Sequestro preventivo finalizzato alla confisca di beni costituiti in pegno regolare dall'indagato

20 Novembre 2015

In tema di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente di beni costituiti in pegno regolare, compete al giudice che sequestra o, in caso di ricorso, al giudice del riesame, valutare se sia il caso di scindere, ai fini della cautela, la posizione del creditore estraneo all'illecito penale rispetto a quella dell'indagato, realizzando un bilanciamento tra l'interesse pubblico e quello privato mediante la limitazione del vincolo alle sole facoltà dell'indagato sul bene sequestrato.
Massima

In tema di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente di beni costituiti in pegno regolare, compete al giudice che sequestra o, in caso di ricorso, al giudice del riesame, valutare se sia il caso di scindere, ai fini della cautela, la posizione del creditore estraneo all'illecito penale rispetto a quella dell'indagato, realizzando un bilanciamento tra l'interesse pubblico e quello privato mediante la limitazione del vincolo alle sole facoltà dell'indagato sul bene sequestrato.

Il caso

Un istituto bancario, nella qualità di terzo interessato, proponeva riesame ex art. 321 c.p.p. avverso il provvedimento di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente disposto dal Gip nell'ambito di indagini per reati tributari, provvedimento avente ad oggetto, tra l'altro, quote rappresentative di partecipazioni azionarie ad un fondo di investimento costituite in pegno regolare dall'indagato a favore dell'istituto bancario stesso.

In concreto, la banca richiedeva al tribunale del riesame di pronunciare l'annullamento o la revoca del provvedimento avversato, con la conseguente restituzione di quanto in sequestro e in subordine di limitare l'efficacia del provvedimento alle sole facoltà inerenti la posizione dell'indagato.

Il tribunale del riesame respingeva la richiesta proposta in via principale, statuendo che le cose eventualmente costituite in pegno possono formare oggetto di provvedimento di sequestro da parte del giudice penale, essendo necessario ritenere prevalenti le esigenze di tutela della collettività su quelle, di natura privatistica, proprie del creditore pignoratizio, ed ometteva del tutto di motivare sulla richiesta formulata in via subordinata dalla banca, la quale riproponeva il tema con l'impugnazione di legittimità.

La questione

La questione è così sintetizzabile: se, nel caso di sequestro preventivo (finalizzato alla confisca per equivalente) di beni di cui l'indagato non abbia la disponibilità materiale per essersene spossessato in virtù della costituzione di un pegno regolare, il provvedimento di sequestro preventivo sia legittimo e nel caso affermativo se l'interesse del creditore pignoratizio al mantenimento della garanzia reale delle obbligazioni contratte dall'indagato, debba comunque soccombere davanti all'interesse pubblicistico sotteso all'emanazione del provvedimento di sequestro preventivo stesso, interesse, come noto, finalizzato all'acquisizione al patrimonio dello Stato i beni costituenti il profitto del reato.

Le soluzioni giuridiche

Con la decisione in commento, si consolida l'opzione ermeneutica già operata dal giudice nomofilattico in precedenza con le sentenze, ormai veri leading cases della materia, pronunciate in tema (il riferimento è alla risalente sentenza Cass. pen., Sez. un., del 18 maggio 1994, n. 9 nonché a Cass. pen., Sez. II, 7 novembre 2008, n. 45400).

Il supremo Collegio ribadisce, infatti, la legittimità del provvedimento di sequestro preventivo ex artt. 322-ter c.p. e art. 321 c.p.p. avente ad oggetto i beni mobili costituiti dall'indagato in pegno regolare a favore del terzo estraneo all'illecito che sia creditore pignoratizio ex art. 2786 e ss. del codice civile.

Ad avviso dei giudici di legittimità, infatti, lo spossessamento del bene, in cui notoriamente deve individuarsi il nucleo centrale del pegno regolare, è ritenuto comunque circostanza inidonea a determinare la fuoriuscita dello stesso dalla sfera di disponibilità dell'indagato (cfr. art. 322-ter c.p. ed ora art. 13 del d.lgs. 158/2015), il quale, pur tollerando la compressione del diritto di proprietà conseguente alla costituzione del diritto reale di garanzia, è comunque nella possibilità di disporne validamente alienandolo a terzi o di riottenerne il possesso tramite l'esatto adempimento dell'obbligazione garantita.

Nonostante ciò, secondo l'indirizzo giurisprudenziale fatto proprio dalla sentenza in commento, deve respingersi l'assunto, sposato, nel caso concreto, dal giudice di merito, che le ragioni del creditore pignoratizio, pur se di buona fede in quanto estraneo alla commissione del reato, risultino recessive di fronte all'esigenza, cui è improntato il diritto penale, di assicurare la confisca (nella specie per equivalente, vertendosi in tema di reati tributari) dei beni costituenti il profitto del reato.

