Il rito camerale non partecipato applicabile ai procedimenti ai ricorsi in Cassazione in tema di misure cautelari reali

Luigi Agostinacchio
21 Luglio 2017

Nei procedimenti aventi ad oggetto i ricorsi proposti ai sensi dell'art. 325 c.p.p. in tema di misure cautelari reali (sequestri probatori o preventivi) è prevista la partecipazione delle parti (difensore e rappresentante dell'Ufficio della procura generale)?
Massima

È manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 325, comma 3, c.p.p., sollevata in relazione agli artt. 24 e 70 Cost., nella parte in cui, secondo l'interpretazione datane dalla giurisprudenza di legittimità, prevede la trattazione dei ricorsi ex art. 325 c.p.p. in materia di sequestri, con le forme del rito camerale "non partecipato", in quanto, non solo il diritto di difesa è adeguatamente assicurato dalla facoltà del difensore di presentare memorie anche di replica, ma è lo stesso art. 325 c.p.p. che si limita a richiamare le disposizioni dell'art. 311 c.p.p., commi 3 e 4, con esclusione del comma quinto che dispone l'osservanza delle forme del rito partecipato di cui all'art. 127 c.p.p.

Il caso

Con ordinanza in data 14 settembre 2016 il Tribunale della libertà di Reggio Emilia aveva respinto l'appello ex art. 322-bis c.p.p. proposto avverso l'ordinanza del tribunale di Reggio Emilia del 24 giugno 2016 che aveva a sua volta rigettato l'istanza di dissequestro di somme depositate su conti correnti bancari ritenuti nella disponibilità di un soggetto indagato del delitto di partecipazione ad associazione mafiosa.

Proposto ricorso per cassazione da parte del terzo interessato alla restituzione degli importi sequestrati, il difensore del ricorrente attraverso una successiva memoria scritta aveva richiesto, pregiudizialmente alla definizione del procedimento, la trattazione nelle forme del rito camerale partecipato e aveva, per l'effetto, chiesto la fissazione dell'udienza ex art. 127 c.p.p. per procedere alla discussione orale; in subordine, aveva sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 325 c.p.p., comma 3 nella interpretazione data dalle Sezioni unite di questa Corte (n. 51207 del 17 dicembre 2015) per violazione degli artt. 24 e 70 Cost. lamentando la compromissione del diritto di difesa determinata dalla trattazione del ricorso con la forma del rito camerale non partecipato e l'usurpazione della funzione legislativa da parte della giurisprudenza di legittimità.

La questione

La questione è delineata con precisione nella sentenza in esame della seconda sezione penale della Corte di cassazione, cui il ricorso era stato assegnato.

In primo luogo la Corte ha disatteso la richiesta di trattazione del procedimento con le forme dell'art. 127 c.p.p. ritenendo di aderire all'insegnamento giurisprudenziale delle Sezioni unite (Cass. pen., Sez. unite, n. 51207, 17 dicembre 2015) secondo cui il procedimento in camera di consiglio innanzi alla Corte di cassazione avente ad oggetto i ricorsi ex art. 325 c.p.p. in materia di sequestri deve svolgersi nelle forme del rito "non partecipato" previsto dall'art. 611 c.p.p. e non in quelle di cui all'art. 127 c.p.p. Ha osservato a riguardo, richiamando la motivazione della sentenza delle Sezioni unite, che il dato normativo di riferimento è costituito dall'art. 325 c.p.p., che, al comma 3, rinvia alla disciplina dettata all'art. 311 c.p.p., per gli omologhi ricorsi avverso le ordinanze di riesame relative a misure cautelari personali, richiamando, però, dell'articolo di legge anzidetto, soltanto i commi 3 (concernente le modalità di presentazione del ricorso e i conseguenti avvisi e adempimenti a cura del giudice che ha emesso la decisione impugnata) e 4 (avente ad oggetto la tempistica dei motivi del ricorso, prevedendone l'enunciazione contestualmente a questo, con facoltà di proporne di nuovi davanti alla Corte di cassazione, prima dell'inizio della discussione) ma non il comma 5, che disciplina il giudizio innanzi la Corte, prevedendo che questa deve decidere entro trenta giorni dalla ricezione degli atti, osservando le forme di cui all'art. 127 c.p.p.

