Con i decreti attuativi si delineano alcuni contorni penalistici delle Unioni civili

21 Febbraio 2017

A seguito della l. 20 maggio 2016 n. 76, che in particolare ha istituito l'unione civile tra persone dello stesso sesso quale specifica formazione sociale ai sensi degli artt. 2 e 3 Cost., il Governo ha emanato il d. lgs. 19 gennaio 2017, n. 6 «Modificazioni ed integrazioni normative in materia penale per il necessario coordinamento con la disciplina delle unioni civili, ai sensi dell'art. 1, comma 28, lettera c), della legge 20 maggio 2016, n. 76».
Abstract

A seguito della l. 20 maggio 2016 n. 76, che in particolare ha istituito l'unione civile tra persone dello stesso sesso quale specifica formazione sociale ai sensi degli artt. 2 e 3 Cost., il Governo ha emanato il d.lgs. 19 gennaio 2017, n. 6 Modificazioni ed integrazioni normative in materia penale per il necessario coordinamento con la disciplina delle unioni civili, ai sensi dell'art. 1, comma 28, lettera c), della legge 20 maggio 2016, n. 76. L'Autore propone una riflessione sulla conformità alla Costituzione dell'intervento normativo del legislatore delegato e sull'incisività delle modifiche operate con il decreto legislativo in commento.

Fonte: ilFamiliarista.it

Presupposti e confini del potere del Legislatore delegato

L'11 febbraio 2017 sono entrati in vigore i tre decreti legislativi di attuazione dell'art. 1, comma 28, l. 20 maggio 2016, n. 76, pubblicati in Gazzetta ufficiale n. 22 del 27 gennaio 2017.

In particolare, oggetto del presente articolo è il d. lgs. 19 gennaio 2017, n. 6.

Con norma direttamente precettiva, l'art. 1 comma 20 l. n. 76/2016 stabilisce che «al solo fine di assicurare l'effettività della tutela dei diritti e il pieno adempimento degli obblighi derivanti dall'unione civile tra persone dello stesso sesso, le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e le disposizioni contenenti le parole “coniuge”, “coniugi” o termini equivalenti, ovunque ricorrono nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti nonché negli atti amministrativi e nei contratti collettivi, si applicano anche ad ognuna delle parti dell'unione civile».

L'art. 1 comma 28 l. n. 76/2016, poi, delega il Governo ad adottare «uno o più decreti legislativi in materia di unione civile tra persone dello stesso sesso [restano escluse le convivenze di fatto] nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri direttivi: […] c) modificazioni ed integrazioni normative per il necessario coordinamento con la presente legge delle disposizioni contenute nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti e nei decreti».

Il Governo, nella Relazione illustrativa, specificando che il comma 20 non può riguardare il diritto penale sostanziale, pena la violazione dei principi di determinatezza e tassatività e del divieto di analogia in materia penale (sul che si concorda), afferma che il diritto penale dovrà essere adattato dal legislatore delegato ex art. 1 comma 28 lett. c), giacché l'opzione opposta lascerebbe prive di tutela le parti dell'unione civile, contrastando con gli stessi scopi della legge, e determinerebbe una disparità di trattamento rispetto ai coniugi ed al matrimonio.

A proposito della mancanza di tutela che deriverebbe dal mancato coordinamento anche nel settore penale, va sottolineato che il rovescio della medaglia della tutela è, in questo settore, una norma sfavorevole, che sia un'incriminazione o anche solo una circostanza aggravante.

Allo stesso modo, si deve convenire sulla disparità di trattamento che deriverebbe dal mancato coordinamento anche nel settore penale.

Tuttavia, il raggiungimento degli scopi di una legge deve restare rimesso al legislatore, il quale è unico sovrano del potere di stabilire se ed in quali termini il potere esecutivo possa agire quale suo delegato.

Nel caso di specie, può dubitarsi del fatto che una delega legislativa a soddisfare una mera necessità di “coordinamento” sia sufficiente a valere come delega nella materia penale.

