Divieto di un secondo giudizio, la Corte costituzionale boccia la norma ma salva il processo Eternit

Redazione Scientifica
22 Luglio 2016

La Corte costituzionale, con sentenza n. 200 depositata il 21 luglio 2016, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 649 c.p.p. (Divieto di un secondo giudizio) nella parte in cui esclude che il fatto sia il medesimo per la sola circostanza che sussiste un concorso formale tra il reato giudicato con sentenza divenuta irrevocabile e il reato per cui è iniziato il procedimento penale.

La Corte costituzionale, con sentenza n. 200 depositata il 21 luglio 2016, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 649 c.p.p. (Divieto di un secondo giudizio) nella parte in cui esclude che il fatto sia il medesimo per la sola circostanza che sussiste un concorso formale tra il reato giudicato con sentenza divenuta irrevocabile e il reato per cui è iniziato il procedimento penale.

La questione di legittimità costituzionale era stata sollevata dal Gup del tribunale ordinario di Torino chiamato a decidere sulla richiesta di rinvio a giudizio per omicidio colposo nei confronti del dirigente della società Eternit di Casale Monferrato, il quale era già stato giudicato in via definitiva per il medesimo fatto storico ed era stato prosciolto per prescrizione dai reati di cui agli artt. 434 c.p., disastro doloso, e 437 c.p., omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro, in danno a 258 persone decedute a causa della prolungata esposizione all'amianto.

Due sono gli aspetti affrontati dai giudici delle leggi nella sentenza.

Il primo concerne la portata applicativa del divieto di bis in idem come espresso nell'art. 4, prot. 7, Cedu rispetto allo stesso principio nei termini di cui all'art. 649 c.p.p.

Dato per assodato che la Cedu adotti il più favorevole criterio dell'idem factum anziché la nozione più restrittiva di idem legale, occorre però chiarire che la sussistenza dell'idem factum non può essere verificata sulla sola base della condotta dell'agente (come sostenuto dal rimettente) ma occorre, altresì, comparare l'evento naturalistico conseguenza della condotta nonché, il nesso di causalità.

Alla luce poi del diritto vivente interno – il quale ha permesso all'art. 649 c.p.p. di sopravvivere nell'ordinamento – l'espressione medesimo fatto, contenuta nella norma oggetto di giudizio costituzionale, deve leggersi nel senso di una corrispondenza storico-naturalistica nella configurazione del reato, considerato in tutti i suoi elementi costitutivi (condotta, evento, nesso causale) e con riguardo alle circostanze di tempo, luogo e persone (Sez. unite n. 129/2008).

Conclude quindi la Consulta che nel caso di specie gli indici segnalati dal Giudice rimettente per ritenere diversi i fatti già giudicati rispetto a quelli di omicidio oggetto della nuova contestazione non siano adeguati, perché non possono avere peso a tali fini né la natura di pericolo dei delitti previsti dagli artt. 434 e 437 cod. pen., né il bene giuridico tutelato, né il «differente “ruolo” del medesimo evento morte all'interno della fattispecie». Allo stesso tempo, è chiaro che, anche dal punto di vista rigorosamente materiale, la morte di una persona, seppure cagionata da una medesima condotta, dà luogo ad un nuovo evento, e quindi ad un fatto diverso rispetto alla morte di altre persone.

Entro questi limiti va escluso che sussista il primo profilo di contrasto individuato dal giudice a quo tra l'art. 649 cod. proc. pen. e la normativa interposta convenzionale, perché entrambe recepiscono il criterio dell'idem factum, e all'interno di esso la Convenzione non obbliga a scartare l'evento in senso naturalistico dagli elementi identitari del fatto, e dunque a superare il diritto vivente nazionale.

Sul secondo aspetto, che concerne il divieto di applicare il principio del ne bis in idem ove il reato già giudicato sia stato commesso in concorso formale con quello oggetto della nuova iniziativa del P.M., nonostante la medesimezza del fatto, la Corte costituzionale, nel dichiararne l'illegittimità costituzionale, svolge una serie di precisazioni.

Il divieto di bis in idem non dovrà, infatti, applicarsi per la sola ragione che i reati concorrano formalmente e siano perciò stati commessi con un'unica azione od omissione: È infatti facilmente immaginabile che all'unicità della condotta non corrisponda la medesimezza del fatto, una volta che si sia precisato che essa può discendere dall'identità storico-naturalistica di elementi ulteriori rispetto all'azione o all'omissione dell'agente, siano essi costituiti dall'oggetto fisico di quest'ultima, ovvero anche dal nesso causale e dall'evento.

Pertanto, sarà compito dell'Autorità giudiziaria (e quindi dello stesso giudice a quo) porre a raffronto il fatto storico, secondo la conformazione identitaria che esso abbia acquisito all'esito del processo concluso con una pronuncia definitiva, con il fatto storico posto dal pubblico ministero a base della nuova imputazione. A tale scopo è escluso che eserciti un condizionamento l'esistenza di un concorso formale, e con essa, ad esempio, l'insieme degli elementi indicati dal rimettente nel giudizio principale.

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