Ne consegue che essendo espressamente esclusa l'applicabilità della procedura di cui all'art. 127 cit., le forme di svolgimento dell'udienza dinanzi la Corte di cassazione in caso di ricorsi avverso provvedimenti in tema di sequestri cautelari reali non possono che ricavarsi dai principi generali dettati dall'art. 611 c.p.p. secondo cui la corte giudica senza intervento delle parti.

Con riguardo, specificatamente, alla disciplina dettata dall'art. 611 c.p.p. la seconda sezione della Corte con la pronuncia in commento ha rilevato che:

  1. la norma dell'art. 611 c.p.p. «ha natura di norma speciale rispetto a quella di norma generale dettata dall'art. 127 c.p.p.», prevedendo una disciplina diversa da quella contemplata dalla norma generale sui procedimenti in camera di consiglio (disciplina partecipata ed a contraddittorio orale, l'art. 127; disciplina non partecipata ed a contraddittorio cartolare, l'art. 611 c.p.p.);
  2. l'art. 611 attua sia la previsione contenuta all'art. 2, direttiva n. 89, della legge delega per l'emanazione del nuovo codice di procedura penale (l. 16 febbraio 1987, n. 81) che la previsione di cui all'art. 2, direttiva n. 95, contenente l'indicazione del diritto delle parti di svolgere le conclusioni davanti alla Corte di cassazione;
  3. «il rito camerale di cassazione previsto dall'art. 611 costituisce una forma specifica e generale per la sede di legittimità (contro provvedimenti non emessi nel dibattimento), derogatoria rispetto alla forma prevista in via generale per la sede di merito, la cui peculiarità consiste nella modalità attuativa del principio del contraddittorio (cartolare e non partecipato)».

Ha concluso pertanto nel senso che il modello camerale tipico previsto per le decisioni della Corte di cassazione è quello cartolare disciplinato dall'art. 611 c.p.p., derogabile con la procedura "partecipata" prevista dall'art. 127 c.p.p., nei casi espressamente previsti e quindi soltanto per ragioni di ordine testuale, senza che ulteriori argomenti di ordine sistematico o costituzionale potessero sottrarre la materia oggetto del ricorso al criterio dettato dall'art. 611 c.p.p.

Le soluzioni giuridiche

Tali essendo i principi di riferimento la Corte ha affermato anche la manifesta infondatezza della eccepita legittimità costituzionale dell'art. 325 c.p.p.sottolineando che si trattava peraltro di questione già esaminata dalla Cassazione.

La Suprema Corte aveva già ritenuto infatti manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 311 c.p.p., comma 4, e art. 325 c.p.p., comma 3, in relazione all'art. 117 Cost. e art. 6 Cedu, nonché con riferimento all'art. 111 Cost. – nella parte in cui, secondo l'interpretazione divenuta diritto vivente, dispongono che il procedimento in camera di consiglio innanzi alla Corte di cassazione, avente ad oggetto i ricorsi ex art. 325 c.p.p. in materia di sequestri, dovesse svolgersi nelle forme del rito "non partecipato” (Cass. pen., Sez. II, 15 giugno 2016, n. 40015).

Quanto poi al profilo rilevato con riferimento alla violazione dell'art. 70 Cost. si è esclusa la violazione della regola dettata da tale norma sulla base della considerazione che l'art. 325 c.p.p. richiama l'art. 311, commi 3 e 4, c.p.p.e non anche il comma quinto nel quale appunto si prevede l'osservanza delle forme di cui all'art. 127 cit. e quindi il rito camerale partecipato.

