La causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto e la sua applicazione nei confronti degli enti collettivi

Ciro Santoriello
21 Marzo 2016

L'introduzione dell'art. 131-bis da parte del d.lgs. 28/2015 ha indotto diversi autori a chiedersi se il nuovo istituto della non punibilità per particolare tenuità del fatto possa trovare applicazione nell'ambito del giudizio nei confronti degli enti collettivi.
Abstract

L'introduzione dell'art. 131-bis da parte del d.lgs. 28/2015 – riforma di particolare rilievo e per la novità che rappresenta rispetto al nostro ordinamento e per le conseguenze pratiche applicative che possono derivarne – ha indotto diversi autori a chiedersi se il nuovo istituto della non punibilità per particolare tenuità del fatto possa trovare applicazione nell'ambito del giudizio nei confronti degli enti collettivi. In particolare ci si domanda se in presenza di una possibile responsabilità da reato delle persone giuridiche qualora per il reato commesso dalla persona fisica – rientrante ovviamente nel catalogo dei reati presupposto di cui agli artt. 24-26, d.lgs. 231/2001 – sia stato disposto il proscioglimento per particolare tenuità sia possibile adottare medesima formula assolutoria anche con riferimento alla posizione della società chiamato a rispondere a titolo di illecito amministrativo da reato.

Il quesito ha ragione di porsi in quanto il legislatore non ha affatto specificato se il nuovo istituto possa o meno operare nei confronti della persona giuridica che si trovi coinvolta, unitamente a quella fisica, in un procedimento penale e d'altro canto sono numerose le fattispecie, rientranti nel catalogo dei reati-presupposto della responsabilità dell'ente, sanzionate con la pena della reclusione non superiore nel massimo a cinque anni (fra le diverse ipotesi si pensi ad esempio, tra i reati di significativo spessore individuati quali illeciti presupposto, alla corruzione per l'esercizio della funzione, alla truffa in danno di ente pubblico, all'induzione indebita a dare utilità, con riguardo alla pena prevista per il soggetto indotto, all'accesso abusivo a sistema informatico non aggravato, ecc., alle violazioni in tema di diritto d'autore, nonché ai reati ambientali, tranne che in caso di attività organizzata per il traffico illecito di rifiuti) e, come tali, capaci di soddisfare il requisito edittale imposto dalla nuova causa di esclusione della punibilità. D'altro canto, nemmeno può sostenersi che, per il solo fatto che il legislatore non abbia previsto che la declaratoria di non punibilità pronunciata nei confronti della persona fisica determini anche l'impunità della società, tale conclusione è da escludere: infatti, è assai probabile che tale silenzio, più che il frutto di una scelta consapevole, sia il risultato di una mera trascuratezza (così D'ACQUARONE) di modo che non pare possibile sottrarsi ad un esame articolato del tema, cosa che andremo a fare nelle pagine che seguono.

Le tesi che ammettono l'operatività della clausola di non punibilità anche nei confronti degli enti collettivi

In assenza di interventi giurisprudenziali sul tema, diversi autori hanno sostenuto che l'art. 131-bis c.p. deve trovare applicazione anche laddove si proceda nei confronti degli enti collettivi (CORSO; SCARCELLA; D'ACQUARONE), non foss'altro perché sarebbe incongruo che, a fronte di un comportamento umano qualificato dal giudice come di particolare tenuità, possa invece ritenersi sussistere una responsabilità dell'ente.

Contro questa osservazione non potrebbe richiamarsi il contenuto dell'art. 8 d.lgs. 231 del 2001 in base al quale in caso di estinzione del reato commesso dalla persona fisica – salvo il caso che l'estinzione sia conseguente ad amnistia – il procedimento penale nei confronti dell'ente prosegue. Infatti, l'esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto è, per tale dottrina, istituto diverso dalla causa di estinzione del reato: il nuovo istituto, salvando la persona fisica, salva anche la persona giuridica, con eccezione dei casi in cui sia ravvisabile una diversa volontà legislativa [come] accade con riguardo al reato di lesioni gravissime da infortunio sul lavoro che – nonostante i limiti di pena massima contenuti nei 5 anni – rimane punibile sia per la persona fisica che per quella giuridica, laddove il reato di lesioni gravi, ritenuto non punibile per la persona fisica, è non punibile anche per l'ente (SCARCELLA che richiama CORSO).

