Il sequestro preventivo di immobili abusivi in zona paesaggistica

22 Dicembre 2016

In tema di sequestro preventivo per reati paesaggistici, la sola esistenza di una struttura abusiva ultimata integra i requisiti della concretezza ed attualità del pericolo - in assenza di ulteriori elementi idonei a dimostrare che la disponibilità della stessa da parte del soggetto indagato o di terzi - può implicare una effettiva lesione dell'ambiente e del paesaggio?
Massima

In tema di sequestro preventivo per reati paesaggistici, la sola esistenza di una struttura abusiva ultimata non integra i requisiti della concretezza ed attualità del pericolo, in assenza di ulteriori elementi idonei a dimostrare che l'uso della cosa realizzata in violazione dei vincoli paesaggistici, da parte del soggetto indagato o di terzi, è idoneo ad incidere sulle conseguenze dannose prodotte dall'intervento abusivo sull'ecosistema protetto dal vincolo paesaggistico, il che comporta un esame particolarmente approfondito da parte del giudice di merito, il quale deve ritenere o escludere l'ulteriore lesione del bene protetto a seconda che accerti, in concreto, l'incompatibilità o la assoluta compatibilità di tale uso con gli interessi tutelati dal vincolo, avuto riguardo alla natura di quest'ultimo e della situazione preesistente alla realizzazione dell'opera.

Il caso

Nei confronti dei ricorrenti il Gip aveva emesso decreto di sequestro preventivo di opere edilizie con riferimento, ai fini che interessano in questa sede, al reato previsto dall'art. 181-bis del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, in quanto le stesse erano state eseguite in zona sottoposta a vincolo paesaggistico, senza la preventiva autorizzazione.

Il tribunale del riesame ha confermato il sequestro

I ricorrenti hanno proposto ricorso deducendo, tra l'altro, che il tribunale del riesame aveva confermato il sequestro preventivo con riferimento al reato paesaggistico senza considerare che le opere non alteravano il paesaggio e che erroneamente era stata ritenuta la sussistenza delle esigenze cautelari sul presupposto che la soggezione della zona al vincolo paesaggistico rendeva di per sé legittimo il sequestro preventivo disposto dal Gip, mentre si era in presenza solo di opere ormai ultimate per giunta inidonee, anche in astratto, di portare aggravamento del carico urbanistico ed era inconcepibile che la disponibilità di esse potesse aggravare o comunque protrarre le conseguenze dei reati ipotizzati cui la misura cautelare reale tendeva.

La Cassazione ha ritenuto fondata tale censura.

In motivazione

nella logica del sequestro preventivo c.d. impeditivo, il pericolo non può essere ravvisato nella semplice presenza della struttura abusiva realizzata in zona paesaggisticamente vincolata o in una qualsiasi opera eseguita senza autorizzazione in dette zone perché ciò non integra necessariamente il periculum in mora, dovendosi verificare in concreto la sussistenza del pericolo cautelare inteso, come innanzi precisato, come probabilità di danno futuro in conseguenza della effettiva disponibilità materiale o giuridica della cosa pertinente al reato.

Il reato paesaggistico è integrato dalla messa in pericolo del bene giuridico protetto, ossia il paesaggio inteso in senso ampio come quella parte del territorio, normativamente individuata, che, per le sue caratteristiche naturali e/o indotte dalla presenza dell'uomo, è ritenuta meritevole di particolare tutela.

La salvaguardia del bene paesaggistico non è tuttavia limitata al mero aspetto esteriore o immediatamente visibile dell'area vincolata, ma richiede, per ragioni di effettività, che si debba tenere conto di un articolato sistema di controlli, cosicché la tutela del bene giuridico investe, sia pure in via strumentale e mediata, anche l'interesse della pubblica amministrazione al previo esercizio della funzione di governo del territorio e ciò spiega la ragione per la quale ogni modificazione dell'assetto territoriale, attuata attraverso qualsiasi tipo di opera, è soggetta al rilascio della prescritta autorizzazione, la cui mancanza integra la fattispecie incriminatrice ma non necessariamente quella cautelare cristallizzata nell'art. 321 c.p.p., comma 1.

Quindi, se la condotta criminosa non si è esaurita, il sequestro preventivo è legittimo perché, con il vincolo imposto sulla cosa, si evita che il reato sia portato ad ulteriori conseguenze ma quando invece la condotta si è esaurita il pericolo cautelare si realizza stricto iure solo se, come recita l'art. 321 c.p.p., comma 1, dalla libera disponibilità della cosa pertinente al reato sia (concretamente ed attualmente) prevedibile un aggravamento o una protrazione delle conseguenze del reato stesso o sia prevedibile la ripetizione criminosa sicché, vincolando la res, si evitano i pericoli che l'adozione del sequestro preventivo è destinato a scongiurare.

