L'ammissibilità della costituzione di parte civile del sindacato nei procedimenti per i reati di omicidio o lesioni colpose

20 Luglio 2017

È ammissibile, indipendentemente dall'iscrizione del lavoratore al sindacato, la costituzione di parte civile delle associazioni sindacali nei procedimenti per reati di omicidio o lesioni colpose? In caso di risposta affermativa, è possibile delineare dei limiti a tale legittimazione?
Massima

È ammissibile, indipendentemente dall'iscrizione del lavoratore al sindacato, la costituzione di parte civile delle associazioni sindacali nei procedimenti per reati di omicidio o lesioni colpose, commessi con violazione della normativa antinfortunistica, quando l'inosservanza di tale normativa possa cagionare un danno autonomo e diretto, patrimoniale o non patrimoniale, alle associazioni sindacali, per la perdita di credibilità dell'azione di tutela delle condizioni di lavoro dalle stesse svolta con riferimento alla sicurezza dei luoghi di lavoro e alla prevenzione delle malattie professionali.

Il caso

La Corte di appello di Cagliari confermava la pronuncia di condanna di primo grado per il delitto di cui all'art. 589 c.p. per l'omicidio colposo di un lavoratore avvenuto sul capannone della ditta di cui l'imputato era legale rappresentante.

In particolare, all'imputato si contestava di avere, quale committente dei lavori di installazione di un impianto di pannelli fotovoltaici sul tetto di un capannone, con negligenza, imprudenza, imperizia e violazione di leggi, contribuito con altri a cagionare l'incidente mortale a seguito del quale decedeva il lavoratore per le lesioni riportate precipitando dal tetto del capannone della ditta.

All'imputato, inoltre, venivano addebitate le gravissime lesioni (artt. 110 e 590, commi 1, 2 e 3, c.p.) subite da altri lavoratori, anch'essi precipitati dal tetto del capannone della ditta.

Nell'ambito del suddetto procedimento era stata ammessa la costituzione di pare civile del sindacato.

Avverso tale sentenza, l'imputato ha proposto ricorso per Cassazione sollevando numerose censure, tra cui l'erronea applicazione della legge ove era stata riconosciuta la ammissibilità della costituzione di parte civile del sindacato, in assenza di lesione di un diritto soggettivo, avendo per oggetto il processo la lesione del bene vita e della integrità fisica di persone individuali ben determinate.

La questione

È ammissibile, indipendentemente dall'iscrizione del lavoratore al sindacato, la costituzione di parte civile delle associazioni sindacali nei procedimenti per reati di omicidio o lesioni colpose?

In caso di risposta affermativa, è possibile delineare dei limiti a tale legittimazione?

Le soluzioni giuridiche

La Corte ribadisce il più volte affermato principio in base al quale, indipendentemente dall'iscrizione del lavoratore al sindacato, è ammissibile la costituzione di parte civile di quest'ultimo nei procedimenti per reati di omicidio o lesioni colpose, commessi con violazione della normativa antinfortunistica.

La soluzione positiva al quesito, tuttavia, risulta essere subordinata alla ricorrenza di un ulteriore presupposto.

Richiamando la precedente massima giurisprudenziale, infatti, il Collegio ha modo di precisare che la costituzione di parte civile è ammissibile quando l'inosservanza della normativa «possa cagionare un danno autonomo e diretto, patrimoniale o non patrimoniale, alle associazioni sindacali, per la perdita di credibilità dell'azione di tutela sulle condizioni di lavoro delle stesse svolta con riferimento alla sicurezza dei luoghi di lavoro e alla prevenzione delle malattie professionali».

Applicando tale principio al caso concreto, la Corte evidenzia, in maniera stringata, che la gravità dell'incidente occorso ai quattro operai rappresenta senza alcun dubbio una circostanza idonea a minare la credibilità dell'operato del sindacato.

Se, dunque, tale soluzione giuridica può, ad oggi, considerarsi perfettamente consolidata, il dibattito giurisprudenziale in passato è stato particolarmente acceso.

Invero, quantomeno fino ad un decennio addietro, il problema era stato affrontato in maniera più ampia, con riferimento alla legittimazione degli enti esponenziali a costituirsi parte civile.

I contrasti interpretativi sorti in seno alla Corte sono stati ben ricostruiti nella sentenza n. 22558/2010 della IV Sezione.