Con riguardo al secondo profilo di incostituzionalità relativo alla violazione del diritto di difesa, si è osservato che l'esigenza di assicurare l'oralità del processo non solo non è imposta in via assoluta, ma attiene essenzialmente alla formazione della prova e non alle modalità di esercizio della difesa. Con specifico riferimento, poi, al rito camerale, la Corte ha evidenziato come questo non attribuisca alcun privilegio all'accusa, essendo esclusa in esso la presenza non soltanto del difensore ma anche del P.G. Al contempo, il diritto di difesa è adeguatamente assicurato dalla facoltà del difensore di presentare memorie e memorie di replica e non necessariamente, esso, deve esplicarsi con la presenza della parte all'udienza camerale (Cass. pen., Sez. I, 5 ottobre 1998, n. 4775, De Filippis).

In termini, ancor più diffusi (Cass. pen., Sez. VI, 27 novembre 1997, n. 4679) altre pronunce hanno affermato che in tema di procedura camerale nel giudizio di cassazione, è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 611 c.p.p., sollevata, in riferimento all'art. 76 Cost., per eccesso di delega rispetto ai criteri direttivi contenuti nel l.d. 16 febbraio 1987, n. 81, art. 2 e in particolare rispetto alle direttive n. 2 (non essendo assicurata la trattazione orale del ricorso), n. 3 (non essendo realizzata la partecipazione della difesa su basi di parità rispetto all'accusa) e n. 89 (non essendo previste adeguate garanzie di difesa).

Anche la Consulta, investita dei profili attinenti le fasi processuali del giudizio in cassazione, trattato nelle forme del rito camerale non partecipato è pervenuta ad una declaratoria di infondatezza (Corte cost. n. 80 del 2011). In tale pronuncia si spiega il diverso atteggiarsi del diritto alla pubblicità del processo, a seconda della fase di riferimento e si forniscono utili indicazioni sulla profonda differenza che intercorre tra il merito e la legittimità. È stato, in particolare, evidenziato che, al fine della verifica del rispetto del principio di pubblicità, occorre guardare alla procedura giudiziaria nazionale nel suo complesso. In specie, la Corte, richiamando la giurisprudenza convenzionale europea, ha rammentato che i giudizi di impugnazione, dedicati esclusivamente alla trattazione di questioni di diritto, possono soddisfare i requisiti di cui all'art. 6, paragrafo 1, della Convenzione, nonostante la mancata previsione di una pubblica udienza davanti alle Corti di appello o alla Corte di cassazione (ex plurimis, sentenza 21 luglio 2009, Seliwiak contro Polonia; Grande Camera, sentenza 18 ottobre 2006, Hermi contro Italia; sentenza 8 febbraio 2005, Miller contro Svezia; sentenza 25 luglio 2000, Tierce e altri contro San Marino; sentenza 27 marzo 1998, K.D.B. contro Paesi Bassi; sentenza 29 ottobre 1991, Helmers contro Svezia; sentenza 26 maggio 1988, Ekbatani contro Svezia).

Quindi, anche ad avviso della Corte di Strasburgo la pubblica udienza non è richiesta nei gradi di impugnazione destinati alla trattazione di sole questioni di diritto (o concernenti comunque materie le cui peculiarità meglio si attagliano a una trattazione scritta) e ciò vale anche quando l'udienza pubblica non si è tenuta in prima istanza, perché l'interessato vi ha rinunciato, esplicitamente o implicitamente, omettendo di formulare la relativa richiesta. Può pertanto affermarsi che tanto la giurisprudenza di legittimità quanto quella costituzionale ed europea appaiono, ancora oggi, stabilmente orientate nel riconoscere in tutti i riti nei quali si articola il giudizio in cassazione piena attuazione delle garanzie di difesa e, più in generale, del principio del contraddittorio, pur nel differente atteggiarsi di quest'ultimo rispetto alle fasi cd. di merito, in ragione del tecnicismo che connatura la "legittimità".

Né l'argomento decisivo può trarsi dal riferimento all'art. 311 c.p.p., comma 4 contenuto nel già citato art. 325 c.p.p. così come esposto nella memoria difensiva; la possibilità di presentare motivi nuovi infatti non è per nulla preclusa dal ricorso alla procedura camerale non partecipata poiché, prima della trattazione dell'udienza comunicata alle parti, le stesse possono appunto, tramite deposito in cancelleria, fare valere nuove ragioni di doglianza connesse a quelle principali già avanzate con il proposto gravame.