A conferma di tali indicazioni, inoltre, si evidenzia come, in sede di riforma del reato di falso in bilancio di cui agli artt. 2621 ss. c.c., il legislatore abbia introdotto l'art. 2621-ter c.c. che disciplina l'ipotesi in cui il reato di false comunicazioni sociali sia di particolare tenuità e quindi per tale ragione non punibile. Orbene, fra i reati presupposto della responsabilità della persona giuridica non compare il falso in bilancio di particolare tenuità di cui al citato art. 2621-ter c.c. con la conseguenza che deve ritenersi che la modestia del fatto escluda la punibilità non solo della persona fisica che rende la mendace comunicazione contabile ma anche dell'ente cui quella comunicazione si riferisce; tale soluzione adottata dal legislatore con riferimento al reato di falso in bilancio, tuttavia, secondo la dottrina che si sta esaminando avrebbe portata più general, dovendo operare con riferimento a tutti gli altri illeciti presupposti della colpevolezza della persona giuridica.

D'altronde, non ha senso che la scelta di deflazione del sistema penale – quale quella rappresentata dall'introduzione dell'art. 131-bis c.p. – venga circoscritta alla sola persona fisica facendo persistere la necessità di processare comunque l'ente per un fatto illecito oggettivamente riconosciuto marginale: l'art. 2621-ter c.c. non è, quindi, l'eccezione alla regola del permanere della responsabilità dell'ente come «autonoma» da quella penale della persona fisica; semmai, va considerata la punta dell'iceberg e cioè la prima chiara emersione di una scelta di fondo diretta ad evitare la responsabilità amministrativa dell'ente per reato presupposto particolarmente tenue alla luce dei parametri applicativi dell'art. 131-bis c.p. (SCARCELLA).

Va poi segnalato che la procura della Repubblica di Palermo, nel tracciare, all'interno di una circolare diffusa nel luglio di quest'anno, le linee guida essenziali in tema di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, ha affermato che l'archiviazione per la causa di non punibilità [...] riguardante la persona fisica si estende senza dubbio anche a quella giuridica, in ragione dell'omessa previsione, rispetto all'istituto della tenuità del danno, di una clausola di salvaguardia simile a quella prevista dall'art. 8, d.lgs. 231 del 2001.

La tesi che nega l'operatività della clausola di non punibilità nei confronti degli enti collettivi

Come detto, non mancano posizioni contrarie alle tesi esposte (GUERRINI).

In particolare, si evidenzia come la particolare tenuità del fatto non rappresenti propriamente una causa di estinzione del reato ma una causa di esclusione della punibilità. Tale ricostruzione della natura del nuovo istituto sarebbe di ostacolo all'applicazione dell'art. 131-bis c.p. alla persona giuridica posto che nella relazione governativa al d.lgs. 231 del 2001 si legge che le cause di estinzione della pena [...] al pari delle eventuali cause di non punibilità e, in generale, alle vicende che ineriscono a quest'ultima, non reagiscono in alcun modo sulla configurazione della responsabilità in capo all'ente, non escludendo la sussistenza di un reato: alla luce di queste affermazioni, il nuovo istituto, essendo configurabile come causa di non punibilità, non sembra, secondo tale orientamento, poter esercitare una qualche influenza sulla responsabilità dell'ente, in quanto esso, non operando sulla punibilità in astratto, non esclude la configurazione del reato, ma, anzi, conferma e conserva la natura antigiuridica del fatto e si limita a non punirlo, in concreto, perché ritenuto di scarsa offensività.

Inoltre, mentre la nuova causa di non punibilità pone quale condizione per la sua operatività il riconoscimento giudiziale di un fatto di reato, la citata relazione ministeriale vieta espressamente che la società possa sottrarsi all'irrogazione della sanzione a fronte della ritenuta sussistenza dell'illecito dipendente da reato, facoltà, questa, che deve, quindi, essere riconosciuta solo alla persona fisica. Al più, secondo tale orientamento, la declaratoria di non punibilità ottenuta dalla persona fisica potrà produrre quale unico beneficio per la persona giuridica la possibilità di godere della tenuità dell'illecito, in virtù dell'art. 12, d.lgs. 231 del 2001, che appunto attenua la risposta sanzionatoria senza intaccare la punibilità dell'ente.

