Incostituzionale l'automatica cessazione del servizio per il militare che abbia subito l'interdizione temporanea dai pubblici uffici

Redazione Scientifica
21 Dicembre 2016

La Corte costituzionale con sentenza n. 268, depositata il 15 dicembre 2016, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale degli articoli 866, comma 1, 867, comma 3, e 923, comma 1, lett. i) del codice dell'ordinamento militare, nella parte in cui non prevedono l'instaurarsi del procedimento disciplinare per la cessazione dal servizio per perdita del grado conseguente alla pena accessoria della interdizione temporanea dai pubblici uffici.

La Corte costituzionale con sentenza n. 268, depositata il 15 dicembre 2016, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale degli articoli 866, comma 1, 867, comma 3, e 923, comma 1, lett. i) del codice dell'ordinamento militare, nella parte in cui non prevedono l'instaurarsi del procedimento disciplinare per la cessazione dal servizio per perdita del grado conseguente alla pena accessoria della interdizione temporanea dai pubblici uffici.

Per effetto del congiunto operare di tali norme, infatti, il militare che abbia subito una condanna penale, non condizionalmente sospesa, per la quale è prevista la pena accessoria della interdizione dei pubblici uffici, cessa automaticamente e definitivamente dal servizio a partire dal passaggio in giudicato della sentenza di condanna.

A detta dei giudici della Consulta, tale meccanismo vìola l'art. 3 della Costituzione per contrasto con il canone di ragionevolezza e proporzionalità, oltreché con il principio di eguaglianza.

Ribadiscono, infatti, i giudici delle leggi che la sanzione disciplinare deve essere graduata secondo i canoni di ragionevolezza, proporzionalità e adeguatezza al caso concreto e non può costituire l'effetto automatico e incondizionato di una condanna penale, neppure quando si tratti di un rapporto di servizio del personale militare. Un simile automatismo può giustificarsi solo in casi eccezionali, quando la fattispecie penale abbia contenuto tale da essere radicalmente incompatibile con il rapporto di impiego o di servizio, come ad esempio quella sanzionata anche con la pena accessoria dell'interdizione dai pubblici uffici di cui all'art. 28, comma 2, c.p. o dell'estinzione del rapporto di impiego ex art. 32-quinquies c.p.

Ancora, per la Corte, la disciplina impugnata contrasta con il principio di uguaglianza in quanto sottopone ad un ingiustificato trattamento deteriore l'appartenente all'arma dei carabinieri rispetto ai dipendenti dello Stato e di altre amministrazioni pubbliche, nei confronti dei quali il Legislatore ha disposto l'assoluto divieto di destituzioni di diritto rispetto ai dipendenti dello Stato ex art. 9, l. 19/1990.

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