Tale necessità di coordinamento, secondo quanto si legge nella Relazione illustrativa allo schema di decreto legislativo, dev'essere di natura tecnica edeve risultare de iure condito. La stessa Relazione dà atto del fatto che l'ordinamento penale non contiene la definizione di “coniuge” o di “matrimonio”, ma che il matrimonio e la qualità di coniuge sono contemplati in varie norme penalistiche, sia sostanziali – che attribuiscono a tali qualità, volta a volta, la natura di elemento costitutivo, circostanza, scriminante - sia procedurali. Le norme del codice penale che contengono il termine coniuge/coniugio/coniugato sono allo stato: artt. 307, 556, 558, 570, 577, 591, 600-sexies, 602-ter, 605, 609-ter, 612-bis, 649 c.p.. Nel codice di procedura penale il termine coniuge o suoi derivati si rintracciano negli artt. 35, 36, 199, 282-bis, 644 c.p.p..

Posto che l'intervento delegato ha anche ampliato la portata di fattispecie incriminatrici e circostanze aggravanti, non pare che l'intervento si sia limitato a soddisfare un'esigenza di coordinamento di natura meramente tecnica.

Il legislatore delegato afferma che il proprio intervento è volto a «ricondurre a unità la disciplina penale in casi analoghi, nella […] impossibilità di pervenire a interpretazioni adeguatrici e in funzione di necessario coordinamento delle norme del codice penale in vigore con quelle della l. n. 76/2016» (Relazione illustrativa) e che lo scopo dell'intervento normativo è quello di «ovviare a ogni dubbio interpretativo» ed «assicurare omogeneità di tutela penale a situazioni tra loro comparabili» (Analisi di impatto della regolamentazione).

Il potere di estendere analogicamente in materia penale, però, non spetta al Giudice ma nemmeno al Governo, se non a fronte di una delega esplicita.

L'Analisi di impatto della regolamentazione di accompagnamento dello schema di decreto legislativo, poi, propone un argomento di dubbia condivisibilità, o per lo meno di dubbio significato tecnico-giuridico, ancorché se ne comprenda il peso più statistico che contenutistico, legato alla mancanza di misurazioni del tasso di criminalità tra la popolazione omosessuale. Si legge nel documento che anche stime al ribasso impongono la regolazione del fenomeno. Ciò a parere di chi scrive non è condivisibile dal punto di vista della politica criminale e, ancor meno, dal punto di vista strettamente giuridico. Da un lato, non è il fenomeno della criminalità omosessuale a dover essere regolato, poiché si tratta semplicemente di dover prendere atto del fatto che le famiglie sono formate non solo attraverso legami eterosessuali, bensì anche attraverso legami omosessuali; dall'altro lato, il Governo ha adempiuto un (seppur forse troppo largamente interpretato) dovere di legislazione delegata e non si è certo trovato a formulare norme sulla base di valutazioni di politica criminale che non gli competono affatto.

L'art. 1 comma 1 l. 76/2016 offre un riferimento costituzionale, per le unioni civili, agli artt. 2 e 3 Cost. e concede alle unioni civili l'attributo di specifica formazione sociale.

A questo proposito, il mancato richiamo all'art. 29 Cost. evoca il discorso di Pietro Calamandrei all'Assemblea Costituzionale del 23 aprile 1947: «dal punto di vista logico ritengo che sia un gravissimo errore, che rimarrà nel testo della nostra Costituzione come una ingenuità, quello di congiungere l'idea di società naturale – che richiama al diritto naturale – colla frase successiva fondata sul matrimonio, che è un istituto di diritto positivo. Parlare di una società naturale che sorge dal matrimonio, cioè, in sostanza, da un negozio giuridico è, per me, una contraddizione in termini. Ma tuttavia, siccome di queste ingenuità nella nostra Costituzione ce ne sono tante, ce ne potrà essere una in più».

In sostanza, l'unione civile è la formalizzazione di quella specifica formazione sociale che è espressione di un legame di tipo famigliare, tanto quanto lo è il matrimonio.

Anche alla luce di questa considerazione, si spiega la convinzione che già prima dei decreti delegati si dovessero ritenere applicabili le norme penali di favore anche alle persone unite civilmente, giacché quella di non contrarre matrimonio in senso tradizionale non è loro scelta, ma è l'unica possibilità concessa per formalizzare un legame sostanzialmente famigliare, e allora non sarebbe conforme all'art. 3 Cost. discriminare tra coniugati e uniti civilmente.

