Il destino delle statuizioni civili restitutorie e/o risarcitorie per reati trasformati in illeciti civili

21 Settembre 2016

Le Sezioni unite penali della suprema Corte sono chiamate a pronunciarsi sulla sorte dell'azione civile proficuamente esercitata dalla persona offesa nel processo penale per fatti-reato abrogati, dopo la condanna non irrevocabile dell'imputato, ai sensi del d.lgs. 15 gennaio 2016, n. 7.
Abstract

Le Sezioni unite penali della suprema Corte sono chiamate a pronunciarsi sulla sorte dell'azione civile proficuamente esercitata dalla persona offesa nel processo penale per fatti-reato abrogati, dopo la condanna non irrevocabile dell'imputato, ai sensi del d.lgs. 15 gennaio 2016, n. 7.

Il caso

Due persone, ritenute responsabili del delitto di cui agli artt. 110, 635, c.p., per aver danneggiato le autovetture di proprietà del titolare di un esercizio pubblico, sono state condannate, con sentenza del giudice di pace, totalmente confermata dal tribunale in funzione di giudice di secondo grado, alla pena ritenuta di giustizia e al risarcimento del danno in favore della costituita parte civile.

L'abrogazione della norma incriminatrice e la trasformazione della condotta in illecito punito con sanzione civile

In pendenza di ricorso per cassazione è intervenuto il d.lgs. 15 gennaio 2016, n. 7 (Disposizioni in materia di abrogazione di reati e introduzione di illeciti con sanzioni pecuniarie civili, a norma dell'articolo 2, comma 3, della legge 28 aprile 2014, n. 67), che, in attuazione della delega conferita con legge 28 aprile 2014, n. 67 (art. 2, comma 3), ha ridisegnato la fisionomia della norma incriminatrice di cui all'art. 635 c.p.

Non è questa la sede per verificare la legittimità dell'allargamento della fattispecie del (nuovo) reato di danneggiamento a condotte che prima ne erano estranee (l'aver cioè commesso il fatto in occasione di manifestazioni che si svolgono in luogo pubblico o aperto al pubblico), è un dato di fatto per quanto qui rileva

che le condotte che precedentemente costituivano solo circostanze aggravanti del reato (originariamente previste dai numeri 1 e 2 del comma secondo), ne sono divenute elementi costitutivi, con conseguente eliminazione dalla fattispecie (e relativa abrogazione espressa) di quelle che, in precedenza, integravano il danneggiamento c.d. semplice, confluite nell'illecito civile di nuova fattura.

In conseguenza del combinato disposto di cui agli artt. 3 e 4, comma 1 lett. b), d.lgs. 7/2016, infatti, la condotta di chi volontariamente distrugge, disperde, deteriora o rende, in tutto o in parte, inservibili cose mobili o immobili altrui è oggi punita esclusivamente con sanzione pecuniaria civile da euro cento a euro ottomila.

L'importo della sanzione pecuniaria civile è determinato dal giudice tenuto conto dei seguenti criteri: a) gravità della violazione; b) reiterazione dell'illecito; c) arricchimento del soggetto responsabile; d) opera svolta dall'agente per l'eliminazione o attenuazione delle conseguenze dell'illecito; e) personalità dell'agente; f) condizioni economiche dell'agente (art. 5, d.lgs. 7, cit.).

La sanzione è applicata dal giudice competente a conoscere dell'azione di risarcimento del danno, che la applica qualora accolga la domanda di risarcimento proposta dalla persona offesa (art. 8, commi 1 e 2, d.lgs. 7/2016).

L'art. 12, d.lgs. 7/2016, prevede che le disposizioni relative alle sanzioni pecuniarie civili in esso previste si applicano anche ai fatti commessi anteriormente alla data di entrata in vigore del decreto stesso, salvo che il procedimento penale sia stato definito con sentenza o con decreto divenuti irrevocabili.

La condotta posta in essere dai due autori del danneggiamento è dunque oggi punita con sanzione civile pecuniaria e non è più prevista dalla legge come reato.

