La Corte di cassazione torna sul c.d. abuso di ufficio non patrimoniale

Maria Hilda Schettino
22 Febbraio 2017

La Corte di cassazione dedica particolare attenzione alla disamina dei criteri di configurabilità dell'elemento oggettivo del reato di abuso di ufficio, in relazione ai profili della sussistenza o insussistenza, nel caso di specie, di una violazione di legge e di un danno ingiusto ascrivibili agli imputati.
Massima

In tema di reato di abuso di ufficio, il danno ingiusto può essere costituito anche dalla lesione delle prerogative parlamentari, configurabile nell'ipotesi di acquisizione di tabulati di comunicazioni relativi ad utenze riferibili a deputati o senatori, senza l'autorizzazione della Camera di appartenenza ovvero mediante l'elaborazione di tali dati. La richiesta di autorizzazione alle Assemblee parlamentari va presentata nel momento in cui emerge che le utenze telefoniche siano comunque riferibili ad un membro del Parlamento, anche nel caso in cui si tratti di intestazione formale al soggetto politico o a soggetti terzi.

Il caso

La sesta Sezione della Corte di cassazione è stata chiamata a pronunciarsi in merito agli elementi costitutivi del delitto di abuso di ufficio, disciplinato dall'art. 323 c.p., con particolare riguardo – nell'ambito degli elementi oggettivi del reato – alla natura del danno ingiusto.

Ai due imputati, un pubblico ministero e il suo consulente tecnico, era stata mossa l'accusa di avere acquisito, elaborato e trattato illecitamente i tabulati telefonici relativi ad alcune utenze riconducibili a parlamentari ed ex-parlamentari, agendo in concorso tra loro nell'ambito di un procedimento penale in fase di indagini preliminari.

La condotta degli imputati era stata tenuta in violazione dell'art. 4, l. 20 giugno 2003, n. 140, ai sensi del quale, quando occorre eseguire intercettazioni nei confronti di un membro del Parlamento, l'autorità competente deve, in via preventiva, richiederne l'autorizzazione della Camera alla quale il soggetto appartiene e aveva causato un danno ingiusto consistente nella lesione delle prerogative parlamentari, per via dell'illecita divulgazione di tabulati telefonici relativi ai politici su cui si stava indagando.

A seguito della condanna in primo grado, gli imputati erano stati assolti dalla Corte di appello con la formula perché il fatto non costituisce reato, con conseguente caducazione delle statuizioni in favore delle costituite parti civili.

I difensori di queste e del consulente tecnico imputato avevano impugnato la sentenza di appello che la suprema Corte ha annullato parzialmente, rinviando al giudice civile competente per valore in grado di appello affinché accertasse, agli effetti civili, la sussistenza dell'elemento psicologico del reato contestato, atteso il decorso del termine di prescrizione dello stesso.

La questione

Con la sentenza in commento la Corte di cassazione, tra le numerose questioni avanzate nei motivi di ricorso proposti dalle difese, dedica particolare attenzione alla disamina dei criteri di configurabilità dell'elemento oggettivo del reato di abuso di ufficio, in relazione ai profili della sussistenza o insussistenza, nel caso di specie, di una violazione di legge e di un danno ingiusto ascrivibili agli imputati.

In particolare, con riguardo a questo secondo aspetto, la suprema Corte, dando seguito a un orientamento ormai consolidato nella giurisprudenza di legittimità, individua una nuova ipotesi nella quale si verifica il c.d. abuso di ufficio non patrimoniale.

Le soluzioni giuridiche

La prima questione affrontata dalla suprema Corte attiene alla configurabilità della violazione di legge con riferimento alla disciplina in materia di garanzie per i membri del Parlamento da indebite invadenze del potere giudiziario, prevista dall'art. 68, comma 3, Cost. e dall'art. 4, l. 20 giugno 2003, n. 140, che ne costituisce attuazione.