Secondo i sostenitori di questa tesi, quella ora esposta sarebbe una conclusione del tutto coerente con l'impianto dell'illecito amministrativo delineato dal decreto 231, del quale il reato è un elemento che rileva esclusivamente quale presupposto di una responsabilità di tipo non penale, come nel caso dell'obbligazione civile derivante dalla commissione di un reato, per cui, sotto il profilo della loro incidenza sulla responsabilità della societas, le condizioni di non punibilità vengono ad essere equiparate alle ipotesi disciplinate dall'art. 8, d.lgs. 231 del 2001. D'altronde, le condizioni sopravvenute di non punibilità hanno carattere personale, nel senso che nella gran parte dei casi sono strettamente connesse ad una qualità soggettiva (si pensi alla qualità di prossimo congiunto che esclude la punibilità dei reati contro il patrimonio commessi senza violenza sulle persone), ovvero ad una condotta dell'agente successiva alla commissione di un reato (come nel caso della ritrattazione): tali cause, poiché lasciano sussistere l'illiceità del fatto e si limitano a far venir meno la punibilità per ragioni di opportunità legate al soggetto agente, hanno la capacità di produrre effetti esclusivamente nei confronti di colui al quale direttamente si riferiscono (ancora GUERRINI che richiama, a conferma della sua tesi, il contenuto della legge n. 186 del 2014, con cui è stato la cd. voluntary disclosure, che consente la regolarizzazione dei redditi detenuti all'estero sottratti a tassazione in Italia: nel prevedere, allo scopo di favorire l'adesione del maggior numero possibile di contribuenti alla procedura di collaborazione volontaria, una causa di non punibilità per determinati delitti in capo a chi presta la collaborazione volontaria, il legislatore non ha previsto alcuna norma che estenda alle persone giuridiche i benefici introdotti per gli autori dei reati resi non punibili dall'adesione alla voluntary).

In sostanza, la posizione in parola evidenzia come l'illecito amministrativo dell'ente e il reato presupposto commesso dalla persona fisica sono istituti diversi e da tale diversità ontologica deriva che il legislatore, qualora decida di introdurre una disciplina di favore per le persone giuridiche, deve prevederla espressamente, mentre ove ciò non avvenga, le condizioni che estinguono il reato o che ne limitano la punibilità non si applicano alla persona giuridica. D'altronde, la disciplina sanzionatoria dell'illecito amministrativo degli enti è basata su principi del tutto distinti dagli stilemi penalistici e le ragioni di politica criminale che motivano la concessione di benefici agli autori del reato presupposto non sono in alcun modo applicabili agli enti collettivi.

In conclusione

A nostro parere, entrambe le tesi sovra esposte non sono condivisibili ed in particolare quella favorevole all'applicazione del nuovo istituto della non punibilità per particolare tenuità del fatto anche nel processo agli enti collettivi non ci convince per le motivazioni addotte a sostegno di questa conclusione, mentre la tesi negativa riteniamo formuli alcune condivisibili affermazioni sulla natura dell'istituto della particolare tenuità del fatto ma ne tragga conseguenze erronee.

Punto di partenza della nostra riflessione è rappresentato dalla considerazione in base alla quale se si ritiene la nuova disciplina applicabile solo alla persona fisica si determina – oltre che una complessiva svalutazione delle finalità deflattive cui è principalmente preordinato il nuovo istituto – una incomprensibile frattura tra le sorti della persona fisica e quelle dell'ente che pare illogica e poco efficiente in termini di prevenzione speciale.