La questione controversa

La questione che pertanto si pone è la seguente: qual'è la sorte delle statuizioni civili, o meglio dell'azione civile esercitata nel processo penale? Il giudice penale che come nel caso di specie deve pronunciarsi sull'impugnazione proposta deve revocarle o può decidere sull'impugnazione stessa ai soli effetti civili?

Il d.lgs. 7/2016 non la affronta in modo diretto, lasciando all'interprete il compito di individuare la soluzione.

Diversa sorte, invece, è stata espressamente riservata per i reati depenalizzati e trasformati in illeciti amministrativi dal d.lgs. 15 gennaio 2016, n. 8 (Disposizioni in materia di depenalizzazione, a norma dell'articolo 2, comma 2, della legge 28 aprile 2014, n. 67) per i quali l'art. 9, comma 3, prevede espressamente che quando è stata pronunciata sentenza di condanna, il giudice dell'impugnazione, nel dichiarare che il fatto non è previsto dalla legge come reato, decide sull'impugnazione ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili.

Secondo il codice di rito il giudice penale può decidere sulla domanda per le restituzioni ed il risarcimento del danno solo quando pronuncia sentenza di condanna (art. 538, comma 1, cod. proc. pen.). Quando, in primo grado, vi è stata condanna alle restituzioni o al risarcimento del danno, il giudice dell'impugnazione, se dichiara il reato estinto per amnistia o per prescrizione, decide comunque sulla domanda (art. 578, cod. proc. pen.).

Dalla diversa interpretazione, letterale e sistematica della latitudine applicativa di queste due norme, dal loro combinarsi con la voluntas legis e conprincipi di più ampio respiro, anche di matrice costituzionale, nascono i due opposti orientamenti giurisprudenziali di cui ora daremo conto, non senza aver prima ricordato che già in precedenza, con ordinanza n. 7125 assunta all'udienza del 9 febbraio 2016, la quinta Sezione penale della suprema Corte ha rimesso alle Sezioni unite identica questione (vedi SIRAGUSA, Depenalizzazione e domanda della parte civile: qual è la regola di giudizio?).

La tesi secondo cui il giudice dell'impugnazione deve decidere sulla domanda

Secondo un primo indirizzo (inaugurato da Sez. V, n. 14041 del 15 febbraio 2016 e proseguito da Sez. V, n. 24029 del 3 marzo 2016; Sez. II, n. 21598 del 8 marzo 2016; Sez. II, n. 14529 del 23 marzo 2016 e Sez. II, n. 24299 del 27 maggio 2016) l'abrogazione del reato successiva alla sentenza di condanna non preclude l'esame dell'impugnazione agli effetti civili, sicché il giudice deve decidere sulla domanda allorché la sentenza sia stata emessa prima dell'entrata in vigore del d.lgs. 7/2016.

Ciò in base ai seguenti argomenti:

  1. in primo luogo, si osserva, l'art. 2, comma 2, c.p. prevede che la abolitio criminis determina la cessazione dell'esecuzione e degli effetti penali della condanna ma non le obbligazioni civili nascenti dal fatto illecito che, evidentemente, non cessano;
  2. l'abolizione del reato non determina il venir meno della natura di illecito civile del medesimo fatto con la conseguenza che la sentenza non deve essere revocata relativamente alle statuizioni civili derivanti da reato, le quali continuano a costituire fonte di obbligazioni efficaci nei confronti della parte danneggiata (sul punto, si vedano Sez. IV, n. 4266 del 2 febbraio 2006, Sez. III, n. 1029 del 30 aprile 1993);
  3. al diritto del danneggiato dal reato al risarcimento del danno non si applicano i principi attinenti la successione nel tempo delle leggi penali, fissati dall'art. 2, c.p. ma il principio stabilito dall'art. 11 delle preleggi; pertanto, il diritto al risarcimento permane anche a seguito di abolitio criminis, nulla rilevando successive modifiche legislative, che non abbiano espressamente disposto sui diritti quesiti;
  4. nella relazione illustrativa di accompagnamento allo schema del decreto legislativo n. 7/2016, si afferma espressamente che l'art. 12, comma 1, può essere applicato anche per le condotte già rilevanti penalmente, purché il relativo procedimento penale sia tuttora pendente, il che lascia intendere che l'intenzione del Legislatore è proprio quella di rendere applicabile la normativa anche ai processi pendenti;
  5. in situazioni analoghe la Corte di cassazione ha affermato uguale principio, in tema, per esempio, di riforma dei reati contro la P.A. quando la riformulazione della fattispecie normativa comporti una radicale modificazione delle condotte incriminate; in particolare, con riferimento alla questione della conservazione delle statuizioni civili relative alla condanna per il reato di concussione a seguito della riqualificazione del fatto ai sensi dell'art. 319-quater c.p. in conseguenza dell'entrata in vigore della l. 190/2012, si è affermato il principio che, in presenza di un fatto ingiusto che ha cagionato un danno, il diritto del danneggiato al risarcimento permane, a nulla rilevando le successive modifiche legislative, e si è ribadito con affermazione dal contenuto generale che tale principio deve trovare applicazione nei casi in cui la modifica legislativa "trasforma" in condotte lecite fatti che erano penalmente rilevanti (Cass. pen., Sez. VI, n. 31957, 25 gennaio 2013);
  6. infine, ove dovesse ritenersi obbligata la trasmissione al giudice civile competente per l'irrogazione delle sanzioni civili a seguito della declaratoria di assoluzione dell'imputato perché il fatto di danneggiamento non è più previsto dalla legge come reato, dovrebbe imporsi alla parte civile costituita la prosecuzione del giudizio in sede civile sebbene lo stesso abbia già trovato definizione, pur non irrevocabile, in sede penale ove veniva proposta la domanda risarcitoria ed accertato un fatto dannoso all'esito dei giudizi di merito. Tale interpretazione appare prospettare una soluzione in violazione del principio della ragionevole durata del processo di cui all'art. 111, Cost. obbligando la parte civile alla prosecuzione del giudizio in altra sede benché il fatto sia già stato acclarato nel procedimento penale con conseguente eccessivo sacrificio per i diritti del danneggiato costretto a riprendere la sequenza procedimentale dinanzi il giudice civile;
  7. tale soluzione appare anche foriera di possibili contrasti di giudicati poiché, a fronte dell'accertamento della sostanziale sussistenza del fatto illecito da parte del giudice penale, il giudice civile chiamato ad irrogare la sanzione sarebbe chiamato ad una completa rivalutazione del medesimo fatto al fine di verificare la sussistenza dei presupposti per l'irrogazione della sanzione;
  8. sotto il profilo della interpretazione costituzionalmente orientata irragionevole sarebbe la disparità di trattamento fra il danneggiato che ha ottenuto una condanna al risarcimento in un processo penale che si concluda nella fase dell'impugnazione con una declaratoria di abolitio criminis e il danneggiato che ha ottenuto la stessa condanna con una sentenza irrevocabile.

A tale indirizzo si può, a buon ragione, ascrivere anche la citata ordinanza n. 7125/2016 secondo cui la scelta del Legislatore delegato di non prevedere una disposizione analoga a quella contenuta nell'art. 9, d.lgs. 8 del 2016, potrebbe essere frutto di una svista involontaria ma ciò non esclude che il legislatore abbia ritenuto superfluo provvedervi. In tale ultimo senso, infatti, vanno evidenziati alcuni indici normativi contenuti nell'art. 8 del decreto che disciplina il procedimento applicativo delle sanzioni pecuniarie civili. In particolare il comma 1, dell'articolo citato prevede che le stesse vengano applicate dal giudice competente a conoscere dell'azione di risarcimento del danno, la cui formulazione è sufficientemente ambigua per poter essere interpretata anche nel senso per cui quest'ultimo, nel regime transitorio, sia quello penale davanti al quale la suddetta azione è stata effettivamente esercitata (ed al quale dunque spetterebbe anche l'applicazione delle suddette sanzioni, comunque dovuto, come illustrato, anche per i fatti precedenti all'entrata in vigore della novella sui quali non si sia già formato il giudicato penale). 5.4.3 Sotto altro profilo potrebbe invece ritenersi comunque applicabile, anche oltre il limite dell'intervenuta definitività della sentenza di condanna, il principio di insensibilità delle statuizioni civili alle vicende della regiudicanda penale qualora il fatto già costituente reato continui ad integrare un illecito per cui è prevista l'irrogazione di una sanzione punitiva, con conseguente applicazione analogica dell'art. 578 c.p.p., e della disposizione di cui al d.lgs. n. 8 del 2016, art. 9, in quanto ritenuti espressione del suddetto principio generale, prospettandosi in tal senso un limite al principio di accessorietà dell'azione civile nel giudizio di impugnazione.

