Coltivazione di sostanze stupefacenti: è sempre necessario accertare l'offensività in concreto della condotta

22 Marzo 2016

Ai fini della condanna per il reato di coltivazione illegale di piante destinate alla produzione di sostanze stupefacenti di cui all'art. 73, comma 1, d.P.R. 309/1990, è sufficiente accertare la mera appartenenza della pianta alla specie botanica vietata oppure occorre verificare l'effettiva e attuale capacità drogante del vegetale sequestrato?
Massima

Ai fini della punibilità del reato di coltivazione di sostanze stupefacenti non è sufficiente verificare la messa a coltura di una pianta appartenente ad una delle specie botaniche vietate, dovendo sussistere anche l'offensività in concreto della condotta posta in essere.

Il caso

La Corte di appello confermava la condanna di Tizio per il reato di cui all'art. 73, comma 5, del d.P.R. 309 del 1990 per l'illegale coltivazione di nove piante di cannabis indaca. Con il ricorso per Cassazione, l'imputato sosteneva che la condotta non presentava una reale idoneità lesiva, perché le piante in questione non avevano alcun effetto drogante. Come era stato accertato da un'indagine tecnica della polizia giudiziaria, infatti, contenevano un principio attivo medio pari solo allo 0,1%. Lamentava, inoltre, che non era stata consentita l'esibizione delle piante, atto istruttorio richiesto dalla difesa, da cui sarebbe emerso che si trattava di “piantine” contenute in bicchierini da caffè, non giunte a maturazione.

La questione

La decisione affronta una questione frequente nella pratica: ai fini della condanna per il reato di coltivazione illegale di piante destinate alla produzione di sostanze stupefacenti di cui all'art. 73, comma 1, d.P.R. 309 del 1990, è sufficiente accertare la mera appartenenza della pianta alla specie botanica vietata oppure occorre verificare l'effettiva e attuale capacità drogante del vegetale sequestrato? In altri termini, può ritenersi pericolosa per la salute pubblica la condotta di coltivazione anche prima che il prodotto sia giunto a maturazione o, comunque, prima che la pianta contenga una significativa percentuale di principio attivo?

Le soluzioni giuridiche

La Corte premette che la condotta di coltivazione di piante da cui sono estraibili sostanze stupefacenti è reputata pericolosa in quanto idonea ad attentare al bene della salute dei singoli, creando occasioni di spaccio di droga e aumentando la provvista della sostanza illecita. La disposizione incrimina un reato di pericolo presunto che, come ha precisato la Corte costituzionale con la sentenza n. 360 del 1995, presuppone comunque la necessità di ravvisare l'offensività anche in concreto, almeno in grado minimo, nella singola condotta dell'agente, in difetto di ciò venendo la fattispecie a rifluire nella figura del reato impossibile.

Le Sezioni unite della Corte di cassazione, con la sentenza n. 28605/2008, intervenendo sullo specifico tema in esame dopo la riforma della disciplina degli stupefacenti ad opera del d.l. 272 del 2005, convertito nella legge 49 del 2006, hanno affermato che la coltivazione di piante destinate alla produzione di stupefacenti è sempre punibile, anche quando sia realizzata per la destinazione del prodotto ad uso personale, perché esula dalle fattispecie sanzionate solo in via amministrativa ai sensi dell'art. 75 del d.P.R. 309 del 1990. Anche questa decisione, però, ha riconosciuto il bisogno di verificare in concreto l'offensività della condotta di coltivazione, accertando l'idoneità della sostanza ricavata a produrre un effetto drogante rilevabile.

La condotta incriminata, infatti, si caratterizza, rispetto anche agli altri delitti in materia di stupefacenti, per la notevole anticipazione della soglia di tutela penale, risolvendosi nella punizione di un pericolo del pericolo. La sanzione penale deriva dal timore che tale condotta possa arrecare in futuro un pericolo alla salute degli assuntori.

La natura di reato di pericolo presunto, dunque, non è incompatibile con l'accertamento in concreto dell'offensività della condotta. Anzi proprio tale verifica garantisce il rispetto dei canoni costituzionali, impedendo la punizione di una mera disobbedienza.

Il principio di offensività, invero, opera su due livelli. La verifica del suo rispetto, infatti, rappresenta un limite di rango costituzionale alla discrezionalità del legislatore nel perseguire penalmente condotte contraddistinte da un giudizio di disvalore; nello stesso tempo, incide anche sull'accertamento giudiziale, che deve avere ad oggetto la dimostrazione che il fatto reato abbia effettivamente leso o messo in pericolo il bene tutelato.

