito la posizione di un coimputato con il giudizio abbreviato, non è incompatibile ai sensi dell'art. 34 c.p.p., a partecipare nel giudizio del rito ordinario nei confronti degli altri imputati, se nel decidere la posizione processuale definita con il rito abbreviato, non ha espresso valutazioni sul merito dell'accusa nei confronti dei coimputati che hanno scelto il processo ordinario in quanto la mera conoscenza da parte del giudice del dibattimento degli atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero, senza che vi sia poi alcuna valutazione di merito, non rende lo stesso giudice incompatibile a partecipare al giudizio (Cass. pen., Sez. III Sez., n. 33591/2015).

Nella sentenza in esame, i giudici di legittimità richiamavano, infine, la decisione n. 36847 del 2014 delle Sezioni unite secondo cui come noto, sussiste una situazione di incompatibilità ai sensi dell'art. 34, comma 2,c.p.p., anche con riferimento alla ipotesi in cui il giudice del dibattimento abbia, in un separato procedimento, pronunciato sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti nei confronti di un concorrente necessario dello stesso reato.

Ritornando al caso de quo, la Corte evidenzia che non ricorre nessuna ipotesi di incompatibilità in quanto l'ordinanza di sospensione di messa alla prova è stata emessa nello stesso grado e soprattutto nella medesima fase dibattimentale.

Il principio di diritto a cui pervengono i giudici di legittimità è che l'ordinanza di sospensione con messa alla prova non determina, ex se, l'incompatibilità del giudice nel giudizio che prosegua con le forme ordinarie nei confronti di altri coimputati; tuttavia nei casi in cui l'ordinanza di messa alla prova contenga valutazioni che si basano sulla fondatezza dell'accusa o sulle altre posizioni processuali, è possibile proporre istanza di ricusazione per indebita manifestazione del proprio convincimento (art.37, comma 1, lett. b) c.p.p.) o sulla base dell'istituto di altre ragioni di convenienza.

Osservazioni

La Corte di cassazione analizzando l'istituto della messa alla prova ritiene che l'ordinanza di ammissione non comporta una valutazione sul merito dell'accusa ma soltanto sulle cause di proscioglimento ex art. 129 c.p.p., sulla verifica del programma di trattamento e sulla prognosi favorevole di non recidiva, come previsto dal legislatore.

Sottolinea, peraltro, il giudice di legittimità che la base cognitiva degli atti del fascicolo del dibattimento che il giudice ha a disposizione, trovandosi nella fase preliminare al dibattimento, è alquanto scarna (diverso è il caso di richiesta di sospensione del procedimento nel corso delle indagini preliminari ex art. 464-terc.p.p. o nei reati in cui è prevista l'udienza preliminare, poiché in tali casi il giudice ha a disposizione tutto il fascicolo del pubblico ministero).

Inoltre, nel caso di specie l'ordinanza ammissiva della messa alla prova del tribunale di Piacenza era particolarmente sintetica e non conteneva alcun elemento relativo all'accusa o agli altri imputati.

Il principio di diritto enunciato dalla Cassazione appare, sulla base della normativa vigente, senz'altro condivisibile e correttamente applicato al caso di specie.

Occorre considerare, tuttavia, che demandare al giudice – nella fase preliminare al dibattimento – valutazioni delicate e talora complesse in ordine alla correlazione tra le posizioni degli imputati al fine di vagliare la sussistenza o meno di ragioni incompatibilità, può implicare notevoli complicazioni. Ed infatti, qualora il giudice (che peraltro in tale fase dispone di pochi elementi) dovesse incorrere in errore, potrebbe rendere del tutto inutilizzabili gli atti compiuti ai sensi dell'art. 42 c.p.p. (il provvedimento che accoglie la dichiarazione di astensione o di ricusazione dichiara se e in quale parte gli atti compiuti conservano efficacia) con evidente frustrazione dell'intento deflattivo dell'istituto della messa alla prova.

Sotto tale profilo, quindi, appare auspicabile un intervento del legislatore (o della Corte costituzionale non nuova a pronunce additive sull'art. 34 c.p.p.) volto a chiarire in via prudenziale e generale la questione della incompatibilità del giudice che abbia disposto la messa alla prova.

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