Nell'interpretazione di queste norme, la giurisprudenza di legittimità e quella costituzionale hanno da sempre chiarito il principio secondo il quale, nel caso in cui debbano essere eseguite intercettazioni telefoniche nei confronti di un parlamentare, non solo in qualità di indagato ma anche in qualità di persona offesa o informata sui fatti, su utenze o luoghi a lui appartenenti o comunque nella sua disponibilità, le stesse debbano essere preventivamente autorizzate dalla Camera di appartenenza.

La sesta Sezione precisa che tale principio vale sia quando le captazioni siano rivolte in modo diretto nei confronti di un parlamentare, sia quando oggetto delle stesse sia un interlocutore abituale del membro del Parlamento, in un contesto tale da far ritenere che le intercettazioni possano essere indirettamente volte a carpire le conversazioni di quest'ultimo.

Va, infatti, osservato che la norma costituzionale vieta di sottoporre ad intercettazione senza autorizzazione, non le utenze del parlamentare ma proprio le sue comunicazioni.

Perciò, ai fini dell'operatività del regime dell'autorizzazione preventiva stabilito dall'art. 68, comma 3, Cost., ciò che conta non è la titolarità o disponibilità dell'utenza captata ma la direzione dell'atto di indagine: se, in concreto, questo è volto ad accedere alla sfera di comunicazioni del parlamentare, l'intercettazione non autorizzata è illegittima, a prescindere dal fatto che il procedimento riguardi terzi o che le utenze sottoposte a controllo appartengano a terzi.

L'oggetto della tutela garantita dalla Costituzione e dalla legislazione ordinaria, infatti, non è la riservatezza delle comunicazioni del parlamentare quale persona fisica – già riconosciuta e protetta dall'art. 15 Cost. – e, come tale, soggetto di diritti, bensì è la tutela del libero esercizio della funzione parlamentare.

L'art. 68, comma 3, Cost. vuole impedire che l'ascolto di colloqui riservati da parte dell'autorità giudiziaria possa essere indebitamente finalizzato ad incidere sullo svolgimento del mandato elettivo, diventando fonte di condizionamenti e pressioni sulla libera esplicazione dell'attività parlamentare.

Pertanto i destinatari di una siffatta tutela sono le Assemblee parlamentari nel loro complesso e non i singoli parlamentari, perché ciò che si vuole preservare è la funzionalità, l'integrità di composizione e la piena autonomia decisionale, rispetto ad indebite invadenze del potere giudiziario.

Alla luce di queste considerazioni, la Corte ha affermato che, se dagli atti di indagine risultavano elementi dai quali desumere la riferibilità delle utenze ad alcuni parlamentari, da un punto di vista oggettivo gli imputati avevano il dovere di chiedere all'Assemblea di riferimento l'autorizzazione preventiva per effettuare le intercettazioni, pena la violazione di quanto prescritto dall'art. 4, l. 20 giugno 2003, n. 140.

D'altro canto, la soluzione alternativamente prospettabile – in forza della quale sarebbe stato possibile procedere all'acquisizione dei tabulati nonostante la preesistente disponibilità negli atti di indagine di elementi indicativi della riferibilità delle utenze interessate ai membri del Parlamento e, solo all'esito di una verifica sul contenuto delle risultanze acquisite, chiedere un'autorizzazione ex post alla Camera di appartenenza – non sarebbe stata sostenibile per un duplice ordine di ragioni.

In primo luogo, ammettere l'acquisibilità dei tabulati e il controllo dei dati risultanti dagli stessi prima di chiedere l'autorizzazione alla Camera o al Senato, nelle condizioni di fatto indicate, avrebbe significato rendere vana l'esigenza di salvaguardare l'esercizio delle funzioni parlamentari da condizionamenti e pressioni, in contrasto con il fondamento della garanzia costituzionale di cui all'art. 68, comma 3, Cost. perché sarebbe comunque stata incisa la sfera di libertà del deputato o del senatore rispetto ai controlli.

Dunque, l'autorizzazione a posteriori avrebbe, di fatto, avuto un rilievo ai soli fini dell'utilizzabilità̀ processuale degli atti acquisiti.

