Successione di leggi. È più favorevole il fatto previsto come fattispecie autonoma o come attenuante?

Paolo Pittaro
21 Dicembre 2015

Nella successione delle leggi penali nel tempo, a parità della pena edittale ed a seguito di una valutazione in concreto, è più favorevole la norma che prevede il fatto come fattispecie di reato rispetto a quella che lo prevede come circostanza attenuante c.d. autonoma.
Massima

Nella successione delle leggi penali nel tempo, a parità della pena edittale ed a seguito di una valutazione in concreto, è più favorevole la norma che prevede il fatto come fattispecie di reato rispetto a quella che lo prevede come circostanza attenuante c.d. autonoma, in quanto, in tale ultima ipotesi, il reato base prevede limiti edittali più severi, entro i quali deve orientarsi il giudice nella sua discrezionalità secondo i criteri dell'art. 133 c.p. e della funzione rieducativa della pena.

Il caso

In data 11 febbraio 2014 l'imputato era stato condannato in appello alla pena di anni uno di reclusione ed euro 3.000 di multa, ritenendo l'ipotesi di cui al d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309, art. 73, comma 5, perché offriva e deteneva a fini di spaccio grammi 76,254 di hashish dai quali erano ricavabili 144 dosi.

Con il ricorso per Cassazione lamentava, con il primo motivo, la violazione della legge penale e il difetto di motivazione, in quanto non era stata ritenuta credibile la dichiarazione di un teste a discarico, mentre, con il secondo motivo, deduceva violazione della legge penale per difetto di motivazione in relazione alla determinazione della pena sul rilievo che, essendo stata la pena comminata in misura elevata rispetto al minimo edittale, erano stati, da un lato, disattesi i criteri indicati nell'art. 133 c.p. e, dall'altro, alcuna motivazione si rinveniva quanto alla applicazione della pena considerevolmente superiore al minimo edittale.

La suprema Corte respinge il primo motivo, in quanto la ratio decidendi della sentenza impugnata aveva fondato l'affermazione di responsabilità su decisive circostanze a carico del imputato e del tutto trascurate con il motivo del ricorso, mentre rileva la fondatezza del secondo motivo: ed è su questo che intendiamo soffermarci.

Invero, il quadro normativo del Tu delle leggi in materia di stupefacenti (d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309) e, in particolare del comma 5 dell'art. 73, relativo alla lieve entità dei fatti (per i mezzi, la modalità o le circostanze dell'azione ovvero per la qualità e quantità delle sostanze) è stato oggetto di varie modifiche nel tempo.

Rispetto alla disciplina originale del 1990, che prevedeva per le sostanze c.d. leggere la reclusione da sei mesi a quattro anni e la multa da 1.032 a 10.329 euro, la pena è stata dapprima mutata dal d.l. 30 dicembre 2005 n. 272, convertito, con modificazioni, dalla l. 21 febbraio 2006 n. 49, che prevedeva, senza distinzione fra le sostanze c.d. leggere e quelle c.d. pesanti, la reclusione da uno a sei anni e la multa da euro 3.000 a euro 26.000, e poi dalla l. 15 marzo 2010 n. 38 ed il successivo d.lgs. 24 marzo 2011 n. 50, ove venivano riconfermate le medesime sanzioni. Ha fatto poi seguito il d.l. 23 dicembre 2013 n. 146, convertito nella l. 21 febbraio 2014 n. 10, il quale disponeva le pene della reclusione da uno a cinque anni e della multa da euro 3.000 a euro 26.000. Ed è dunque vigente tale ultima normativa che è intervenuta la decisione della Corte d'appello di cui trattasi.

Successivamente è intervenuta la sentenza della Corte costituzionale, con sentenza del 12 febbraio 2014 n. 32, la quale, dichiarando l'illegittimità costituzionale degli artt. 4-bis e 4-viciester, del citato d.l. 272 del 2005, convertito nella l. 49 del 2006, ha ripristinato la normativa anteriormente vigente, con la relativa distinzione sulla natura delle sostanze stupefacenti (nel nostro caso: reclusione da sei mesi a quattro anni e multa da euro 1.032 a euro 10.329).

