La responsabilità disciplinare del pubblico ministero negligente per il ritardo nelle indagini

22 Maggio 2017

Commette un illecito disciplinare il pubblico ministero che, ritardando ingiustificatamente la propria attività di indagine, ha causato la prescrizione dei reati relativi ad un procedimento a lui assegnato, purché dal predetto ritardo ne sia derivato un ingiusto danno alla parte civile e un indebito vantaggio agli imputati, anche nel caso in cui la condotta sia ascrivibile alla sola negligenza del P.M.
Abstract

Commette un illecito disciplinare il pubblico ministero che, ritardando ingiustificatamente la propria attività di indagine, ha causato la prescrizione dei reati relativi ad un procedimento a lui assegnato, purché dal predetto ritardo ne sia derivato un ingiusto danno alla parte civile e un indebito vantaggio agli imputati, anche nel caso in cui la condotta sia ascrivibile alla sola negligenza del P.M.

Il caso in esame

A seguito di una denuncia da parte di un privato cittadino il P.M., dopo aver disposto alcune indagini, iscriveva nel registro degli indagati due persone per i reati di abuso edilizio (art. 44 del d.P.R. 380/2001) ed abuso d'ufficio (art. 323 c.p.).

A distanza di circa due anni e mezzo dalla ricezione dell'esito delle indagini il P.M. interrogava i due indagati e successivamente, trascorsi altri due anni circa, procedeva ad emettere l'avviso di conclusioni delle indagini e ad esercitare l'azione penale per entrambi i reati.

Nel corso del processo, in cui il denunciante si era costituito parte civile, i reati contestati si prescrivevano, con la conseguente sentenza di non doversi procedere per intervenuta estinzione dei reati stessi.

A seguito di questi fatti veniva iniziata l'azione disciplinare nei confronti del P.M. titolare delle indagini, a cui veniva contestata la violazione del dovere di diligenza che abbia causato un ingiusto danno o un indebito vantaggio nei confronti di una delle parti del procedimento trattato (prevista dal d.lgs. 109/2006, artt. 1 e 2, comma 1, lett. a), nonché la violazione della legge processuale relativa alle norme sull'attività di indagine derivante da negligenza inescusabile (ai sensi del d.lgs. 109/2006, art. 1 e 2, comma 1, lett. g).

Va evidenziato che dal procedimento disciplinare nei confronti del P.M. risultava da un lato che il denunciante aveva sollecitato più volte il magistrato a determinarsi tempestivamente, e dall'altro però che l'inerzia investigativa non era imputabile ad una condotta dolosa del P.M. ma solo ad una comprovata difficoltà lavorativa dovuta all'elevato carico di lavoro gravante sui magistrati in servizio, ed al difficile momento della Procura competente che era rimasta priva del Capo dell'ufficio per lungo periodo.

La condanna disciplinare del C.S.M.

La Sezione disciplinare del C.S.M., avendo riscontrato effettivamente l'inerzia del P.M. per un periodo di oltre quattro anni imputabile ad un difetto di diligenza del magistrato, lo condannava, ai sensi del d.lgs. 109/2006, artt. 1 e 2, comma 1, lett. a), alla sanzione della censura, mentre lo assolveva per l'incolpazione di cui alla lett. g), ossia la grave violazione di legge.

Il giudice disciplinare in motivazione affermava un importante principio di diritto, ossia che : « se é pur vero che il Pubblico Ministero é libero di adottare le sue determinazioni all'esito delle indagini, tuttavia egli non può mai sottrarsi all'obbligo di svolgerle e definirle nei termini processualmente previsti. I margini di relativa discrezionalità nell'ambito dei quali può darsi la precedenza alla trattazione di un procedimento rispetto ad altro ritenuto di minore importanza non consentono comunque il totale accantonamento, incompatibile con l'ineludibile principio di obbligatorietà dell'azione penale […] », richiamando il precedente già affermato dalla sentenza Cass. civ., Sezioni unite, 11831 del 2013.

Quanto alla questione di diritto che si poneva riguardo alla configurabilità nella specie, oltre che della ipotesi di cui alla lettera a) dell'art. 2, comma 1, del d.lgs. 109 del 2006, che presuppone l'ingiusto danno o vantaggio ad una delle parti, anche dell'illecito previsto dalla lettera g) dello stesso articolo 2, del pari contestata all'incolpato, la Sezione disciplinare ha affermato che: « La questione va risolta nel senso della insussistenza, nella specie, della ipotesi di cui alla lettera g). Detta ipotesi, riferibile di per sé a qualsiasi violazione di legge, risulta in realtà applicabile solo ai comportamenti illeciti diversi dai ritardi, che sono sanzionati dalla lettera q) dell'art. 2, comma 1, del d.lgs. 109 del 2006 solo in quanto reiterati: sicché un unico ritardo grave può essere sanzionato quale violazione del dovere di diligenza e laboriosità solo a norma della lettera a) quando ne sia conseguito per alcuna delle parti un danno o in vantaggio ingiusto, specifico ed ulteriore rispetto a quello comunque insito nello stesso ritardo », così dettando ai titolari dell'azione disciplinare i confini tra le diverse fattispecie che in astratto potrebbero essere contestate nell'ipotesi di ritardo nell'attività da parte del P.M., vale a dire gli illeciti di cui alle lettere a), g) e q) del citato art. 2.

