I nuovi “tempi” del giudizio di riesame innanzi alla Corte di cassazione

21 Marzo 2016

Quale significativo va assegnato al termine "decisione" declinato dalla legge quale dies a quo per il calcolo dei termini per il deposito della motivazione da parte del giudice del riesame? Quel termine decorre dalla data della decisione o dalla data del deposito del suo dispositivo?
Massima

In tema di impugnazione delle misure coercitive, ai sensi del novellato art. 309, comma 10, c.p.p., la motivazione dell'ordinanza del tribunale del riesame dev'essere depositata in cancelleria entro trenta o quarantacinque giorni dalla decisione, per tale dovendosi intendere la data in cui il tribunale attesti, nel dispositivo, essere avvenuta la deliberazione in camera di consiglio e non quella del deposito del dispositivo stesso. Conseguentemente, è da quel momento che incominciano a decorrere i termini per il deposito della motivazione, non contestuale, fungendo la diversa data del deposito del dispositivo solo da presupposto per verificare che sia stato rispettato il termine, previsto a pena d'inefficacia, di assunzione della decisione entro dieci giorni dalla ricezione degli atti, e a consentire, in caso di mancato rispetto, alla parte interessata di proporre immediatamente istanza per la declaratoria di inefficacia della misura cautelare, senza attendere il deposito della motivazione.

Il caso

Con ordinanza del 30 luglio 2015 (il cui dispositivo risulta depositato il 3 agosto 2015 e la motivazione il 16 settembre 2015), il tribunale del riesame confermava l'ordinanza con la quale il Gip aveva applicato all'indagato la misura della custodia cautelare in carcere perché indagato per il reati di cui all'art. 416-bis c.p. per essere "capo" nell'ambito della cosca "R.-L.". Contro l'ordinanza, l'indagato, a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso per Cassazione deducendo, fra i diversi motivi, la violazione dell'art. 309, comma 10, c.p.p. per essere stata la motivazione depositata oltre il quarantacinquesimo giorno fissato nello stesso dispositivo.

Dalla documentazioni in atti risulta che la decisione (rectius: il dispositivo) venne assunta nella camera di consiglio del 30 luglio 2015; nel suddetto dispositivo è scritto testualmente che il tribunale si riserva il deposito dei motivi in quarantacinque giorni a decorrere dalla decisione; il dispositivo venne depositato il 3 agosto 2015 come risulta dall'attestazione della cancelleria e la motivazione venne depositata il 16 settembre 2015 come risulta dall'attestazione della cancelleria.

La questione

Quale significativo va assegnato al termine decisione declinato dalla legge quale dies a quo per il calcolo dei termini per il deposito della motivazione da parte del giudice del riesame? Quel termine decorre dalla data della decisione o dalla data del deposito del suo dispositivo?

Le soluzioni giuridiche

A seguito delle modifiche apportate dalla recente l. 47 del 2015 in materia di misure cautelari personali, l'art. 310, comma 10, c.p.p. dispone che:

a) la decisione sulla richiesta di riesame deve intervenire entro dieci giorni dalla ricezione degli atti (art. 309, comma 9, c.p.p.);

b) l'ordinanza del tribunale dev'essere depositata in cancelleria entro trenta giorni dalla decisione, o quarantacinque giorni nei casi di motivazione particolarmente complessa;

c) nel caso in cui i suddetti termini non siano rispettati l'ordinanza che dispone la misura coercitiva perde efficacia.

A seguito della modifica normativa, l'art. 309 c.p.p. prevede, quindi, due perentori termini rivolti al giudice che deve decidere (rectius: al tribunale del Riesame) e prevede due precisi dies a quo: il primo (per la decisione) decorre dalla ricezione degli atti; il secondo (per il deposito della motivazione) dalla decisione.

Nell'affrontare la questione circa la valenza da assegnare a quest'ultimo termine, la Cassazione evidenzia, innanzitutto, come ogni provvedimento del giudice è composto, sostanzialmente, da due parti: il dispositivo, il quale, in modo sintetico riassume il dictum; la motivazione con la quale si illustrano le ragioni per le quali si è assunta la decisione enunciata nel dispositivo. Ora, con la modifica operata dalla l. 47 del 2015, l'attuale versione dell' art. 309, comma 10, c.p.p. stabilisce che innanzitutto, la decisione dev'essere assunta – pena l'inefficacia del provvedimento restrittivo – entro dieci giorni dal ricevimento degli atti: sul punto, nulla è stato innovato rispetto alla previgente normativa; in secondo luogo, la decisione (rectius, il dispositivo) non dev'essere letta in pubblica udienza, proprio perché il rito è quello camerale: anche su tale punto, nulla è stato innovato. Invece, si è previsto che, una volta assunta la decisione, da questa decorrono i termini di 30 o 45 gg – a pena di inefficacia del provvedimento cautelare – per il deposito della motivazione: è questa la novità introdotta.

Ebbene, indica la Cassazione, l'introduzione di questo ulteriore termine perentorio a pena di inefficacia della misura cautelare (ossia il deposito della motivazione oltre i termini previsti), ha completamente mutato la problematica postasi sotto la previgente normativa .