Ad un primo orientamento, particolarmente restrittivo, che escludeva in modo assoluto la possibilità di costituzione di parte civile degli enti esponenziali, in considerazione del fatto che essi siano rappresentativi di interessi diffusi e non di diritti soggettivi (Cass. pen., Sez. III, 18 aprile 1994 n. 7275, Galletti), se ne opponeva uno maggiormente “possibilista”, il quale riconosceva l'ammissibilità dell'azione civile nel procedimento penale, da parte delle suddette associazioni, esclusivamente in quei casi in cui l'interesse perseguito da queste ultime potesse essere ricondotto ad un diritto soggettivo del gruppo associato (tra le più recenti: Cass. pen., Sez. III, 5 aprile 2002 n. 22539, Kiss Gmunter).

Un terzo orientamento, invece, nell'adottare una soluzione intermedia tra i due sopra citati filoni giurisprudenziali, giungeva a conclusioni intrinsecamente contraddittorie, affermando che, nei reati contro l'ambiente, le associazioni ambientalistiche possono costituirsi parte civile ma hanno diritto esclusivamente alla liquidazione delle spese e degli onorari e non al risarcimento del danno (Cass. pen., Sez. III, 3 dicembre 2002 n. 43238, Veronese).

Invero, una attenta lettura delle pronunce sopra riportate evidenzia l'esistenza di un comune denominatore tra le stesse: la legittimazione all'esercizio dell'azione civile (nel processo penale ma anche in un autonomo giudizio civile) deve necessariamente presupporre la titolarità di un diritto soggettivo.

L'aspra critica mossa dalla dottrina giuridica a questo tipo di impostazione ha portato ad un radicale cambiamento di rotta della giurisprudenza di legittimità.

La Suprema Corte, infatti è andata sempre più ampliando l'ambito di risarcibilità del danno al di là della violazione di diritti soggettivi assoluti, fino a ricomprendere la violazione di diritti relativi di credito, di interessi legittimi (Cass. civ., 22 luglio 1999 nn. 500 e 501) di interessi diffusi e di aspettative.

Quanto alla risarcibilità del danno non patrimoniale, inoltre, il dettato normativo e la successiva elaborazione giurisprudenziale non pongono alcun ostacolo alla possibilità di risarcimento dello stesso allorquando esso sia stato causato dal reato.

La norma di cui all'art. 185, comma 2, c.p. espressamente prevede l'obbligo, per il colpevole e le persone che devono rispondere civilisticamente per il suo fatto, di risarcire il danno patrimoniale o non patrimoniale cagionato dal reato.

La Corte costituzionale (sent. 11 luglio 2003 n. 233) e la Corte di cassazione (Cass. civ, Sez. III, 31 maggio 2003, nn. 8828 e 8827) hanno addirittura riconosciuto ulteriore fondamento alla pretesa risarcitoria allorquando si tratti di lesione di beni costituzionalmente protetti (proprio come nel caso di specie, con la violazione del diritto alla vita e alla salute).

La soluzione giuridica adottata nel caso di specie, dunque, si pone in perfetta linea con il mutato e ormai consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, riconoscendo l'ammissibilità della costituzione di parte civile del sindacato, a prescindere dalla possibilità di riconoscere in capo a quest'ultimo la titolarità di un diritto soggettivo, ma subordinandolo esclusivamente alla verifica di una possibile violazione di una posizione giuridica protetta di cui l'associazione è portatrice.

Osservazioni

La decisione della quarta Sezione della Corte di cassazione, in ordine alla questione di diritto sopra esposta, sembra essere motivata con la tecnica redazionale della motivazione semplificata.

In perfetta assonanza con le direttive del c.d. decreto Canzio, infatti, il Collegio si limita a richiamare i precedenti giurisprudenziali, dai quali ritiene di non doversi discostare, ponendoli alla base della sua pronuncia.

Il riferimento ad un orientamento interpretativo consolidato, tuttavia, non potendosi considerare sufficiente ad assolvere compiutamente all'onere motivazionale, viene integrato dalla spiegazione della ratio decidendi con riferimento alla fattispecie concreta, pur se espressa in estrema sintesi e senza le argomentazioni richieste per le decisioni che richiedono l'esercizio della funzione di nomofilachia.

Tale necessaria premessa rende evidente che la soluzione giuridica adottata dalla Corte viene oramai considerata patrimonio acquisito della giurisprudenza di legittimità, con definitivo abbandono di ogni altra soluzione interpretativa di senso opposto.

Il percorso di elaborazione giurisprudenziale, come sopra ricostruito, e la normativa di riferimento, d'altra parte, non possono giustificare un discostamento da tale opzione ermeneutica.