Nella specie, trattandosi di un singolo episodio, era in discussione anche la possibilità di riconoscere al magistrato l'esimente dell'art. 3-bis del d.lgs. 109/2006 per scarsa rilevanza del fatto, tenuto conto anche delle circostanze di difficoltà lavorativa evidenziate dall'incolpato.

Sul punto la sentenza rigettava la richiesta sostenendo che: « Deve, in proposito, rilevarsi che l'entità dell'arco temporale in cui si è protratta l'inerzia dell'incolpato è tale da doversi ragionevolmente escludere che essa possa trovare giustificazione in un carico di lavoro la cui gravosità non può in nessun caso esimere dal compimento di qualsivoglia atto, quando sia in giuoco la possibilità che fatti comunque di rilevanza sociale quali sono i reati contro la pubblica amministrazione rimangano impuniti per prescrizione ».

In precedenza il C.S.M. era stato però meno severo, affermando che: « Non configura illecito disciplinare nell'esercizio delle funzioni, per aver tenuto un comportamento che violando i doveri di imparzialità, correttezza, diligenza, laboriosità, riserbo ed equilibrio, la condotta del magistrato del pubblico ministero che ometta di adottare, per lungo tempo dopo la scadenza dei termini per le indagini preliminari, qualunque determinazione in ordine all'esercizio dell'azione penale, senza però che vi sia la prova di un danno o anche solo di un pregiudizio ingiusto per i parenti della vittima ovvero un indebito vantaggio per l'indagato, perché non può ipotizzarsi che, in ogni caso di ritardo nell'emissione di un provvedimento vi sia sempre un danno ‘in re ipsa', ma occorre, invece, che venga dimostrato in concreto un danno ingiusto conseguente all'inerzia, in termini di lesione del diritto alla salute, o di perdite patrimoniali, o di sofferenze morali, o di mancata possibilità dell'esercizio del diritto di impugnazione, o di altro ancora » (così Sez. disc., n. 16/2010).

La decisione della Cassazione Sez. unite n. 10793/2017

Avverso la sentenza di condanna disciplinare il magistrato incolpato presentava ricorso per cassazione, eccependo che la fattispecie di cui alla lettera a) dell'art. 2 è un illecito di evento e non di mero pericolo e nel caso di specie non vi sarebbe stato alcun danno o indebito vantaggio, poiché la sentenza di prescrizione non precludeva alla parte civile di agire per il risarcimento in sede civile, né era chiaro quale sarebbe stato l'indebito vantaggio per gli imputati, tenuto conto altresì che l'illecito ravvisato presupporrebbe che il danno sia conseguenza diretta o almeno voluta dal soggetto agente, mentre era stato escluso che il ritardo del P.M. fosse intenzionalmente volto a far prescrivere i reati oggetto di imputazione.

Il ricorrente contestava inoltre la mancata applicazione dell'esimente della scarsa rilevanza del fatto, vuoi perché il ritardo era derivato dall'ingente carico di lavoro e comunque aveva costituito un episodio isolato nella vita professionale del magistrato.

Le Sezioni unite hanno rigettato il ricorso sotto ogni profilo riscontrando la correttezza logico–giuridica della sentenza impugnata e quindi senza valutare nel merito le censure sollevate dal ricorrente, in particolare circa la possibilità o meno di giustificare il ritardo dell'attività del P.M. ai sensi dell'art. 3-bis del d.lgs. 109/2006.

La Suprema Corte ha però affermato un importante principio sul punto riguardante la sussistenza, nell'ipotesi di prescrizione dei reati oggetto del procedimento penale, di un ingiusto danno o un indebito vantaggio ad una delle parti del procedimento stesso.

Nella sentenza si legge che : «[…] il danno ingiusto per la parte civile è derivato dal non avere potuto quest'ultima ottenere il risarcimento in sede penale, vedendosi costretta ad intraprendere il percorso dell'azione in sede civile (il che, sommandosi al tempo già vanamente trascorso nelle more del procedimento penale, dilata l'orizzonte temporale in cui si collocherà la pronuncia sulla domanda risarcitori ), e che l'indebito vantaggio (per gli imputati) è consistito nel proscioglimento per intervenuta prescrizione », richiamando i precedenti di cui alle sentenze: Sez. unite n. 26548/2013 e Sez. unite, n. 3669/2011.

Quanto alla ricorrenza dell'elemento soggettivo dell'illecito disciplinare le Sezioni unite hanno ribadito il consolidato indirizzo giurisprudenziale, secondo cui per l'illecito disciplinare previsto dal d.lgs. 109/2006, artt. 1 e 2, comma 1, lett. a), basta la mera colpa, e, che appare innegabile che un magistrato possa prevedere le conseguenze dannose (per la parte civile) della prescrizione del reato intervenuta ancor prima che si pervenga ad una pronuncia di primo grado, come verificatosi nel caso di specie.