La questione

La questione in esame è la seguente: se, in tema di sequestro preventivo per reati paesaggistici, la sola esistenza di una struttura abusiva ultimata integri i requisiti della concretezza ed attualità del pericolo, in assenza di ulteriori elementi idonei a dimostrare che la disponibilità della stessa, da parte del soggetto indagato o di terzi, possa implicare una effettiva lesione dell'ambiente e del paesaggio.

Le soluzioni giuridiche

Come diffusamente spiegato dalla sentenza annotata (cui si rinvia i richiami giurisprudenziali), l'orientamento a lungo seguito dalla giurisprudenza di legittimità di gran lunga prevalente è stato nel senso che la sola esistenza della struttura abusiva, realizzata senza autorizzazione ed in una zona sottoposta a vincolo paesaggistico, integra il requisito della concretezza e dell'attualità cautelare, che sussiste proprio perché l'offesa al territorio è destinata in tal modo a perdurare ed a consolidarsi.

Presupposto di tale indirizzo è che, anche nel caso di ultimazione dei lavori, l'esecuzione di interventi edilizi in zona vincolata ne protrae nel tempo e ne aggrava le conseguenze, determinando e radicando il danno all'ambiente ed al quadro paesaggistico che il vincolo ambientale mira a salvaguardare. Pertanto, secondo tale impostazione, qualunque lavoro in zona soggetta al vincolo paesaggistico può costituire un'offesa al bene protetto, rappresentato dall'armonia paesaggistica e ciò basta per integrare il requisito della concretezza e della attualità cautelare, che sussistono per il solo fatto della esistenza e mantenimento in essere della struttura abusiva che, in sé, determina l'offesa al bene protetto.

Non è quindi necessario per il sequestro della struttura abusiva già ultimata, come invece per i reati urbanistico-edilizi, che la stessa comporti l'aggravio del carico urbanistico.

L'opposto indirizzo, seguito dalla sentenza annotata, ritiene che, in tema di sequestro preventivo per reati paesaggistici, la sola esistenza di una struttura abusiva ultimata non integra i requisiti della concretezza ed attualità del pericolo, in assenza di ulteriori elementi idonei a dimostrare che la disponibilità della stessa, da parte del soggetto indagato o di terzi, possa implicare una effettiva lesione dell'ambiente e del paesaggio.

Va quindi escluso che l'uso della cosa sia in sé idoneo a deteriorare ulteriormente l'ecosistema protetto dal vincolo. Al contrario, tale effetto deve formare oggetto di un esame particolarmente approfondito da parte del giudice di merito e la valutazione sul punto ha ad oggetto l'incidenza negativa della condotta su un più delicato equilibrio rispetto a quello riguardante genericamente il carico urbanistico sul territorio, in quanto il giudice del merito deve valutare l'aggravamento delle conseguenze del reato derivante dall'uso dell'immobile anche con riferimento all'ecosistema protetto dal vincolo paesaggistico, oltre che sotto il profilo urbanistico.

È quindi ritenuto necessario l'accertamento se l'uso dell'immobile abusivamente realizzato in zona vincolata determini, in concreto, un aggravamento delle conseguenze del reato, senza quindi che possa esserci una sorta di "automatismo" tra detto uso e la alterazione dell'ecosistema tutelato dal vincolo.

Viene ritenuta incomprensibile la ragione per cui la valutazione dell'attualità delle esigenze cautelari, nel caso di opere ultimate, negli illeciti urbanistici sia da ancorare in concreto ad una effettiva lesione del bene giuridico, mentre dovrebbe essere automatica in caso di opere realizzate in zona vincolata e risolversi nella mera constatazione della collocazione dell'opera in tale contesto; al contrario, va rifiutato ogni automatismo tra uso del bene ed alterazione dell'ecosistema ed anche in questo caso è necessario che il giudice dia specifica motivazione dell'attualità delle esigenze cautelari in presenza del reato paesaggistico quando le opere siano ultimate.

Osservazioni

L'equiparazione operata dalla sentenza annotata (cui ha fatto seguito la conforme Cass. pen., Sez. III, n. 50336/2016) tra reati urbanistici e paesistici ai fini della praticabilità del sequestro di opere abusive già ultimate non convince.