Esaltando il ruolo del giudice di merito – segnatamente, del Gip in prima istanza, e del tribunale del riesame, successivamente – la Corte di cassazione evidenzia quindi la necessità che il giudice operi un attento bilanciamento degli interessi in gioco, evitando, laddove possibile, che il creditore pignoratizio risulti soccombente per effetto di una sorta di automatismo (la necessaria soccombenza del pegno davanti al sequestro preventivo, appunto) ritenuto non conforme all'ordinamento vigente.

Il supremo Consesso, difatti, pone l'accento sulla necessità che il giudice si faccia garante del giusto bilanciamento tra gli interessi coinvolti, in via pretoria limitando l'estensione del vincolo scaturente dal sequestro preventivo alle sole facoltà spettanti all'indagato o imputato, lasciando impregiudicate quelle di spettanza del creditore pignoratizio estraneo all'illecito penale.

Secondo la Cassazione, in altri termini, appare doverosa la scissione delle rispettive sfere di disponibilità dell'indagato e del terzo estraneo ai reati ai fini di una diversificazione dell'ambito di efficacia del vincolo (in senso conforme, anche Cass. pen., Sez. III, 18 maggio 2011, n. 36293), operazione, questa, di merito che viene rinviata alla cognizione del giudice territoriale.

Osservazioni

La sentenza oggetto del presente contributo consacra, laddove fosse ancora necessario, la facoltà del pubblico ministero di richiedere ed ottenere il sequestro finalizzato alla confisca dei beni mobili oggetto del pegno regolare disciplinato dall'art. 2786 c.c., superando definitivamente le incertezze, inizialmente affacciatesi soprattutto nella giurisprudenza di merito, che lo spossessamento conseguente alla costituzione del pegno costituisse un ostacolo sequestrabilità degli stessi, soltanto in ipotesi fuoriusciti dal patrimonio dell'indagato e comunque dalla sua disponibilità.

Il tema non è soltanto di assoluta attualità, considerata la contemporanea congiuntura economica di segno negativo in cui versa il sistema economico, ma riveste – soprattutto – un rilievo cruciale specialmente in tema di illeciti penali tributari, considerato che l'istituto della confisca obbligatoria, di natura apertamente sanzionatoria/retributiva, rappresenta - in concreto - lo strumento repressivo di maggiore efficacia dal punto di vista della funzione general-preventiva della pena.

Peraltro, il legislatore, introducendo l'art. 10 della recente riforma dei reati tributari contenuta nel d.lgs. 158 del 24 settembre 2015, ha dimostrato ancora una volta di puntare molto sullo strumento della confisca per equivalente nel contrasto agli illeciti fiscali, confermando così l'intendimento già perseguito con l'estensione della confisca obbligatoria prevista dall'art. 322-ter ai delitti puniti dal d.lgs. 74/2000 mediante l'introduzione dell'art. 1, comma 143, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (legge finanziaria per l'anno 2008).

A fronte della confiscabilità (e quindi sequestrabilità) di tali beni, comunque, la giurisprudenza, chiamata a dirimere le controversie relative alla denunciata illegittimità dei provvedimenti cautelari finalizzati al provvedimento ablatorio, ha sottolineato la doverosità di operare dei netti distinguo, diversificando i casi, diversamente disciplinati, in cui il creditore pignoratizio possa, sulla base del compendio investigativo raccolto nella fase delle indagini preliminari, ritenersi non estraneo ai delitti contestati da quelli in cui debba invece ritenersi non coinvolto.

Nel primo caso, infatti, è fuor di dubbio che la confisca potrà colpire interamente i beni costituiti in pegno.

Nella seconda ipotesi, invece, facendo applicazione del principio di diritto espresso dalla sentenza commentata, la difesa del terzo avente interesse alla restituzione del compendio in sequestro potrà (tramite il riesame, anche nel merito, del provvedimento di sequestro dinanzi al tribunale del riesame, ai sensi dell'art. 324 c.p.p. o tramite la formulazione di una istanza di restituzione delle cose sequestrate ex art. 321, comma 3, c.p.p.) richiedere la scissione della propria posizione rispetto a quella dell'indagato, ottenendo, laddove concretamente possibile, che i vincoli imposti dal sequestro incombano esclusivamente sulle facoltà giuridicamente riconosciute dalla legge in materia di pegno regolare al debitore/indagato, col conseguente mantenimento, invece, della piena disponibilità di quelle di cui è titolare il creditore pignoratizio.

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