Peraltro, la giurisprudenza e lo stesso legislatore avevano talora già considerato la situazione del legame famigliare di fatto (ora anch'esso disciplinato dalla l. 76/2016 limitatamente a determinati argomenti) e, posto che sotto questo aspetto la l. 76/2016 non innova di molto, l'interprete poteva seguire i criteri già adoperati in precedenza da dottrina e giurisprudenza per ammettere o escludere l'estensibilità di nome penali alle unioni di fatto anche prima del decreto delegato in materia penale, il quale riguarda, è vero, le unioni civili e non le convivenze di fatto, ma l'unione civile è anche una convivenza, in quanto tra gli obblighi gravanti sui partner dell'unione vi è anche quello della convivenza (art. 1 comma 11 l. 76/2016).

Per evitare una situazione di sostanziale discriminazione, il legislatore avrebbe dovuto intervenire direttamente sulle norme penali o, in alternativa, avrebbe dovuto attribuire al Governo una delega chiara ed espressa. Sarà eventualmente la Corte costituzionale ad esprimersi sulla costituzionalità delle nuove norme.

Estensioni ipotizzabili a prescindere dall'intervento normativo del Governo

Anche a prescindere dai decreti delegati, la l. n. 76/2016 autorizzava di per sé, a parere di chi scrive, alcune estensioni:

- si potrebbe ritenere che l'art. 1 comma 11 costituisca una fonte normativa di posizione di garanzia ex art. 40 cpv c.p. per il partner dell'unione civile analoga a quella di cui all'art. 143 c.c. per un dovere di cure ed assistenza, con conseguente estensibilità a costui, in particolare, dei reati di lesioni, omicidio, abbandono d'incapace aggravato;

- si sarebbero comunque dovute considerare estensibili ai partner di unione civile altresì:

  • l'induzione in errore della persona con la quale si è contratto matrimonio sulla libertà dello stato proprio o di lei (art. 556,comma 2, c.p.), poiché, se tra persone unite civilmente sussiste l'obbligo di assistenza materiale e morale e di convivenza, parrebbe difficile sostenere che una nuova unione in costanza della precedente, per quanto invalida proprio per l'esistenza della precedente, potrebbe, rispetto ad entrambe, manifestare rispetto dei diritti e adempimento degli obblighi derivanti dall'unione civile;
  • l'induzione al matrimonio mediante inganno (art. 558 c.p.), se si considera che l'inganno non concretizza certo l'adempimento di obblighi e doveri derivanti dall'unione civile;
  • la violazione degli obblighi di assistenza familiare (art. 570 c.p.), poiché non solo le unioni civili sono formazioni sociali a norma dell'art. 1, comma 1, ma soprattutto da esse deriva l'obbligo reciproco all'assistenza morale e materiale e alla coabitazione(art. 1, comma 11, l. n. 76/2016);
  • l'induzione, il favoreggiamento, lo sfruttamento della prostituzione aggravati dalla qualità di marito del soggetto attivo (artt. 3 e 4 l. n. 75/1958): gli obblighi di assistenza materiale e morale previsti per le unioni civili si concilierebbero male con l'induzione, il favoreggiamento e lo sfruttamento della prostituzione (G.L. Gatta, Unioni civili tra persone dello stesso sesso e convivenze di fatto: i profili penalistici della Legge Cirinnà, in Dir. pen. cont.);

- dovevano infine considerarsi estensibili le seguenti norme di favore:

  • la scusante di cui all'art. 384 c.p.;
  • l'attenuante di cui all'art. 386,comma 6, n. 1 c.p.;
  • la causa di non punibilità di cui all'art. 270-ter, comma 3, c.p.;
  • l'assistenza ai partecipi di cospirazione o di banda armata di cui all'art. 307, comma 3, c.p.;
  • l'assistenza ai partecipi di associazione per delinquere di cui all'art. 418 c.p.;
  • l'attenuante di cui all'art. 573, comma 2, c.p.;
  • la causa di non punibilità di cui art. 1, comma 4-bis, d.l. n. 8/1991, convertito in l. n. 82/1991.

Le disposizioni di cui agli art. 572, 612-bis, 609-ter comma 1 e 602-ter comma 6 c.p. erano già riferibili di per sé ai conviventi (E.E. Piccatti, Unioni civili e convivenze di fatto. Riflessi penali, in ilPenalista.it).

L'intervento del Legislatore delegato: le modifiche al codice penale

1) L'art. 307 c.p.