Spetta, quindi, al giudice verificare se la condotta oggetto dell'imputazione sia o meno idonea a porre a repentaglio il bene giuridico protetto, accertando la potenziale lesività della pianta, avendo riferimento all'attualità e non alla futura ed eventuale capacità di mettere in pericolo il bene tutelato. Occorre verificare, pertanto, se la pianta ha un'effettiva e attuale e non meramente potenziale capacità drogante.

La coltivazione, peraltro, è punita penalmente anche se fosse destinata all'uso personale, perché è sanzionata in ragione dell'obiettiva capacità di aumentare la disponibilità della droga e della sua ulteriore diffusione. Va comunque accertata la sussistenza dell'offensività in concreto, nel senso che anche in presenza del perfezionamento dell'azione tipica, il giudice deve escludere la punibilità, se la condotta posta in essere risulti inoffensiva, circostanza che ricorre quando il vegetale non contenga un apprezzabile quantitativo di principio attivo.Non basta, invece, il mero accertamento della coltivazione di una pianta conforme al tipo botanico vietato.

La Corte, pertanto, ha annullato la sentenza di condanna che si era limitata a verificare l'appartenenza delle piante sequestrate all'imputato alla specie botanica vietata, reputando irrilevante che contenessero una percentuale di T.H.C. molto bassa e che non fossero giunte a maturazione, tanto che erano state definite poco più che germogli. Al giudice di merito è stato rinviato il vaglio dell'offensività in concreto della condotta.

Osservazioni

Valorizzando il principio di offensività, di cui è evidenziato il rango costituzionale, la decisione in commento ha affermato che, ai fini della punibilità del reato di coltivazione di stupefacenti, occorre accertare in concreto l'effettiva capacità drogante del vegetale. Questa verifica, di natura tecnica, va compiuta all'attualità, dunque con riferimento allo stato di maturazione raggiunto dalla pianta al momento della sua scoperta, senza considerare la futura ed eventuale capacità di mettere in pericolo il bene tutelato in ragione della presumibile crescita naturale.

Nello stesso solco interpretativo si è posta la successiva pronuncia della suprema Corte n. 5254/2016, che si segnala anche perché illustra con chiarezza il rapporto esistente tra l'offensività della condotta, elemento costitutivo della fattispecie penale, e la disciplina della particolare tenuità del fatto di cui all'art. 131-bis c.p., introdotto dal d.lgs. 28 del 2015. Tale ultima disposizione presuppone la sussistenza di un reato perfezionatosi in tutti i suoi elementi, compresa l'offensività, la cui mancanza in concreto, invece, esclude che sia configurabile la fattispecie criminosa.

Sempre nella stessa direzione si è orientata anche la sentenza n. 3787/2016 che, peraltro, aggiunge un altro tassello interpretativo. Secondo questa decisione, infatti, l'inoffensività in concreto è ravvisabile non solo quando i quantitativi prodotti sono privi della concreta attitudine ad esercitare, anche in misura minima, effetti psicotropi ma anche quando la condotta di coltivazione sia così trascurabile da rendere sostanzialmente irrilevante l'aumento di disponibilità di droga e non prospettabile alcun pericolo di ulteriore diffusione. In questa prospettiva, non è sufficiente considerare il solo dato del quantitativo di principio attivo ricavabile dalle singole piante, in relazione al loro grado di maturazione, dovendosi esaminare anche quale sia l'estensione della coltivazione e il livello di strutturazione di tale coltivazione al fine di verificare se da essa possa o meno derivare una produzione di sostanza stupefacente potenzialmente idonea ad incrementare il mercato.

Queste sentenze si pongono in consapevole contrasto con l'indirizzo giurisprudenziale secondo cui la condotta di chi coltiva piante da cui è possibile ricavare sostanze stupefacenti è da ritenersi offensiva in rapporto all'idoneità a produrre la sostanza destinata al consumo, non rilevando la quantità di principio attivo ricavabile nell'immediatezza ma la semplice conformità del vegetale al tipo botanico vietato e la sua attitudine a giungere a maturazione, producendo la sostanza stupefacente (Cass. pen., n. 22459/2013; Cass. pen. n. 6753/2014; Cass. pen. n. 44136/2015). La condotta di coltivazione, pertanto, è ritenuta punibile fin dal momento di messa a dimora dei semi, concretizzandosi anche in questo una manifestazione della notevole anticipazione della soglia di tutela penale (cfr. Cass. pen.,Sez. un., n. 28605/2008). L'offensività in concreto, invece, mancherebbe solo quando il prodotto finale, dunque quello che ha raggiunto la maturazione, non ha alcuna capacità drogante. In questo caso, peraltro, come è stato osservato dalla recente sentenza della Corte di cassazione n. 2548/2016, la non punibilità discende dalla mancata realizzazione della fattispecie tipica che presuppone la coltivazione di una pianta con un adeguato contenuto di principio drogante.