Tale incoerenza emerge sotto due profili. Da un lato, la scelta di continuare a sanzionare l'ente anche in presenza di illeciti bagattellari rischia di determinare un elevatissimo costo sociale, per certi versi maggiore di quello che deriva dall'applicazione delle sanzioni penali, posto che – diversamente dalla sanzione penale propriamente detta che interessa esclusivamente il singolo responsabile dell'illecito – la sanzione amministrativa inflitta ad un ente colpisce un insieme indistinto di soggetti, che vanno dai dipendenti dell'azienda ai lavoratori dell'indotto e che spesso sono del tutto all'oscuro delle vicende criminose che ne legittimano l'applicazione e ciò evidentemente supporta la conclusione secondo cui sarebbe ben giustificata l'introduzione anche per gli enti di specifiche forme di esclusione della responsabilità amministrativa quando reato presupposto si rivela di scarsa importanza. In secondo luogo, e si tratta forse di considerazione ancora più importante, la prospettiva di impunità che può maturare in capo alla persona fisica che sia consapevole di non essere punibile quando l'illecito da lei realizzato e di scarsa rilevanza finisce per pregiudicare inevitabilmente la responsabilizzazione del soggetto agente a conformarsi alle prescrizioni organizzative dell'ente, potenzialmente contaminando il sistema di prevenzione del rischio reato: in tal modo, dunque, risulterebbe assai difficile per la società organizzarsi maniera tale da evitare la commissione di fatti di reato proprio perché, a fronte di pur significative indicazione prescrizioni presenti nel modello organizzativo, per i singoli comunque non opererebbe importante elemento deterrente derivante dalla possibile sanzionabilità in sede penale del loro comportamento.

Tali considerazioni, dunque, ci pare fondino e legittimino pienamente sotto un profilo di politica criminale la scelta di ritenere la nuova causa di esclusione della punibilità applicabile anche alla persona giuridica. Tuttavia, anche questa conclusione non è priva di incongruenze, specie se motivata secondo le modalità che si sono in precedenza esposte e ciò in quanto l'opzione di escludere la punibilità dell'ente collettivo in ragione della irrilevanza del reato presupposto concretamente posto in essere dal singolo è scelta che può risultare difficilmente compatibile con i valori che assistono la responsabilità degli enti e il procedimento volto al suo accertamento, tutto incentrato ad incentivare l'ente ad adottare il modello organizzativo e così scongiurare che lo stesso ricada nell'illecito (D'ACQUARONE).

Per comprendere quanto si va dicendo va considerato come l'illecito amministrativo dell'ente e il reato presupposto commesso dalla persona fisica sono istituti diversi e l'illecito penale è solo uno degli elementi la cui sussistenza può determinare la responsabilità della società, la quale si fonda anche sulla sussistenza della cosiddetta colpa di organizzazione ed assume inoltre valenza diversa a seconda delle carenze organizzative riscontrate, del ruolo che il singolo responsabile del reato diverse nella società, del profitto che la società ha ricavato dall'illecito ecc.. Da queste considerazioni deriva, dunque, che l'eventuale particolare tenuità del fatto di reato commesso da persona fisica è solo uno degli elementi che può guidare il giudice nella valutazione circa la gravità del rimprovero da muovere alla persona giuridica: posta la rimarcata differenza fra crimine del singolo ed illecito amministrativo dell'ente alla natura bagattellare del primo non necessariamente segue la sussistenza di una minima responsabilità della persona giuridica, così come non è affatto detto che a fronte d'un reato presupposto particolarmente “odioso” debba fare seguito il riconoscimento di una significativa colpevolezza in capo alla società.

Da quanto detto, a nostro parere, devono seguire le seguenti conclusioni. L'istituto della non punibilità per particolare tenuità del fatto è espressione di una scelta fondamentale del legislatore italiano, ispirata al perseguimento di valori di rango costituzionale – non solo l'esigenza di deflazione processuale, ma anche la necessità di tornare a valorizzare la natura del diritto penale quale extrema ratio, nonché il suo carattere frammentario. In quanto tale, la disciplina di cui all'art. 131-bis c.p. non può trovare applicazione solo nei confronti delle persone fisiche ma deve logicamente e necessariamente estendersi a quelle ipotesi in cui l'illecito del singolo sia in qualche modo presupposto per l'applicazione di un trattamento sanzionatorio nei confronti di altri soggetti dell'ordinamento, quand'anche si tratti di enti collettivi.