Infine, è intervenuto il d.l. 20 marzo 2014, n. 36, convertito nella l. 16 maggio 2014, n. 79, che ha stabilito i medesimi limiti edittali (reclusione da sei mesi a quattro anni e multa da euro 1.032 a euro 10.329), con l'unica e sostanziale differenza che, mentre l'intervento della Corte costituzionale ha lasciato immutato il regime giuridico della fattispecie (circostanza attenuante), lo ius superveniens ha modificato il modello legale, trasformando la fattispecie da circostanza attenuante a titolo di reato.

In definitiva, da questo complesso quadro si ricava che quando i giudici del merito hanno determinato il trattamento sanzionatorio, essi hanno tenuto conto della cornice edittale allora vigente (da uno a cinque anni di reclusione e da euro 3.000 ad euro 26.000 di multa), intesa come circostanza del reato base, prevista dal d.l. 23 dicembre 2013, n. 146, ed ovviamente non potevano tenere conto né della successiva sentenza n. 32 del 2014 della Corte costituzionale, né del d.l. 20 marzo 2014, n. 36, convertito nella l. 16 maggio 2014, n. 79, che ha stabilito la pena della reclusione da sei mesi a quattro anni, ma come fattispecie autonoma di reato.

Donde l'annullo con rinvio da parte della Cassazione, la quale ha stabilito che il giudice del rinvio dovrà procedere ad una rimodulazione del trattamento sanzionatorio complessivo, tenendo conto che quanto più il giudice si avvicina al massimo edittale, tanto più stringente deve essere per lui l'obbligo di motivazione circa l'esercizio del potere discrezionale conferitogli dalla legge, con la conseguenza che compete al giudice di merito stabilire se, in conseguenza del trattamento più favorevole sopravvenuto, la sanzione in concreto irrogata sia o meno congrua in relazione ai parametri fissati nell'art. 133 cod. pen. e rispettosa dei principi fissati nell'art. 27, comma 3, Cost.

Ovviamente rimane il problema di stabilire quale sia la legge più favorevole, posto che ambedue le norme sopravvenute (quella previgente dopo la sentenza della Consulta e quella del d.l. 20 marzo 2014, n. 36) prevedono sì la medesima forbice edittale, ma l'una intesa come circostanza e l'altra come fattispecie di reato.

La questione

La questione in esame è la seguente: nella successione delle leggi penali nel tempo, a parità di pena edittale, è più favorevole la normativa che preveda il fatto come circostanza c.d. autonoma o quella che lo configuri fattispecie di reato?

Le soluzioni giuridiche

La Cassazione ha seguito la seconda alternativa.

Innanzi tutto ha richiamato il principio secondo il quale la valutazione volta ad accertare se una disposizione di legge sopravvenuta sia più favorevole rispetto a quella preesistente deve essere fatta in concreto e non in astratto, specialmente quando la nuova norma, per il suo contenuto, non opera automaticamente in maniera più favorevole nei confronti della normativa previgente, potendo la disciplina di favore dipendere da un giudizio affidato ai poteri discrezionali del giudice e dalla verifica di tali presupposti. Ne discende la conseguenza che, ferme tutte le altre condizioni di favore tra le discipline sopravvenute a confronto, ossia a parità di condizioni sostanziali e processuali tra di loro, deve ritenersi più favorevole la norma che configura il fatto come titolo autonomo di reato rispetto alla fattispecie che, pur prevedendo il medesimo trattamento sanzionatorio, lo configura come circostanza attenuante di una fattispecie incriminatrice che, nella ipotesi base del modello legale di reato, preveda tuttavia limiti edittali più severi.

Osservazioni

La posizione assunta dalla Sezione III nella decisione n. 47035/2015 deve essere condivisa. Necessitano, tuttavia, alcune precisazioni.

Com'è noto, nell'ambito della successione delle leggi penali nel tempo, deve applicarsi, fino alla sentenza definitiva, la norma più favorevole come disposto dall'art. 2, comma 4, c.p.

È giurisprudenza costante che, nella pluralità delle disposizioni che si sono succedute nel tempo, l'individuazione della norma più favorevole va effettuata non in astratto, bensì in concreto (ex plurimis, per tutte, Cass. pen., Sez. I, 2 ottobre 2003, n. 40915).