Le decisioni illustrate, invece, confermano l'orientamento giurisprudenziale consolidato secondo cui, in tema di coltivazione, non assume alcun rilievo la destinazione all'uso personale della sostanza drogante. L'art. 75 del d.P.R. 309 del 1990, infatti, si riferisce alla condotta di detenzione e dalla sua area operativa, che comporta l'irrogazione di semplici sanzioni amministrative, sono esclude condotte diverse, tra cui la coltivazione.

Secondo l'indirizzo giurisprudenziale consolidato, inoltre, per la punibilità del reato di coltivazione non è necessario che il principio attivo contenuto nel vegetale superi i parametri fissati dal d.m. 11 aprile 2006, cui rinvia l'art. 73, comma 1, del d.P.R. n. 309 del 1990, purché sia tale da presentare una concreta idoneità a mettere in pericolo il bene tutelato (Cass. n. 21814/2010). Su questo specifico aspetto va osservato che, nella vigenza della disciplina introdotta nel 2006, i parametri trovavano applicazione solo con riferimento alla condotta di detenzione di stupefacente. La sentenza della Corte costituzionale n. 24/2014 ha dichiarato l'illegittimità delle norme che avevano novellato l'art. 73 del d.P.R. 309/1990, determinando la reviviscenza della disciplina previgente. Ne consegue che la detenzione e la coltivazione sono fattispecie ormai descritte nel medesimo comma primo della norma citata. Ciò potrebbe determinare il rilievo anche per le condotte diverse dalla mera detenzione dei parametri che consentono di presumere l'uso personale della droga.

Secondo l'indirizzo accolto dalla sentenza in commento, in conclusione, anche se la pianta messa a coltura è corrispondente al tipo botanico illecito, esulano dalla sfera dell'illecito penale le condotte di coltivazione inoffensive in concreto perché afferenti a quantitativi di stupefacente talmente tenui, quanto alla presenza di principio attivo, da non poter indurre alcuna modificazione dell'assetto neuro-psichico dell'utilizzatore.

Volendo provare a verificare in quali casi la suprema Corte ha ritenuto la condotta priva del tratto dell'offensività deve rilevarsi che ci si confronta con un panorama necessariamente molto diversificato. Soffermandosi sulle decisioni più recenti, per esempio, è stata reputata inoffensiva la coltivazione di 17 piante di canapa, da cui era possibile estrarre 1 mg. di principio attivo (Cass. pen. n. 3787/2016); quella di 2 piante di canapa, detenute insieme a 20 foglie (Cass. pen. n. 5054/2016); di 2 piante di cannabis, nelle quali era risultato presente un principio attivo pari a gr. 0,043 (Cass. pen. n. 4087/2016); di 10 piantine, alte circa 10 cm., di canapa indiana, del peso complessivo di gr. 1,092, con un principio delta-9thc di gr. 0,0013, corrispondente all'1,25% (Cass. pen. n. 906/2016).

Guida all'approfondimento

BELTRANI, Coltivazione "domestica" di piante da stupefacenti: la fine di un equivoco, in Cass. Pen., 2008, 4513;

LICATA, Coltivazione, in Licata, Recchione, Russo (a cura di), Gli Stupefacenti: disciplina ed interpretazione, Torino, 2015, 222 e ss.;

GUERRA, La coltivazione «domestica» di sostanze stupefacenti tra tipicità ed offesa, in Giur. merito, 2013, 1142;

MANES, Il nuovo art. 73 del d.p.r. n. 309/1990: nodi risolti e questioni ancora aperte, in Cass. pen., 2008, 4461;

PESTELLI, Ancora sui tormentati rapporti tra tipicità ed offensività: la problematica non punibilità delle condotte aventi ad oggetto sostanze stupefacenti c.d. prive di efficacia drogante, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2011, 637;

GENTILE, Coltivazione di stupefacenti e principio di offensività: una lettura obbligata delle disposizioni dettate dal d.P.R. 309/90, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2009, 1535.

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