La Corte costituzionale sulla concessione della detenzione domiciliare speciale ai soggetti condannati per reati ostativi

22 Giugno 2017

È costituzionalmente illegittimo l'art. 47-quinquies, comma 1-bis, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), limitatamente alle parole «Salvo che nei confronti delle madri condannate per taluno dei delitti indicati nell'art. 4-bis».
Massima

È costituzionalmente illegittimo l'art. 47-quinquies, comma 1-bis, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), limitatamente alle parole «Salvo che nei confronti delle madri condannate per taluno dei delitti indicati nell'art. 4-bis».

Il caso

Con ordinanza del 12 ottobre 2015 il tribunale di sorveglianza di Bari sollevava questioni di legittimità costituzionale, con riferimento agli artt. 3, 29, 30, 31 della Costituzione quanto all'art. 47-quinquies, comma 1-bis, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà) nella parte in cui impedisce che le modalità di espiazione della pena ivi previste siano concesse alle condannate per i delitti di cui all'art. 4-bis della medesima legge. Il caso alla base della citata ordinanza riguardava una donna condannata, con sentenza del 12 aprile 2012, alla pena di sette anni di reclusione per il delitto di cui all'art. 74 d.P.R. 309/1990, con un fine pena al 18 febbraio 2021.

La condannata era stata ammessa alla detenzione domiciliare sino al 17 ottobre 2015, ai sensi dell'art. 47-ter, comma 1-ter, della legge 354 del 1975, in relazione all'art. 147, comma 1, numero 3), c.p., avendo prole di età minore di tre anni. In vista del compimento dei tre anni della prole, il difensore della donna chiedeva al magistrato di sorveglianza la proroga provvisoria della detenzione domiciliare e al tribunale di sorveglianza la concessione della detenzione domiciliare speciale ai sensi dell'art. 47-quinquies, comma 1-bis, della legge 354/1975. In subordine chiedeva di sollevare questione di legittimità costituzionale della disposizione in oggetto, nella parte in cui escludeva dalla concessione della detenzione domiciliare speciale i condannati per i delitti di cui all'art. 4-bis della legge 354/1975. Il giudice adito tuttavia riteneva non risolutiva sul punto, la sentenza 239/2014, che ha riguardato solo il comma 1 dell'art. 47-quinquies della legge 354/1975, in base alla quale, se non è possibile concedere il beneficio di cui all'art. 47-ter della medesima legge, la detenuta che sia madre di prole di età inferiore ai dieci anni può espiare la parte residua di pena anche in ambito domiciliare, purché sia stato scontato almeno un terzo della pena ovvero quindici anni nel caso di ergastolo. Non è stato toccato invece il comma 1-bis della medesima disposizione, che prevede modalità agevolate per espiare la frazione iniziale della pena fatta eccezione proprio per i condannati per quei delitti elencati all'art. 4-bis della legge 354/1975, anche nel caso vi sia stata collaborazione con la giustizia.

Non essendo stato ancora espiato, nel caso di specie, un terzo della pena, ed essendo stata la condanna emessa per uno dei reati ostativi, il giudice rimettente sollevava questione di costituzionalità perché «le esigenze superiori di tutela della maternità e del minore anziché prevalere risulterebbero recessive rispetto alla pretesa punitiva dello stato».

La questione

In particolare, il giudice osservava che la ratio ispiratrice dell'istituto della detenzione domiciliare ex art. 47-quinquies della legge 354/1975 prescinderebbe da qualsiasi contenuto rieducativo essendo volta solo a ripristinare la convivenza tra madri e figli. Per questi motivi, la logica che aveva portato la Corte a dichiarare l'incostituzionalità del comma 1 dell'art. 47-quinquies della legge in parola, dovrebbe condurre ad analoghe valutazioni anche per il comma 1-bis ed alla preclusione assoluta per le madri condannate per i delitti di cui al citato art. 4-bis. L'illogicità del sistema che ne deriva, anche in caso di assenza di pericolosità concreta della detenuta, porterebbe inevitabilmente ad interrompere, al compimento dei tre anni, quel rapporto tra la detenuta e la figlia che si era riusciti a preservare grazie alla concessione della misura di cui all'art. 47-ter comma 1-ter legge 354/1975.

Le argomentazioni contrarie, recate dall'avvocatura generale dello stato, si fondano sulla osservazione che la sentenza della Corte costituzionale 239/2014 aveva trovato ragione proprio nel divieto assoluto, per le condannate per i delitti di cui all'art. 4-bis della citata legge, di fruire del beneficio in questione. La disposizione qui esaminata invece non precluderebbe l'espiazione della frazione iniziale della pena con modalità agevolate nel caso di collaborazione con la giustizia ex art. 58 ter della legge 354/1975. Secondo l'avvocatura dello stato, dunque, le questioni di costituzionalità sollevate sarebbero già oggetto di specifica considerazione da parte della Corte e, dunque, oggi inammissibili.