Con particolare riferimento alla complessa situazione normativa mutata nel tempo in tema di stupefacenti, compresa la citata sentenza della Corte costituzionale, si è peraltro ribadito che deve ritenersi più favorevole la norma che ritiene la fattispecie come ipotesi autonoma di reato, in quanto il regime sanzionatorio si rivela di maggior favore per reo sia per le “droghe pesanti” sia per le droghe leggere (Cass. pen., Sez. III, 12 giugno 2014, n. 27955; Cass. pen., sSez. IV, 20 giugno 2014, n. 42233).

Tuttavia, proprio perché la comparazione va effettuata in concreto, deve porsi attenzione ai risultati che l'applicazione dell'una o dell'altra disposizione potrebbero comportare per il reo, in riferimento alla sua situazione giuridica complessiva (Cass. pen., Sez. IV. 25 settembre 2014, n. 4415).

Infatti, si è rilevato che la fattispecie della lieve entità per le sostanze stupefacenti, trasformata da circostanza attenuante a reato autonomo, potrebbe rivelarsi per le sole droghe c.d. leggere di maggior favore l'originaria previsione della circostanza attenuante ad effetto speciale, laddove essa sia giudicata prevalente rispetto ad eventuali aggravanti nonché alla recidiva (Cass. pen.,Sez. IV, 24 ottobre 2014, n. 49754; Cass., sez. IV, 26 settembre 2014, n. 44119; Cass., sez, III, 12 giugno 2014, n. 27952), tenuto conto (come è doveroso specificare) che la Corte costituzionale, con la sentenza 15 novembre 2012 n. 251 ha dichiarato costituzionalmente illegittimo il quarto comma dell'art. 69 c.p., nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all'art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309 del 1990, sulla recidiva di cui al quarto comma dell'art. 99 c.p. Contra, sia pur in riferimento alle droghe pesanti, Cass., sez. IV, 24 ottobre 2014, n. 50047.

In definitiva, la soluzione imposta dalla suprema Corte nella sentenza in commento deve essere letta nel suo contesto fattuale, ossia ove nulla, nella situazione concreta e giuridicamente valutabile, potesse far ritenere l'ipotesi della circostanza attenuante più favorevole di quella della fattispecie autonoma di reato. In assenza di tali rilievi, e sul piano dommatico, allora considerare l'ipotesi del reato autonomo appare più favorevole, in quanto la circostanza attenuante rinvia, di per sé, ad un reato base con una pena più consistente.

Infine, posto che la Corte d'appello aveva deliberato alla stregua di una fattispecie con pena edittale più elevata, da parte del giudice di rinvio dovrà necessariamente riconsiderarsi l'entità della pena alla stregua dei criteri di cui all'art. 133 c.p.

Peraltro, posto che il ricorrente aveva lamentato l'assenza di motivazione, avendo il giudice irrogato una pena più elevata del minimo edittale, correttamente la suprema Corte afferma che quanto più il giudice si distanzia da tale minimo, tanto più serrata deve essere la motivazione sull'uso di tale potere discrezionale (nello stesso senso, Cass. pen., Sez. VI, 12 giugno 2008, n. 35346, proprio in relazione alla fattispecie attenuata del Tu sostanze stupefacenti; cui adde, in generale, Cass., sez, III, 25 ottobre 2007, n. 44954, in Cass. pen., 2008, 4187), abbandonando l'impiego delle c.d. formulette “pigre” e vuote di significato.

Guida all'approfondimento

In relazione al complesso susseguirsi delle varie normative che, nel tempo, hanno coinvolto il T.U. sulla disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, si veda A. Della Bella-F. Viganò, Quadro storico del testo dell'art. 73 del 9 ottobre 1990 n. 309, in penalecontemporaneo.it., 27 febbraio 2014, comprensivo della sentenza della Corte costituzionale 12 febbraio 2014 n. 32, al quale adde,per la successiva innovazione normativa, F. Viganò, Convertito in legge il d.l. n. 36/2014 in materia di disciplina degli stupefacenti, con nuove modifiche (tra l'altro) al quinto comma dell'art. 73, ivi, 19 maggio 2014.

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