Di rilievo i passaggi della motivazione sviluppati ai punti da 5.1 a 5.3.1 dell'ordinanza, a cui si rinvia.

La tesi favorevole alla revoca delle statuizioni civili

L'indirizzo contrario (sostenuto da Sez. V, n. 15634 del 19 febbraio 2016; Sez. V, n. 14044 del 9 marzo 2016; Sez. V, n. 16147 del 1 aprile 2016; Sez. II, n. 26091 del 10 giugno 2016) oppone i seguenti argomenti:

  1. il testo della legge ammette la possibilità per il giudice dell'impugnazione di pronunciarsi sulle statuizioni civili solo nei casi disciplinati dal d.lgs. 8/2016 che è di univoca interpretazione ed indice della specifica volontà del Legislatore di ammettere tale potere limitatamente alle ipotesi di reato trasformate in illeciti amministrativi e non anche per quelle abrogate ai sensi del d.lgs. 7/2016;
  2. l'art. 578 c.p.p.norma eccezionale di stretta interpretazione come già ritenuto da quegli orientamenti che ne hanno escluso l'applicabilità nel caso di estinzione del reato per morte dell'imputato (Sez. III n. 22038 del 12 febbraio 2003) ovvero sottolineato il carattere speciale della disciplina non suscettibile di applicazione analogica (Sez. IV, n. 31314 del 23 giugno 2005);
  3. si tratta di norma non suscettibile di applicazione analogica anche secondo l'orientamento della Corte costituzionale che con sentenza n. 12 del 2016 ha affermato che l'art. 538, comma 1, c.p.p. collega in via esclusiva la decisione sulla domanda della parte civile alla condanna dell'imputato, con l'unica eccezione -fortemente circoscritta- stabilita dall'art.578, cod. proc. pen. riguardante il giudizio di impugnazione. Il collegamento istituito dall'art. 538 c.p.p. tra decisione sulle questioni civili e condanna dell'imputato riflette il carattere accessorio e subordinato dell'azione civile proposta nel processo penale rispetto agli obiettivi propri dell'azione penale: obiettivi che si focalizzano nell'accertamento della responsabilità penale dell'imputato;
  4. la possibilità per il giudice dell'impugnazione di confermare le statuizioni civili farebbe venir meno l'applicazione della sanzione pecuniaria civile irrogabile esclusivamente all'esito del giudizio per il risarcimento del danno; e difatti nel raffronto tra le due discipline dettate dai diversi decreti non si rinviene il presupposto dell'eadem ratio poiché mentre nel caso di depenalizzazione a norma del d.lgs 8, la sanzione prevista è irrogata dall'autorità amministrativa, sicché il legislatore ha attribuito al giudice dell'impugnazione penale il compito di provvedere sulle statuizioni civili, nel caso di abrogazione a norma del d.lgs. 7 la sanzione pecuniaria civile è irrogata dal giudice competente a conoscere dell'azione di risarcimento del danno.
In conclusione

I due diversi orientamenti sono così compendiati nell'ordinanza n. 26092 del 15 giugno 2016 (dep. il 22 giugno 2016) della seconda Sezione penale della suprema Corte che ha rimesso la questione alle Sezioni unite penali proponendo il seguente quesito di diritto: Se, in caso di condanna pronunciata per un reato successivamente abrogato e configurato quale illecito civile ai sensi dell'art. 4, d.lgs. 7 del 2016, il giudice dell'impugnazione, nel dichiarare che il fatto non è più previsto dalla legge come reato, possa decidere sull'impugnazione ai soli effetti civili ovvero debba revocare le statuizioni civili.

Il primo Presidente della Corte suprema di cassazione ha assegnato il ricorso alle Sezioni unite penali, fissando per la trattazione l'udienza del 29 settembre 2016.

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