In altri termini, il legislatore ha fatto scattare il dies a quo per il deposito della motivazione, senza alcuna soluzione di continuità, direttamente dalla decisione, con ciò, quindi, creando un meccanismo del tutto diverso e da quello per il deposito della sentenza e dal deposito dei provvedimenti camerali di cui all'art. 128 c.p.p. e del previgente art. 309, comma 10, c.p.p.

Il novellato art. 309, comma 10, c.p.p., ha, invece stabilito che, dal momento della ricezione degli atti, la procedura deve concludersi nel tempo massimo di giorni 55 (dispositivo assunto entro 10 giorni dalla ricezione degli atti + massimo giorni 45 dalla suddetta decisione per il deposito della motivazione): ma ciò non significa che, ove i suddetti tempi siano più brevi, il tribunale non debba decidere entro questi più brevi termini.

Il dettato della legge, indica la Corte, è chiaro e non è suscettibile di diverse interpretazioni: l'ordinanza del tribunale (rectius: la motivazione) dev'essere depositata in cancelleria entro trenta/quarantacinque giorni dalla decisione per tale dovendosi intendere la data in cui il tribunale abbia deliberato in camera di consiglio: di conseguenza, se è lo stesso tribunale che attesta, nel dispositivo, che la data della decisione è avvenuta in una certa data (nella specie 30 luglio 2015) ed è esso stesso che stabilisce che si riserva il deposito dei motivi in quarantacinque giorni a decorrere dalla decisione, è da questo momento che incominciano a decorrere i termini per il deposito della motivazione (sempre che non sia contestuale) e non dalla diversa data del deposito del dispositivo che, quindi – come stabilito dalla previgente normativa, sul punto identica a quella novellata, così come interpretata da questa Corte – serve solo a verificare che il primo termine previsto a pena d'inefficacia (decisione assunta entro dieci giorni dalla ricezione degli atti), sia stato rispettato, e non certo a stabilire il dies a quo dal quale far decorrere i termini per il deposito della motivazione, salvo, ovviamente, che la data del giorno in cui il dispositivo è stato deliberato non coincida con quello del deposito.

Invero, anche tale circostanza è molto importante perché, ove dalla data del deposito del dispositivo dovesse risultare che la decisione sia stata assunta oltre i dieci giorni dalla ricezione degli atti, la parte interessata, senza attendere il deposito della motivazione, può immediatamente proporre istanza per la declaratoria di inefficacia della misura cautelare.

Ma, per quanto appena detto, se il deposito del dispositivo, continua ad avere, anche sotto la vigenza del novellato art. 309, comma 10, c.p.p., la funzione di verifica del rispetto del primo termine, al contrario, non può averne alcun riflesso quanto alla decorrenza del dies a quo per il deposito della motivazione. La diversa decorrenza dei termini e la diversa valenza dell'attestazione della cancelleria sulla data del deposito, si spiega agevolmente laddove si consideri che per le parti interessate, l'attestazione della cancelleria rappresenta l'unico atto che ufficializza la decisione e, quindi, esse, al fine di verificare il rispetto del termine della decisione, non possono che far riferimento alla data ufficiale del deposito. Aggiunge, peraltro, il supremo Collegio come per il tribunale non avrebbe senso alcuno far decorrere il termine per il deposito della motivazione dalla diversa data del deposito del dispositivo, perché, esso conosce bene la data della decisione per averla esso stesso attestata in calce al dispositivo, sicché, il termine, stabilito esclusivamente nei suoi confronti, non può che decorrere, come stabilito dalla norma, dalla data della "decisione" che esso stesso ha attestato nel dispositivo.

Ciò premesso, nel caso di specie, il tribunale non ha seguito la nuova suddetta rigida procedura: infatti, nonostante il Collegio ex art. 309 c.p.p. avesse attestato che la decisione era stata assunta in data 30 luglio 2015 (e cioè lo stesso giorno in cui, terminata, la discussione, si era riservato), il dispositivo fu depositato quattro giorni dopo.

Certamente, indica, la Sezione II, il tribunale, ben avrebbe potuto prolungare la camera di consiglio fino al decimo giorno dalla ricezione degli atti (e, quindi, in ipotesi, fino al 3 agosto 2015),ma, di tale evenienza, avrebbe dovuto dare atto proprio perché la data della decisione è, ora, diventata fondamentale per stabilire il dies a quo dal quale far decorrere il termine perentorio di 30/45 giorni per il deposito della motivazione. In altri termini, non può essere consentito al Tribunale “prolungare" in modo surrettizio i tempi processuali, ritardando, pur nell'ambito dei tempi massimi previsti, il deposito del dispositivo rispetto al momento, da esso stesso attestato, di assunzione della decisione.

Alla luce delle puntualizzazione offerte, il ricorso è stato, dunque, accolto.