L'art. 307 c.p., norma di portata generale nonostante la collocazione nella parte speciale del codice (v. es. Cass. pen.,sez. I, 14 ottobre 2015, n. 49898), contiene la definizione a fini penali della categoria dei prossimi congiunti, tra cui i coniugi, e il Governo nella Relazione illustrativa ricorda che tale nozione rileva in vari settori dell'ordinamento penale, sia in senso attenuante sia in senso scriminante, nonché nell'ordinamento penale processuale. Il Governo rammenta che la dizione di prossimo congiunto ricorre negli artt. 323, 384, 386 comma 4 n. 1, 390 comma 2, 391 comma 1, 418 comma 3 c.p. e negli artt. 36 comma 1 lett. d), e), f), 90 comma 3, 96 comma 3, 199 comma 1, 632 lett. a), 681 comma 1 c.p.p.. Si possono aggiungere gli artt. 270-ter, 597 c.p., nonché gli artt. 323c.p.p, (che non considera la nozione di congiunto in chiave favorevole), artt. 77, 144, 250, 282-bis, 282-ter, 288 c.p.p..

Considerando tassativo l'elenco contenuto nell'art. 307 c.p. (cui nega, nella Relazione di accompagnamento, addirittura la possibilità di essere interpretato estensivamente), il Governo ha giudicato necessario l'inserimento della parte dell'unione civile tra persone dello stesso sesso tra i soggetti richiamati da tale norma quali prossimi congiunti.

Pur esplicitando e premettendo nella Relazione di accompagnamento che la categoria, che ruota intorno al concetto di prossimità, rileva per individuare soggetti non punibili o punibili con pena attenuata (il Governo richiama gli artt. 384, 386, 390, 391 c.p.) e per individuare soggetti cui si trasmettono diritti che fanno capo ad un congiunto titolare originario (il Governo richiama l'art. 597 c.p. e gli artt. 644, 681 c.p.p.), il legislatore delegato ammette poi che l'estensione avrà effetto anche di ampliamento della punibilità, in particolare per l'estensione dell'operatività della fattispecie di abuso d'ufficio prevista all'art. 323 c.p. e, poiché l'equiparazione della parte dell'unione civile al coniuge è secondo il Governo dettata dall'esigenza di evitare discriminazioni, da ciò discende la «necessità di intervenire con una norma […] estensiva della punibilità».

La nozione di prossimo congiunto rileva nelle seguenti norme del codice penale:

- art. 307 c.p., che prevede la non punibilità per il delitto di assistenza ai partecipanti di cospirazione o banda armata di colui che commetta il fatto in favore di un prossimo congiunto;

- art. 323 c.p., che prevede come elemento costitutivo della fattispecie di abuso d'ufficio l'interesse proprio o di un prossimo congiunto, in presenza del quale il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio avrebbe il dovere di astenersi;

- art. 384 c.p. , che prevede la non punibilità per delitti contro l'amministrazione della giustizia di colui che abbia commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé medesimo o un prossimo congiunto da un grave e inevitabile nocumento nella libertà e nell'onore;

- art. 386 c.p., che prevede una circostanza attenuante per il delitto di procurata evasione per il prossimo congiunto;

- artt. 390 e 391 c.p., che prevedono una circostanza attenuante per i delitti di procurata inosservanza di pena e di procurata inosservanza di misura di sicurezza per colui che abbia agito allo scopo di favorire un prossimo congiunto;

- art. 418 c.p., che prevede una causa di non punibilità per l'assistenza prestata ad associati a delinquere da parte di un prossimo congiunto;

- art. 597 c.p., che attribuisce ai prossimi congiunti e quindi, dopo l'entrata in vigore del decreto legislativo in esame, anche al partner di un'unione civile fra persone dello stesso sesso, la possibilità di proporre querela per il reato di diffamazione (essendo stato depenalizzato il reato di ingiuria), se la persona offesa muore prima che sia decorso il termine.

2) L'art. 574-ter c.p.

Il decreto legislativo introduce il nuovo art. 574-ter c.p., con il quale sono espressamente equiparati sia matrimonio ed unione civile, sia coniugi e partner di unione civile.

Tale innovazione determina:

- la punibilità per bigamia di coloro che siano civilmente uniti, indipendentemente dal fatto che la duplicazione illecita del vincolo sia omogenea o disomogenea (due matrimoni o unioni civili, un matrimonio ed una unione civile);

- la punibilità per induzione al matrimonio mediante inganno di colui che induca il partner a contrarre unione civile tra persone dello stesso sesso con mezzi fraudolenti;

- la punibilità per violazione degli obblighi di assistenza familiare del partner di una unione civile, non potendosi però estendere a questo l'ultima parte dell'art. 570 c.p., la quale esclude che il reato possa essere commesso a danno del coniuge a cui è stata addebitata la separazione, in quanto nell'unione civile l'istituto della separazione non è contemplato;

- l'estensibilità delle circostanze aggravanti speciali a colui che commetta contro il partner dell'unione civile: omicidio, sequestro di persona, violenza sessuale, atti persecutori.