Infine l'avvocatura dello stato evidenzia l'infondatezza della questione, attesa la discrezionalità che il Legislatore ha nel bilanciare valori costituzionalmente tutelati, quali la tutela della famiglia e del rapporto tra le detenute madri e i propri figli, da un lato, e l'interesse dello Stato ad esercitare la potestà punitiva dall'altro, limitando la concessione di alcuni benefici ai soli casi di non spiccata offensività del delitto commesso o di collaborazione con la giustizia ex art. 58-ter della legge 354/1975 o richiamate nell'art. 4-bis, comma 1-bis, della citata legge.

Le soluzioni giuridiche

Richiamato l'inquadramento che della questione ha fatto il tribunale di sorveglianza di Bari, è particolarmente significativo il riferimento alla disarmonicità insita in un sistema che consente anche alle madri condannate per i delitti di cui all'art. 4-bis della legge 354/1975 di essere ammesse, sin dall'inizio, alla detenzione domiciliare, a prescindere dall'entità della pena da espiare, ove possa essere il rinvio obbligatorio o facoltativo dell'esecuzione ai sensi degli artt. 146 e 147 c.p. e che poi impone di separare le madri dai bimbi al compimento dei loro tre anni per far scontare alle detenute il terzo della pena necessario per poter essere successivamente ammesse alla detenzione domiciliare speciale.

La Corte osserva che l'art. 47-quinquies, comma 1, ha completato il quadro già delineato dal 47-ter, comma 1, della medesima legge, prevedendo, in caso non ricorrano le circostanze previste dall'art. 47-ter (pena della reclusione non superiore a quattro anni, anche se costituente parte residua di maggior pena, nonché pena dell'arresto) le condannate madri di prole di età non superiore ad anni dieci possano essere ammesse alla detenzione domiciliare speciale (in abitazione, o luogo di privata dimora, o luogo di cura, assistenza o accoglienza) dopo l'espiazione di almeno un terzo della pena ovvero quindici anni nel caso di ergastolo.

Successivamente la legge 62/2011 ha introdotto il comma 1-bis, oggetto del giudizio di legittimità costituzionale qui commentato. L'obiettivo è ancora una volta quello di ampliare la possibilità per le madri condannate di fruire di misure extracarcerarie al fine di mantenere un rapporto effettivo con i figli e di evitare la carcerazione dei minori insieme alle madri. Tuttavia è pacifica l'esclusione, dal comma 1-bis, delle madri condannate per i delitti indicati nell'art. 4-bis della medesima legge. Non può dunque condividersi l'osservazione dell'avvocatura dello Stato, secondo cui la disposizione in questione consentirebbe comunque di fruire di questo beneficio alle madri che abbiano collaborato con la giustizia (ovvero che si trovino nella impossibilità di farlo). Ciò sulla base della considerazione che il richiamo all'art. 4-bis sarebbe un rinvio sostanziale al regime ivi complessivamente statuito (che consente la concessione dei benefici penitenziari ai condannati per i delitti ivi elencati a condizione che abbiano collaborato con la giustizia).

Tuttavia la Corte rammenta di aver già escluso questa interpretazione nella sentenza 239/2014.

Ora, i fondamenti su cui si basa l'art. 47-quinquies, comma 1-bis, della citata legge, nel tutelare quanto più possibile la formazione e lo sviluppo di un rapporto normale tra le detenute madri e i loro figli, sono principio pacifico nell'ordinamento costituzionale interno e nell'ordinamento internazionale, alla luce dell'art. 31 Cost., della Convenzione sui diritti del fanciullo e della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, solo per citare tre colonne portanti. L'interesse del minore è qualificato generalmente come superiore: ciò, naturalmente, non esclude in via di principio un possibile bilanciamento con altri valori di rango costituzionale, come la pretesa punitiva dello Stato, ma impone alcune considerazioni di ordine logico e giuridico.

Osservazioni

Il bilanciamento tra valori di rango costituzionale è, in linea di principio, rimesso alla discrezionalità del Legislatore che può delineare regole per definire i limiti astratti della rispettiva tutela dei valori in questione. Non trova invece fondamento e giustificazione la posizione, da parte del Legislatore, di presunzioni insuperabili che neghino in radice l'accesso della madre a modalità agevolate di esecuzione della pena finalizzate a consentire la tutela dell'interesse del minore, perché la posizione di presunzioni insuperabili impedirebbe al giudice di valutare la sussistenza in concreto di esigenze di difesa sociale da ritenere, di volta in volta, superiori all'interesse del minore nel caso concreto.

In altri termini, la Corte rammenta che ad essere contrario allo spirito ed all'ordinamento costituzionale, anche in tal caso, è l'automatismo basato su indici presuntivi che, in quanto tale, non consente un reale bilanciamento ma limita una volta per tutte, in taluni casi, la tutela dell'interesse del minore, secondo un apriorismo illogico ed illegittimo.

Sicchè legittimo è differenziare il trattamento esecutivo delle madri condannate ma non in base ad una valutazione presuntiva insuperabile, bensì in base a parametri da valutare di volta in volta e caso per caso. Il sacrificio dell'interesse del minore può essere giustificato da una valutazione concreta secondo parametri fissati dalla legge in astratto ma ravvisati poi nello specifico e non in assoluto per una valutazione fatta una volta per tutte che veda l'interesse del minore cedere, in alcune circostanze definite a priori, alla pretesa punitiva dello Stato.

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