La fisionomia del reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali dopo la depenalizzazione

20 Ottobre 2016

A seguito della parziale depenalizzazione del reato di cui all'art. 2, comma 1-bis d.l. 12 settembre 1983 n. 463, tale fattispecie deve ritenersi realizzabile solo quando ...
Massima

A seguito della parziale depenalizzazione del reato di cui all'art. 2, comma 1-bis d.l. 12 settembre 1983 n. 463, convertito dalla l. 11 novembre 1983 n. 638, per effetto dell'art. 3, comma 6, d.lgs. 15 gennaio 2016, n. 8 (entrato in vigore il 6 febbraio 2016), la predetta fattispecie deve ritenersi realizzabile solo quando, nell'arco dell'anno, il datore di lavoro ometta di eseguire i versamenti delle ritenute previdenziali ed assistenziali operate sulle retribuzioni corrisposte ai lavoratori dipendenti il cui ammontare, indipendentemente dal riferimento ad una o più mensilità, superi la soglia di 10.000,00 euro.

Il caso

Tizio è stato condannato dal tribunale di Caltanissetta alla pena di quattro mesi di reclusione ed 800 euro di multa per i reati previsti dall'art. 2, comma 1-bis, d.l. 12 settembre 1983 n. 463, convertito dalla l. 11 novembre 1983 n. 638, per avere, nella qualità di titolare della ditta Alfa, omesso di versare nei termini le ritenute previdenziali ed assistenziali operate sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti relativamente ai mesi di gennaio, luglio, settembre e dicembre 2005, nonché ai mesi di aprile e giugno 2006, per un importo complessivo di 5.392 euro; per avere, nella sua qualità di titolare della ditta Beta, omesso di versare nei termini le ritenute previdenziali ed assistenziali operate sulla retribuzione dei lavoratori dipendenti relativamente ai mesi da marzo 2007 ad aprile 2008, per un importo complessivo di 1.181 euro; per avere, nella sua qualità di titolare della dita Gamma, omesso di versare nei termini le ritenute previdenziali ed assistenziali operate sulla retribuzione dei lavoratori dipendenti occupati presso la predetta società relativamente al periodo luglio e agosto 2006 e da ottobre 2006 ad aprile 2008, per un importo complessivo di 14.768 euro.

La pronuncia di prime cure è stata confermata dalla Corte di appello di Caltanissetta. La suprema Corte, adita dall'imputato, ha ritenuto assorbente rispetto agli altri motivi di ricorso l'intervenuta aboltio criminis a seguito della parziale depenalizzazione del reato di cui all'art. 2, comma 1-bisd.l. 12 settembre 1983 n. 463, convertito dalla l. 11 novembre 1983 n. 638, per effetto dell'art. 3, comma 6, d.lgs. 15 gennaio 2016, n. 8 (entrato in vigore il 6 febbraio 2016).

Poiché tutte le condotte poste in essere dal ricorrente rientravano nella sfera di applicazione del suddetto decreto, in quanto le somme non versate a titolo di contributi previdenziali ed assistenziali risultavano assestate sotto la soglia di legge, la Corte ha annullato senza rinvio la sentenza impugnata ritenendo che i fatti contestati non fossero più previsti dalla legge come reato, disponendo la trasmissione degli atti alla sede Inps di Caltanissetta per l'applicazione delle sanzionai amministrative introdotte dal decreto di depenalizzazione.

La questione

La questione in esame è la seguente: qual è la nuova fisionomia strutturale del delitto di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali dopo la recente depenalizzazione parziale?

Le soluzioni giuridiche

Con la pronuncia in esame la suprema Corte analizza la nuova struttura del reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali delineata dal recente d.lgs. 8/2016 che ne ha sancito la depenalizzazione.

Innanzitutto, la Corte osserva che quella operata dal suddetto decreto è una depenalizzazione soltanto parziale, in quanto costituiscono ancora reato le condotte di omesso versamento delle ritenute che superano, nell'arco temporale dell'anno, l'importo di 10.000 euro.

Il Legislatore ha quindi rimodulato la fattispecie in ordine agli elementi che costituiscono il fatto tipico, pur nella continuità del tipo di illecito.

Infatti, la previsione di un importo annuo di 10.000 euro introduce una soglia di punibilità del reato.

Nella sua fisionomia originaria, l'integrazione dell'illecito richiedeva il mancato versamento mensile delle ritenute previdenziali ed assistenziali operate, indipendentemente dall'entità dell'importo non versato. L'eventuale pluralità di omissioni dava vita ad una molteplicità di reati, che eventualmente potevamo essere avvinti dal vincolo della continuazione.

Nella sua nuova struttura, invece, la fattispecie può essere realizzata solo quando, nell'arco di un anno, il datore di lavoro omette di eseguire i versamenti che, indipendentemente dal riferimento ad una o più mensilità, superano la soglia di 10.000 euro.

Quindi, pur nella unitarietà della struttura, il reato può essere realizzato tanto da un'unica omissione (che da sola superi la soglia di punibilità), quanto da una pluralità di omissioni (che complessivamente superano la soglia di punibilità).

Nella seconda eventualità, però, il reato rimane unico e, poiché le singole omissioni non costituiscono reato, la consumazione non è più istantanea (come quando la soglia viene superata da un'unica omissione), bensì di durata e ad effetto prolungato, sebbene nel solco del periodo annuale di riferimento sino al termine del quale può realizzarsi o protrarsi il momento consumativo del reato.