Osservazioni

La decisione della Sez. II, 26 gennaio 2016, n. 4961 della Cassazione rappresenta una delle prime letture offerte in ordine all'esegesi del tenore dell'art. 309, comma 10, c.p.p. Il provvedimento si caratterizza per il fatto di offrire in modo chiaro e preciso, attraverso diversi passaggi, una corretta interpretazione delle diverse esigenze che la novella ha inteso realizzare. La l. 47 del 2015 appare chiara sotto tale aspetto: se in linea con l'impianto generale della riforma si tende ad ottenere un provvedimento “solido” sul piano motivazionale, si stabiliscono dei termini a carico del tribunale del riesane, per la decisione, rectius, dispositivo, confinata in dieci giorni dalla ricezione degli atti, e dall'altro, un termine più ampio per la predisposizione della motivazione al fine d'ottenere un provvedimento capace di resistere alle (eventuali) domande di revoca o successiva modificazione, ancorato, tuttavia, alla deliberazione.

La sentenza merita condivisione in quanto si colloca nel pieno rispetto della ratio e della finalità che attraverso la “nuova” previsione il riformatore ha voluto assicurare: del tutto corretta appare la ricostruzione del termine decisione, qui inteso come dispositivo, e del valore assegnato alla motivazione che la riforma ha voluto valorizzare, correggendo prassi debordanti e incontrollabili quanto al corretto assolvimento degli adempimenti a cui l'autorità giudiziaria è tenuta sul piano motivazione. I tempi stringenti imposti dalla legge in considerazione dei valori in gioco (la libertà personale), non consentono meccanismi che, in modo surrettizio, consentano al tribunale di dilatare i giorni che la legge ha stabilito tanto per la decisione, quanto per il deposito della motivazionale. Tali dilatazioni, al contrario, risultavano possibili (perché senza alcuna concreta conseguenza pratica) sotto il vigore della previgente normativa per la quale era sufficiente, com'è noto, che entro dieci giorni dalla ricezione degli atti, il tribunale assumesse una decisione: a quel punto, non essendo previsto alcun termine per il deposito della motivazione, era del tutto irrilevante stabilire quale fosse il termine della decisione "effettiva" essendo sufficiente che la decisione (rectius: il dispositivo) fosse depositata entro il suddetto termine.

Un tale assolvimento esce, dunque, rafforzato dalla lettura offerta dalla Cassazione, che conferma come la previsione di un termine perentorio (30 e 45 gg.) a carico del tribunale della libertà, sia capace di assecondare le esigenze di difesa da un lato, e quelle di riacquisto della libertà del soggetto, dall'altro lato, in conformità a quanto preteso dagli artt. 13, 24 e 27 Cost. La norma, per concludere, assume un rilievo fondamentale, in quanto espressione di un nuovo modo di concepire i rapporti fra il soggetto “ristretto” e l'autorità giudiziaria, secondo quanto già delineato dagli artt. 302 e 391 c.p.p.

L'immediata liberazione è espressione di una valutazione legislativa di congruità del periodo di privazione della libertà personale in carenza di un controllo qui complessivamente inteso. Dunque, la mancata decisione o il mancato deposito della sua motivazione determinano l'immediata caducazione del provvedimento, evitando che il soggetto che lo ha impugnato possa essere danneggiato da inadempienze o ritardi dell'autorità giudiziaria. È importante, inoltre, che altrettanta conformità al tenore normativo e alla volontà legislativa venga osservato in ordine al rispetto dei 45 gg. ammesso solo nel caso di una motivazione particolarmente complessa per il numero degli arrestati o la gravità delle imputazioni. Un tale monitoraggio si rende, infatti, alquanto necessario onde evitare che la manifestata perentorietà che, unitamente alla dottrina, la giurisprudenza di legittimità con la decisione n. 4961/2016 intende salvaguardare, non venga bypassata, ricorrendo abitualmente alla previsione di carattere eccezionale.

Si ricorda, infine, che la tutela della libertà personale che la riforma ha inteso rafforzare passa anche attraverso la previsione che il provvedimento non possa essere reiterato se non a fronte di motivate eccezionali esigenze cautelari. Il che lascerebbe intendere che, nonostante la misura perda efficacia per questioni semplicemente procedurali, dovrebbe essere bandita la possibilità che la restrizione possa riposare anche su iniziative della procura (fermo di indiziato), così com'è avvenuto nel caso di perdita d'efficacia della misura per omesso interrogatorio.

Guida all'approfondimento

SPANGHER, Un restyling per le misure cautelari, in Dir. pen. proc., 2015, n. 5, p. 529;
Id., Una piccola riforma della custodia cautelare, in AA.VV., Il nuovo volto della giustizia penale, a cura di Conti-Giarda-Marandola-Spangher-Tonini-Varraso, Padova, 2015, p. 383;
Id., Le impugnazioni cautelari si rinnovano, ivi, p. 461;
BONZANO, Nuove norme sulla motivazione: il sistema cautelare in action, ivi, 421;
MARI, Prime osservazioni sulla riforma in materia di misure cautelari personali, in Cass. pen., 2015, n. 7-8, p. 2538;
PAZIENZA, FIDELBO, Le nuove disposizioni in tema di misure cautelari. Relazione dell'Ufficio del Massimario della Corte di Cassazione, in Dir. pen. cont.

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