Osservazioni

La sentenza in commento è in linea di continuità con la decisione delle Sezioni unite n. 51207 del 17 dicembre 2015 con la quale era stato già affermato il principio di diritto secondo cui il procedimento in camera di consiglio innanzi alla Corte di cassazione avente ad oggetto i ricorsi ex art. 325 c.p.p. in materia di sequestri deve svolgersi nelle forme del rito non partecipato previsto dall'art. 611 c.p.p. e non in quelle di cui all'art. 127 c.p.p.

In realtà l'opzione ermeneutica ha superato un precedente orientamento delle stesse Sezioni unite che con due arresti, succedutesi a distanza di tempo relativamente breve l'uno dall'altro, oltre venti anni fa, avevano affrontato la questione, optando, in entrambe le circostanze, per la soluzione favorevole all'applicazione del rito camerale "partecipato" anche per i ricorsi in materia di misure cautelari reali, ex art. 325 c.p.p., escludendo, però, il termine di trenta giorni, previsto dall'art. 311, comma 5, c.p.p., in quanto non richiamato dall'art. 325, comma 3, c.p.p. (Cass. pen., Sez. unite, 26 aprile 1990, n. 4, Serio e Cass. pen., Sez. unite, 6 novembre 1992, n. 14, Lucchetta). La ragione, posta a fondamento della soluzione ermeneutica era individuata dalla Corte nel tenore letterale dell'art. 311, comma 4, c.p.p. (richiamato dall'art. 325, comma 3), che, prevedendo una discussione (necessariamente orale) e la possibilità di enunciare motivi nuovi prima del suo inizio, delineava un modulo procedimentale incompatibile con quello dell'art. 611 c.p.p. basato unicamente su atti scritti e che facultava le parti a presentare motivi nuovi fino a quindici giorni prima dell'udienza camerale.

Hanno da ultimo ritenuto le Sezioni unite che le argomentazioni sviluppate nelle richiamate pronunce Serio e Lucchetta, entrambe ormai risalenti nel tempo, dovessero essere riviste, pur in presenza di un quadro normativo immutato, alla luce dei contributi interpretativi offerti da successivi interventi delle stesse Sezioni unite nonché dei principi elaborati dalla giurisprudenza costituzionale e convenzionale, sintetizzati nella sentenza in commento.

Il punto di approdo del ragionamento è che il rito camerale di cassazione previsto dall'art. 611 c.p.p. costituisce una forma specifica e

generale per la sede di legittimità, derogatoria rispetto alla forma prevista in via generale per la sede di merito, la cui peculiarità consiste nella modalità attuativa del principio del contraddittorio (cartolare e non partecipato).

Da tale enunciato la decisione trae la conclusione che «la disciplina speciale, dettata per il rito camerale in cassazione, costituisce già di per sé deroga alla disciplina generale; il mero richiamo all'art. 127 riferito al procedimento incidentale di merito, se può valere a definire l'ambito di ricorribilità del provvedimento del giudice di merito, non può essere esteso meccanicamente alla procedura da seguire nella successiva fase di legittimità, la quale, "se non è diversamente stabilito", è regolata da una specifica forma».

Si è anche osservato come il rito camerale di cassazione sia previsto per materie che incidono su diritti soggettivi o posizioni di rilevanza anche costituzionale, per i quali il contraddittorio cartolare costituisce valido espletamento del diritto defensionale delle parti.

È opportuno infine rilevare che nella stessa sentenza n. 5120/2017 le Sezioni unite hanno stabilito che in tema di ricorso per cassazione deciso nelle forme del rito camerale non partecipato ai sensi dell'art. 611 c.p.p., l'acquisizione della requisitoria scritta del procuratore generale non è presupposto necessario ai fini della fissazione della data dell'udienza e della trattazione del ricorso.

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