Inoltre, ad ulteriore conferma di questa conclusione, l'art. 6, l. 20 giugno 2003, n. 140, in relazione alle intercettazioni “casuali” di parlamentari fisiologicamente già effettuate, stabilisce che in caso di negata autorizzazione ex post da parte della Camera competente, i verbali, le registrazioni e i tabulati delle comunicazioni captate vadano immediatamente distrutti e siano, ovviamente, inutilizzabili.

La seconda questione esaminata dalla suprema Corte riguarda, poi, la sussistenza o meno di un danno ingiusto come conseguenza della violazione di legge posta in essere dagli imputati.

I giudici di legittimità hanno, infatti, dovuto verificare se l'acquisizione, elaborazione e trattazione dei tabulati di comunicazioni relative alle utenze dei parlamentari abbia prodotto un danno ingiusto per gli stessi, danno consistente nella conoscibilità di dati esterni di traffico telefonico loro riferibili, in assenza di un previo vaglio e di un'autorizzazione preventiva da parte della Camera di appartenenza.

Il ragionamento compiuto dai giudici di legittimità per dare risposta a questo secondo quesito prende le mosse da un costante orientamento giurisprudenziale secondo cui in tema di abuso di ufficio, la nozione di danno ingiusto, cui si riferisce l'art. 323 c.p., non può intendersi limitata solo a situazioni soggettive di carattere patrimoniale e nemmeno a diritti soggettivi perfetti ma riguarda anche l'aggressione ingiusta alla sfera della personalità per come tutelata dalle norme costituzionali.

In particolare, in una sua recente pronuncia, la quinta Sezione della suprema Corte aveva chiarito che nel delitto di abuso di ufficio, l'evento del danno ingiusto fosse realizzato da ogni comportamento, espressione della volontà prevaricatrice del pubblico funzionario, che avesse determinato un'aggressione ingiusta alla sfera della personalità, per come tutelata dai principi costituzionali, anche quando detta aggressione fosse derivata dall'esercizio indebito di poteri investigativi o coercitivi (Cfr.: Cass. pen., Sez. V, 19 febbraio 2014, n. 32023; nonché Cass. pen., Sez. VI, 26 marzo 2003, n. 35127; Cass. pen., Sez. VI, 4 febbraio 2003, n. 9970; Cass. pen., Sez. VI, 2 ottobre 1998, n.11549).

Dunque, muovendo da questi presupposti la Corte ha affermato che il danno ingiusto, elemento costitutivo del reato di abuso di ufficio, può consistere anche nella lesione delle prerogative parlamentari, compiuta mediante l'adozione di un provvedimento di acquisizione, agli atti di un procedimento penale, di dati ottenuto in violazione delle guarentigie riconosciute al membro del Parlamento, ovvero mediante l'elaborazione di tali dati, illegittimamente acquisiti, da parte del magistrato o di un suo collaboratore.

In particolare, questi eventi, anche se non hanno comportato un danno patrimoniale, si sono presentati come ingiusti perché immediatamente lesivi della sfera delle prerogative attribuite dalla Costituzione al parlamentare non uti singulus, ma quale membro dell'Assemblea, a tutela della sua libertà da interferenze in ordine allo svolgimento del mandato elettivo e, quindi, da condizionamenti e pressioni incidenti sull'autonoma esplicazione della sua attività istituzionale che provengano da indebite invadenze del potere giudiziario.

Osservazioni

La pronuncia in commento ha il pregio di individuare una nuova ipotesi in cui si configura quello che è stato definito un abuso di ufficio non patrimoniale.

È cosa nota che l'abuso di ufficio si presenta come un reato di evento il cui nucleo centrale consiste nell'effettiva produzione di un ingiusto vantaggio patrimoniale che il soggetto attivo con i suoi atti procura a se stesso o ad altri o, in alternativa, di un danno ingiusto che quei medesimi atti producano a terzi.

Stando alla formulazione normativa, dunque, mentre l'ingiusto vantaggio può avere solo natura patrimoniale e si realizza al verificarsi di una situazione favorevole per il complesso dei diritti soggettivi a contenuto patrimoniale riferibili a un determinato soggetto, indipendentemente dall'effettivo incremento economico, l'evento di danno è enunciato senza alcuna specificazione circa la sua natura.