Invero, anche volendo aderire alla più risalente giurisprudenza di legittimità, la soluzione al quesito circa l'ammissibilità della costituzione di parte civile del sindacato sarebbe comunque positiva sulla base di alcuni imprescindibili riferimenti normativi.

Si pensi, in primo luogo, all'art. 9 dello Statuto dei lavoratori(l. 20 maggio 1970, n. 300), che prevede che i lavoratori, mediante le loro rappresentanze, «hanno diritto di controllare l'applicazione delle norme per la prevenzione degli infortuni e le malattie professionali e di promuovere la ricerca, l'elaborazione e l'attuazione di tutte le misure idonee a tutelare la loro salute e la loro integrità fisica».

Tale noma non sembra lasciar dubbi circa il riconoscimento della titolarità, da parte del sindacato, di un vero e proprio diritto soggettivo al controllo circa l'applicazione delle norme per la prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali nonché alla promozione di tutte le attività finalizzate a ricercare e dare attuazione alle misure che tutelino la salute dei lavoratori.

Se, dunque, in linea con un ormai superato orientamento interpretativo, si volesse ritenere che la legittimazione alla costituzione di parte civile debba essere riconosciuta esclusivamente ai titolari di un diritto soggettivo, l'espresso riconoscimento di tale posizione giuridica attiva in capo al Sindacato giustificherebbe, in ogni caso, l'ammissibilità dell'esercizio dell'azione civile nel processo penale.

Altri, più recenti, interventi normativi, peraltro, avallano ulteriormente l'interpretazione sposata dalla Corte nella pronuncia in esame.

In particolare, il d.lgs. 19 settembre 1994, n. 626, agli artt. 18, 19 e 20 prevede l'elezione, da parte dei lavoratori, di un rappresentante per la sicurezza, con funzioni di accesso, consultazioni e proposizione (da quest'ultimo punto di vista, tale riconoscimento è previsto dal d.lgs. 9 aprile 2008 n. 81)

Nello stesso senso devono essere intese le ulteriori previsioni, contenute nel medesimo d.lgs. 626 del 1994, circa il ruolo attribuito alle associazioni sindacali all'interno della Commissione consultiva permanente per la salute e la sicurezza del lavoro (art. 6), nonché circa il potere di interpello al Ministero del lavoro, ad esse riconosciuto, con legittimazione a formalizzare quesiti di ordine generale sull'applicazione della normativa in materia di salute e sicurezza del lavoro (art. 12).

Le sopra menzionate previsioni di legge confermano, se mai fosse necessario, il riconoscimento di un vero e proprio diritto soggettivo di cui il sindacato risulta essere titolare.

Le argomentazioni esposte, tuttavia, non sembrano aver definitivamente sopito il dibattito sulla questione giuridica prospettata.

Numerose pronunce di merito e una parte minoritaria della dottrina, infatti, ancora oggi ritengono che l'ammissibilità della costituzione di parte civile degli enti esponenziali (e in particolar modo delle associazioni sindacali) rappresenti una vera e propria forzatura interpretativa e una distorsione del sistema processuale.

A sostegno di questa tesi vi sarebbero una serie di elementi sintomatici della impossibilità di riscontrare un vero e proprio danno risarcibile a danno dell'associazione.

In via di sintesi, tali elementi possono essere individuati nel fine perseguito dalle associazioni, cioè quello di dare risonanza mediatica al fatto e coadiuvare l'accusa, nonché il tipo di risarcimento richiesto, generalmente simbolico.

A tutto ciò si accompagna la considerazione che, a parere dei sostenitori di tale opzione interpretativa, l'unico effetto pregiudizievole che tali formazioni sociali possono subire a seguito della condotta criminosa è “il turbamento del gruppo”.

Una siffatta impostazione ermeneutica, tuttavia, sembra non tener conto del fatto che la tutela delle condizioni di lavoro rappresenta uno dei compiti principali delle organizzazioni sindacali, le quali perseguono la suddetta finalità non soltanto in riferimento ai profili collegati alla stabilità del rapporto e agli aspetti economici dello stesso (oggetto della contrattazione collettiva) ma anche, come visto in precedenza, in relazione alla tutela delle libertà individuali e dei diritti primari del lavoratore, tra cui quello alla vita e alla salute.

Tanto premesso, appare evidente che, nei casi di cui qui ci si occupa, la violazione delle norme poste a presidio della salute e della vita del lavoratore determini un danno diretto, civilisticamente rilevante, per l'associazione sindacale che giustifica l'esercizio dell'azione civile nel processo penale per ottenerne il risarcimento.

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