In conclusione

La sentenza in commento affronta lo spinoso tema del ritardo nell'attività del magistrato (nella specie un P.M. ma analogo discorso poteva essere fatto in relazione all'attività del giudice penale) non con riguardo alla fattispecie più frequentemente contestata, ossia l'art. 2, comma 1, lett. q) che punisce il ritardo nel deposito dei provvedimenti giudiziari, nel caso in cui esso si presenti come grave, reiterato ed ingiustificato ma con riferimento alla condotta commessa in violazione ai doveri incombenti sui magistrati (nella specie quello della diligenza) da cui derivi un ingiusto danno o un indebito vantaggio ad una delle parti del procedimento stesso, anche solo per un solo episodio di ritardo.

Certamente il principio di diritto affermato dalle Sezioni unite, appare opinabile in quanto la parte civile non aveva “perso” in termini assoluti la possibilità di far valere la sua pretesa civilistica davanti al giudice civile. Certamente però non può essere disconosciuto che la prescrizione dei reati ha comportato nei suoi confronti un danno da ritardo, connesso all'inutile attesa di un risarcimento in sede penale.

La Cassazione, nella sua massima espressione, ha però ritenuto che già quello fosse un danno ingiusto, quale conseguenza diretta della condotta negligente del P.M., ribadendo peraltro il principio (anch'esso opinabile) che la condotta illecita di cui alla lett. a) può essere punita anche solo a titolo di colpa, malgrado la norma non lo preveda espressamente.

Il tema però non può essere affrontato solo nell'ottica di un commento in punta di diritto di una sentenza che comunque appare sostanzialmente corretta, atteso che nella fattispecie il denunciante (poi costituitosi parte civile) aveva in più occasioni sollecitato il P.M. a determinarsi e che questi chiese il rinvio a giudizio solo in un momento ormai prossimo alla prescrizione, salvo verificare in concreto l'applicabilità dell'esimente di cui all'art. 3-bis, che la Cassazione ha ritenuto di non poter sindacare in ragione dei limiti intrinseci al giudizio di legittimità.

È infatti a tutti noto che in Italia ogni anno si prescrivono migliaia di procedimenti penali (rectius di reati), in molti casi ancor prima che inizi il processo davanti al giudice.

Il fenomeno è connesso all'abnorme carico di lavoro che grava su gran parte degli uffici giudiziari italiani, che non riescono a fronteggiare in tempi ragionevoli l'enorme domanda di giustizia che il Paese propone, così che la prescrizione è purtroppo un esito in molti casi inevitabile, che addirittura a volte appare del tutto prevedibile.

Se in ogni ipotesi di reato prescritto si dovesse ritenere la parte civile vittima di un danno ingiusto, le condanne disciplinari fioccherebbero per moltissimi magistrati italiani, malgrado l'eccezionale produttività degli stessi accertata anche per l'anno 2016 dal rapporto del CEPEJ, organo del Consiglio d'Europa, che valuta l'efficienza dei sistemi giudiziari europei, senza peraltro che il C.S.M. si decida a fissare il carico massimo esigibile per ciascuna diversa funzione (e quindi per ciascun magistrato), unico modo per distinguere chi è davvero negligente .

Né può immaginarsi che l'accelerazione dei procedimenti penali possa avvenire con semplici modifiche del codice di rito, come sembra voler fare il d.d.l. di riforma del processo penale approvato con la fiducia dal Senato, che imporrebbe ai pubblici ministeri dei termini rigidi per determinarsi dopo lo scadere del termine per le indagini preliminari, pena l'avocazione obbligatoria da parte delle Procure generali. Più utile invece sarebbe, come suggerito da autorevole dottrina anche su questa rivista (dal Prof. Spangher, Riforma Orlando: servono soluzioni condivise), attribuire all'indagato o alla persona offesa un “concreto” potere di sollecitazione nei confronti del P.M. affinché si determini, e nell'ipotesi di protratta inerzia a quel punto potrebbe operare l'avocazione del procedimento da parte delle Procure generali e l'attivazione di eventuali azioni disciplinari per il ritardo che assumerebbe i connotati della ingiustificabilità, almeno in via presuntiva.

Vedremo nel frattempo se questa sentenza sarà seguita da altre dello stesso segno.

Guida all'approfondimento

A. CAPUTO, Illeciti relativi a ritardi nel compimento di atti di ufficio ed altre violazioni dei doveri di laboriosità e diligenza, in Ordinamento Giudiziario (a cura di E. Albamonte – P.Filippi), 2009;

S. DI AMATO, in La responsabilità disciplinari dei magistrati, 2013;

M. FRESA, in La responsabilità disciplinare nelle carriere magistratuali, (a cura di M. Fantacchiotti, M. Fresa, V. Tenore, S. Vitello), 2010;

G. MARRA, La responsabilità civile del pubblico ministero per inerzia nell'attività di indagine, in Diritto Penale e Processo, numero 2 del 2016

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