Pertanto, la nozione di danno ingiusto cui si riferisce l'art. 323 c.p., non può intendersi limitata solo a situazioni soggettive di carattere patrimoniale e nemmeno a diritti soggettivi perfetti, ma riguarda anche l'aggressione ingiusta alla sfera della personalità per come tutelata dalle norme costituzionali (Cfr.: Cass. pen., Sez. VI, 7 luglio 2016, n. 39452; Cass. pen., Sez. VI, 6 febbraio 2004, n. 4945). Ciò, in particolare, anche quando detta aggressione deriva dall'esercizio indebito di poteri investigativi.

Da tali premesse, essendo il danno ingiusto un elemento costitutivo del reato di abuso di ufficio, la Corte rileva che esso possa essere costituito anche dalla lesione delle prerogative parlamentari, compiuta mediante l'adozione di un provvedimento di acquisizione, agli atti di un procedimento penale, di dati ottenuti in violazione delle guarentigie riconosciute al membro del Parlamento, ovvero mediante l'elaborazione di tali dati, illegittimamente acquisiti, da parte del magistrato o di un suo collaboratore.

In tal caso si configura un danno ingiusto perché immediatamente lesivo della sfera di prerogative attribuite dalla Costituzione al parlamentare non uti singulus ma quale membro dell'Assemblea, a tutela della sua libertà da interferenze in ordine allo svolgimento del mandato elettivo.

Tuttavia, ai fini della sussistenza del reato di cui all'articolo 323 c.p., è necessario verificare se l'evento - di vantaggio o - di danno sia ingiusto in sé e non soltanto come riflesso della violazione di norme da parte del pubblico ufficiale.

Gli elementi dell'illegittimità della condotta e dell'ingiustizia del dannosono dunque distinti e il giudice penale deve verificare, volta per volta, la sussistenza di entrambi, compiendo una valutazione di ingiustizia differenziata e autonoma rispetto a quella che, attraverso l'abusività, coinvolge il mezzo impiegato, dovendo essere espunti dall'area dell'illecito penale i comportamenti abusivi finalizzati a procurare un vantaggio o un danno conforme al diritto (Cfr. Trib. Campobasso, 17 maggio 2016).

Il vantaggio e il danno, per essere penalmente rilevanti, devono essere ingiusti e, cioè, rispondere alla doppia condizione di essere prodotti non iure - senza un fondamento giuridico e per mezzo di un atto illegittimo - e di essere contra ius - contrari all'ordinamento.

Recentemente la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che ai fini dell'integrazione del delitto in parola deve sussistere la c.d. doppia ingiustizia, nel senso che ingiusta deve essere la condotta, in quanto connotata da violazione di legge, e ingiusto deve essere l'evento di vantaggio patrimoniale o danno, in quanto non spettante in base al diritto oggettivo regolante la materia; sicché occorre una duplice distinta valutazione in proposito, non potendosi far discendere l'ingiustizia di tale vantaggio o danno dalla illegittimità del mezzo utilizzato e, quindi, dall'accertata esistenza dell'illegittimità della condotta (Cfr.: Cass. pen., Sez. VI, 17 febbraio 2015, n. 10133; Cass. pen., Sez. VI, 16 aprile 2013, n. 17345).

La sesta Sezione rileva, infatti, come nel caso di specie il danno ingiusto evidenziato, costituito dalla lesione delle prerogative parlamentari, conservi una sua autonomia rispetto alla condotta illegittima, ponendosi come l'effetto e il risultato offensivo di quest'ultima e, quindi, assuma chiaramente natura di evento causalmente determinato dalla seconda, sia pure configurandosi quale evento giuridico.

In questo modo, resta così rispettato il requisito della cd. doppia ingiustizia, che postula una distinta e autonoma valutazione dell'illegalità della condotta e dell'antigiuridicità del danno – o del vantaggio patrimoniale – ma non richiede che quest'ultima derivi da una violazione di legge o di regolamento diversa da quella inficiante la condotta.

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