A fronte di questa considerazione, non può opporsi l'osservazione secondo cui responsabilità della persona giuridica e crimine della persona fisica sono figure diverse, né vale osservare che l'illecito da reato delle società non è un illecito penale. La responsabilità da reato delle persone giuridiche presenta comunque significative affinità di trattamento – tanto sotto un profilo di disciplina sostanziale che con riferimento alla regolamentazione processuale per l'accertamento dei fatti –, sicché, per le ragioni sopra anzidette, pare assolutamente conseguente che la scelta del legislatore di mandare esente da sanzioni fatti illeciti di portata irrilevante operi non solo allorquando l'illecito sia attribuibile ad un singolo, ma anche laddove il rimprovero – che comunque nell'illecito della persona fisica al suo principale presupposto – possa essere mosso ad un ente giuridico.

Da quanto detto però, come accennato, non deriva che l'applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto alla persona giuridica sia determinata esclusivamente dalla natura bagattellare del reato presupposto. A nostro parere, il giudice che voglia accedere ad una tale conclusione del processo nei confronti della società non può limitarsi a valutare solo la gravità del crimine commesso dal singolo, ma deve anche considerare come tale reato “si inserisca” all'interno della vita dell'azienda, in che misura ne rappresenti la politica imprenditoriale, se sia espressione di una scelta degli organi apicali o sia la conseguenza di un'imprevedibile atteggiamento criminoso del singolo, se la sua commissione sia stata resa possibile o facilitata dalle carenze organizzative dell'ente ecc.. In sostanza, mentre allorquando si voglia applicare l'art. 131-bis c.p. alla persona fisica il giudice, per espressa indicazione presente nella suddetta disposizione codicistica, deve - oltre a considerare ovviamente l'entità della pena applicata per il reato per cui si procede - valutare le modalità della condotta, l'esiguità del danno o del pericolo, la non abitualità del comportamento, la mancanza di crudeltà o di particolare aggravanti, nel processo nei confronti degli enti collettivi una valutazione circa la modestia del rimprovero che può essere mosso alla società va condotta alla luce di altri parametri, anch'essi comunque ricavabili dal dettato normativo presente nel decreto 231: in particolare, accanto alla considerazione della pena comminata per il reato presupposto, dovranno essere considerati i profili attinenti la colpa di organizzazione, l'identità dei soggetti responsabili dell'illecito – riteniamo, infatti, difficilmente riconoscibile la sussistenza della causa di non punibilità in parola laddove l'illecito sia stato commesso da organi apicali –, il profitto che l'ente ha ricavato dal reato ed infine la circostanza che il reato sia stato commesso nell'interesse esclusivo dell'ente o invece l'ente abbia ricavato un minimo vantaggio da un reato che era stato commesso il reato nell'interesse di terzi.

Guida all'approfondimento

BARTOLI, L'esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, Dir. pen. proc., 659;

CAPRIOLI, Prime considerazioni sul proscioglimento per particolare tenuità del fatto, in Dir. pen. cont.;

CORSO, Responsabilità dell'ente da reato non punibile per particolare tenuità del fatto, in Quotidiano Ipsoa;

D'ACQUARONE, Tenuità del fatto: brevi riflessioni sulla posizione dell'ente, in Riv. Resp. Amm. Enti, 2016, 1, 143;

GROSSO, La non punibilità per particolare tenuità del fatto, in Dir. Pen. Proc, 517.

GUERRINI, Clausole di esclusione della punibilità e responsabilità degli enti, in Riv. Resp. Amm. Enti, 2016, 1, 128

MARANDOLA, I “ragionevoli dubbi” sulla disciplina processuale della particolare tenuità del fatto, in Dir. Pen. Proc., 2015, 791

MANGIARACINA, La tenuità del fatto ex art. 131 bis c.p.: vuoti normativi e ricadute applicative in Dir. pen. cont.;

PACIFICI, La particolare tenuità dell'offesa: questioni di diritto penale sostanziale in Dir. pen. cont.;

SANTORIELLO, La clausola di particolare tenuità del fatto, Napoli 2016;

SCARCELLA, C'è ancora spazio per la responsabilità dell'ente se il fatto è di particolare tenuità?, in Riv. Resp. Amm. Enti, 2016, 1, 119

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