3) L'art. 649 c.p.

Il legislatore delegato ha esteso la non punibilità dei delitti contro il patrimonio senza violenza alle persone anche alle parti dell'unione civile, e ha esteso la procedibilità a querela, già prevista per i coniugi legalmente separati, ai partner dell'unione civile nel caso in cui sia stata manifestata la volontà di scioglimento dinanzi all'ufficiale dello stato civile e non sia intervenuto lo scioglimento della stessa.

Nonostante l'art. 649 c.p. sia da tempo e da più parti criticato come anacronistico (in particolare v. Corte cost., sent. n. 223/2015, la quale, riconoscendo che la causa di punibilità in questione non è più in sintonia con l'odierna fisionomia della famiglia, sollecita non la completa caducazione dell'istituto, ma la subordinazione della procedibilità dell'azione penale all'iniziativa della vittima e la riduzione dei vincoli parentali rilevanti a tale scopo), esso è da interpretare in modo tassativo (Corte cost., 25 luglio 2000, n. 352 ha negato l'estensibilità ai conviventi more uxorio della causa di non punibilità in questione) ed è ancora in vigore; omettere l'inserimento in essa delle parti dell'unione civile avrebbe determinato, secondo il legislatore delegato, una disparità di trattamento inaccettabile tra coniugi e partner dell'unione civile.

La modifica dell'art. 649 c.p. è l'unico punto del decreto che ha subito modifiche rispetto a quello sottoposto alla valutazione delle Commissioni parlamentari ed anche l'unico punto sul quale le Commissioni avevano suggerito una modifica. Il testo originario del decreto prevedeva solo l'aggiunta del n. 1-bis al comma 1, con il seguente testo: «della parte dell'unione civile tra persone dello stesso sesso in costanza di coabitazione». La causa di non punibilità avrebbe giovato al partner di un'unione civile fra persone dello stesso sesso soltanto in costanza di coabitazione, cosicché la fine della coabitazione, che è una mera circostanza di fatto, sarebbe stata sufficiente a far venir meno la causa di non punibilità, senza previsioni in merito alla procedibilità nel comma successivo. Questo avrebbe creato una differenza di trattamento rispetto alle persone unite in matrimonio, per le quali la causa di non punibilità viene meno solo con il passaggio in giudicato della sentenza di separazione giudiziale o con il decreto di omologa della separazione consensuale. Ora anche per le persone unite civilmente si prevede la procedibilità a querela se il reato è commesso nel periodo che intercorre fra la manifestazione di volontà di porre fine all'unione espressa innanzi all'ufficiale di stato civile – da parte di entrambi o di uno solo dei partner – e l'effettivo scioglimento dell'unione.

L'intervento del Legislatore delegato: le modifiche al codice di procedura penale

La modifica dell'art. 307 c.p. ha riflessi anche su norme procedurali.

L'espressione «prossimo congiunto» si trova nelle seguenti norme del c.p.p.:

  • art. 36 lett. b), d), e), f), c.p.p. che impone al giudice di astenersi se alcuno dei prossimi congiunti suoi o del coniuge ha, in qualche modo, interesse nella causa. Alla lettera a) esso impone al giudice di astenersi se alcuna delle parti private o un difensore è debitore o creditore di lui, del coniuge o dei figli. Il decreto non estende questa ipotesi di astensione al caso in cui il rapporto di debito o credito sia con il partner di un'unione civile fra persone dello stesso sesso. Il legislatore delegato, nella Relazione illustrativa, sul tema dell'incompatibilità e dell'obbligo di astensione del giudice penale derivanti dal rapporto di coniugio o dalla costituzione di un'unione civile specifica che non sono impedite su questo interpretazioni estensive e che l'art. 1 comma 20 l. n. 76/2016 è sufficientemente ampio da comprendere anche il regime delle incompatibilità sotto la propria egida. Una lettura che escludesse le incompatibilità dalla portata del comma 20, prosegue il legislatore delegato, limiterebbe gli obblighi derivanti dall'unione civile a quelli strettamente interni alla coppia e ciò sarebbe errato, in quanto gli obblighi che derivano dall'unione civile (la legge adopera il verbo derivare, si ritiene, non a caso) sono anche quelli in cui la costituzione dell'unione fa sorgere una situazione di incompatibilità. Del resto la materia delle incompatibilità non riguarda solo il processo penale, ma ogni caso in cui una parte dell'unione civile o coniuge assuma o mantenga incarichi pubblici e privati che postulano indipendenza. Tuttavia, un'interpretazione sostanzialmente analogica non potrebbe soccorrere qualora l'omessa astensione diventasse elemento costitutivo o circostanza aggravante, in quanto l'art. 1 comma 20 l. n. 76/2016 non sarebbe sufficiente a consentirlo (in particolare, sul reato di abuso di ufficio, v., in senso concordante, Profili di incostituzionalità ex art. 76 Cost. per mancanza di delega, in Quotidiano Giuridico, 30 gennaio 2017);
  • art. 90 c.p.p., che prevede che le facoltà e i diritti riconosciuti dalla legge alla persona offesa siano esercitati dai suoi prossimi congiunti se la persona offesa è deceduta in conseguenza del reato, già attribuendo comunque tali diritti anche a chi è «legato alla persona offesa da relazione affettiva e con essa stabilmente convivente», così risultando applicabile al partner dell'unione civile indipendentemente dalla l. n. 76/2016;
  • art. 96 c.p.p., che attribuisce ai prossimi congiunti della persona fermata, arrestata o in custodia cautelare la possibilità di nominarle un difensore di fiducia;
  • art. 199 c.p.p., che attribuisce ai prossimi congiunti la facoltà di astenersi dal deporre (su questo v. infra);
  • art. 632 c.p.p., che attribuisce ai prossimi congiunti del condannato la possibilità di chiedere la revisione del processo.
In particolare, l'art. 199 c.p.p.

Il Governo, nella Relazione illustrativa, chiarisce di limitare il proprio intervento nella materia procedurale all'art. 199 c.p.p., ritenendo che la delega non preveda né consenta l'intervento su norme strettamente processuali.

L'art. 199 c.p.p., nel disciplinare la facoltà d'astensione dal deporre, al comma 1 richiama i prossimi congiunti e quindi viene di riflesso a comprendere le parti dell'unione civile in corso a seguito della modifica dell'art. 307 c.p..

Al comma 3 estende al convivente la facoltà d'astensione dal testimoniare limitatamente ai fatti appresi durante la convivenza; il Governo ha ritenuto necessario estendere la previsione ai fatti appresi dalla parte dell'unione civile durante la convivenza che sia cessata, considerandosi tra l'altro che la convivenza è un obbligo derivante dall'unione civile secondo la l. n. 76/2016.

Peraltro, la facoltà di astensione era già prevista a favore di chi«pur non essendo coniuge dell'imputato come tale conviva o abbia convissuto con esso». Di conseguenza essa già poteva ritenersi comunque applicabile anche alle convivenze fra partner di un'unione civile.

In conclusione

Poiché la l. 76/2016, ed in particolare l'art. 1 comma 28 l. 76/2016 richiamato dal Governo a fondamento del proprio esercizio di potere di legislatore delegato, non contiene esplicita delega con statuizione di principi e criteri direttivi cui il Governo debba e possa uniformarsi nella materia penale nell'esercizio del proprio potere delegato, è lecito ipotizzare che il Governo abbia ecceduto rispetto alla delega (P. Pittaro, I profili penali della l. n. 76 del 2016, in Fam. e dir., 10, 2016, 1012), disciplinando in un settore che gli era in verità precluso (peraltro, lo schema di decreto delegato è stato sottoposto al Parlamento, il quale ha formulato un'osservazione nel merito che è stata accolta a proposito dell'art. 649 c.p. e nulla ha obiettato sul punto).

In ogni caso, alcune norme erano già prima del decreto estensibili anche ai partner dell'unione civile ed ora, lasciando alla Corte costituzionale il compito di illuminare eventualmente gli interpreti sulla legittimità dell'intervento del legislatore delegato, le estensioni apportate eliminano disparità di trattamento tra persone unite in matrimonio e persone unite con unione civile, equiparandosi espressamente coniugi e partner dell'unione civile, e matrimonio ed unione civile, nonché facendo rientrare nella nozione di prossimi congiunti anche i partners dell'unione civile. Ciò comporterà la sicura estensione di norme sia favorevoli sia sfavorevoli.

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