Osservazioni

L'art. 3, comma 6, d.lgs. 15 gennaio 2016, n. 8 ha sostituito la formulazione dell'art. 2, comma 1-bis, d.l. 12 settembre 1983 n. 463, convertito dalla l. 11 novembre 1983 n. 638, in tema di delitto di omesso versamento di ritenute previdenziali e assistenziali, prevedendo che l'omesso versamento delle ritenute di cui al comma 1, per un importo superiore a euro 10000 annui, è punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa fino a euro 1.032. Se l'importo omesso non è superiore a euro 10.000 annui, si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 10.000 a euro 50.000. Il datore di lavoro non è punibile, néassoggettabile alla sanzione amministrativa, quando provvede al versamento delle ritenute entro tre mesi dalla contestazione o dalla notifica dell'avvenuto della violazione.

Rispetto alla formulazione previgente l'unico elemento di novità è la previsione di una sanzione amministrativa pecuniaria per i casi in cui l'importo omesso non superi i 10.000 euro annui.

La novella risponde all'esigenza deflattiva che ha caratterizzato tutta la manovra di depenalizzazione delineata dalla l. 67/2014 e che, nel caso di specie, si è tradotta in un restringimento delle omissioni penalmente rilevanti a quelle aventi ad oggetto gli importi più elevati, conformemente ai principi di meritevolezza della pena ed extrema ratio dell'intervento penale.

Sul piano strutturale, l'introduzione di una soglia di punibilità comporta una serie di rilevanti conseguenze sul piano pratico.

In primo luogo, la consumazione del reato non coincide più con la scadenza del termine utile concesso al datore di lavoro per il singolo versamento (il giorno sedici del mese successivo a quello cui si riferisce il contributo) ma con la scadenza del termine utile per versare il contributo il cui importo, da solo o sommato ai precedenti importi non versati nell'anno, fa scattare la soglia di rilevanza penale.

Analogamente, in tema di prescrizione, il termine di estinzione del reato decorre dalla scadenza dei tre mesi – concessi al datore di lavoro per avvalersi della causa di non punibilità del pagamento tardivo – successivi alla contestazione della violazione che, da sola o sommata alle precedenti nell'anno, supera la soglia dei 10.000 euro.

Sul punto, va rilevato che, recentemente, la suprema Corte ha chiarito che ai fini della punibilità non rileva l'eventuale già dichiarata prescrizione delle omissioni intercorse nell'anno, in quanto la soglia di punibilità è riferita al periodo annuale e deve ritenersi perciò indipendente dai fatti estintivi diversi da quello, satisfattivo, del pagamento (essendo il medesimo rilevante ai fini penali anche dopo la scadenza del termine ordinario di versamento). Ad avviso dei giudici di legittimità, questa è la chiara ratio legis enucleabile sulla scorta delle previsioni normative relative d.lgs. 8/2016, che infatti mantiene l'illiceità dei fatti non prescritti sul piano amministrativo (cfr. Cass. pen., Sez. III, 9 febbraio 2016, n. 14729).

Altro aspetto sul quale riverbera effetti significativi la riforma in esame è l'elemento soggettivo del reato. Infatti, a fronte di un dolo generico che richiedeva la coscienza e volontà di omettere il versamento delle ritenute operate, l'attuale coefficiente psichico si è arricchito di una nuova componente rappresentativa, ossia la consapevolezza del superamento della soglia di punibilità prevista dalla disposizione incriminatrice.

Infine, occorre spendere qualche parola sulla formula assolutoria che dovrà essere adottata dal giudice che abbia accertato il mancato raggiungimento della soglia di rilevanza penale fissata dal Legislatore. Come abbiamo visto, la novella è intervenuta su un elemento costitutivo del reato e, pur non alterando la natura illecita della condotta (che resta sanzionata a livello amministrativo), l'ha resa penalmente irrilevante quando i versamenti omessi siano inferiori all'importo sopra indicato.

Ne consegue che l'assoluzione deve essere disposta sulla base della mancata previsione del fatto come reato piuttosto che per l'insussistenza del fatto. Quest'ultima formula, infatti, presuppone che il fatto storico ipotizzato dal magistrato inquirente non si sia verificato nel mondo fenomenico, con la conseguenza che tale fatto, proprio perché mai esistito, non potrà essere valutato come fonte di responsabilità (penale ma anche civile, amministrativa, contabile, disciplinare, ecc.). Nel caso in esame, invece, il fatto storico è stato accertato come esistente ma tuttavia non è più riconducibile, al momento della decisione, ad una fattispecie astratta prevista dalla legge come reato, e ciò in ragione delle modifiche strutturali intervenute medio tempore (per analoga soluzione con riferimento al delitto ex art. 10-bis d.lgs. 74/2000, che ha subito una elevazione della soglia di rilevanza penale ad opera del d.lgs. 158/2015, cfr. Cass. pen., Sez. III, 9 febbraio 2016, n. 28934).

Per concludere, occorre osservare che l'inserimento, nella struttura della fattispecie, di una soglia di rilevanza penale non impedisce che anche per il reato in esame possa operare la causa di non punibilità di cui all'art. 131-bis c.p. Infatti, come chiarito dalla suprema Corte a composizione riunita, anche nei reati con soglia di punibilità il fatto può essere stimato dal giudicante come particolarmente tenue, pure nel caso in cui, al di sotto della soglia di rilevanza penale, vi sia una fattispecie che integra un illecito amministrativo (cfr. Cass. pen., Sez. un., 25 febbraio 2016, n. 13681). In tale direzione potranno orientare l'interprete, ad esempio, un ammontare di versamenti omessi vicinissimo alla soglia di punibilità, l'assenza di precedenti penali del datore di lavoro, le gravi condizioni economiche in cui versa l'impresa, il carattere isolato dell'omissione.

Guida all'approfondimento

CARCANO (a cura di), Depenalizzazione: i reati abrogati e nuovi illeciti civili, Milano, 2016.

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