È costante nella giurisprudenza della Cassazione (ex plurimis, Cass. pen., Sez. III, n. 11501/2015; Cass. pen., Sez. III, n. 24375/2015; Cass. pen., Sez. III, n. 46534/2015; Cass. pen., Sez. III,n. 44377/2016) l'affermazione che l'incidenza di un intervento edilizio sul carico urbanistico dev'essere considerata con riferimento all'aspetto strutturale e funzionale dell'opera ed è rilevabile anche nel caso di una concreta alterazione dell'originaria consistenza sostanziale di un manufatto in relazione alla volumetria, alla destinazione o all'effettiva utilizzazione, tale da determinare un mutamento dell'insieme delle esigenze urbanistiche valutate in sede di pianificazione, con particolare riferimento agli standard fissati dal D.M. 2 aprile 1968, n. 1444.

Si ha quindi una valutazione del rapporto oggettivo tra l'opera e l'assetto territoriale nel cui la stessa si contestualizza, con l'applicazione di tali standard quale parametro per compiere tale operazione.

Diversa è la tutela paesaggistica, in quanto la collocazione dell'art. 9 Cost. tra i principi fondamentali ed il suo stretto collegamento con l'art. 2 Cost., attribuisce al paesaggio la funzione di concorrere allo sviluppo della personalità del singolo ed all'attuazione della sua dignità nell'ambito dello Stato sociale, trattandosi di bene che, per intrinseca natura e finalizzazione, risulta funzionale al perseguimento e al soddisfacimento degli interessi della collettività (Cass. civ., Sez. unite, n. 3665/2011).

La conseguenza è che il reato paesaggistico, anche (e soprattutto) nel caso di opera ultimata, produce l'effetto di una permanente alterazione della funzione del paesaggio quale valore funzionale alla piena attuazione della personalità umana in ogni sua dimensione, in quanto la lesione non riguarda il paesaggio in sé e le sue componenti,ma piuttosto la relazione funzionale che lo stesso ha con l'individuo.

Sembra quindi preferibile la tesi a lungo dominante secondo cui, nei reati paesaggistici, la sola esistenza di una struttura abusiva integra il requisito dell'attualità del pericolo indipendentemente dall'essere l'edificazione ultimata o meno, in quanto il rischio di offesa al territorio e all'equilibrio ambientale, a prescindere dall'effettivo danno al paesaggio e dall'incremento del carico urbanistico, perdura in stretta connessione con l'utilizzazione della costruzione ultimata.

Inoltre, il diverso orientamento seguito dalla sentenza annotata, nel richiedere al giudice di merito l'accertamento, in concreto, dell'incompatibilità o della assoluta compatibilità dell'uso dell'opera con gli interessi tutelati dal vincolo, avuto riguardo alla natura di quest'ultimo e della situazione preesistente alla realizzazione dell'opera, enuncia un criterio di non agevole praticabilità.

Ed infatti, mentre nel caso di reato urbanistico, ai fini del sequestro di opera abusiva ultimata, la verifica è utilizzabile un criterio legale, quali gli standard di cui al d.m. 2 aprile 1968, n. 1444, che consente di accertare con immediatezza ed in modo oggettivo se l'uso dell'immobile abusivo alteri l'assetto urbanistico-territoriale con riferimento ai parametri ivi indicati (es.: parcheggi, distanze, altezze ecc.), nel caso di reato paesaggistico viene richiesta al giudice una valutazione meramente fattuale e prognostica dagli incerti confini.

In particolare, nella sentenza annotata, si fa generico riferimento all'accertamento se l'uso del manufatto ultimato possa incidere sulle conseguenze dannose prodotte dall'intervento abusivo sull'ecosistema protetto dal vincolo paesaggistico e, quindi, in concreto, all'incompatibilità o assoluta compatibilità di tale uso con gli interessi tutelati dal vincolo, avuto riguardo alla natura di quest'ultimo e della situazione preesistente alla realizzazione dell'opera, mentre nella successiva Cass. pen., Sez. III, n. 50336/2016, si richiede al giudice di considerare non solo l'entità delle opere realizzate, ma l'incidenza delle stesse nelle diverse matrici ambientali ovvero il loro impatto nelle zone oggetto di particolare tutela paesaggistico-ambientale.

La praticabilità di tale verifica va quindi operata caso per caso, con l'evidente rischio di soluzioni non omogenee e dall'incerta prevedibilità. Volendo comunque cercare di individuare parametri specifici utilizzabili ai fini di tale verifica, si può fare riferimento, a titolo esemplificativo:

  1. al parametro comparativo, dovendosi comunque considerare lo stato preesistente dei luoghi in cui l'intervento viene a realizzarsi;
  2. a quello dimensionale, in quanto l'impatto dell'uso sul c.d. godimento estetico complessivo varia a seconda della grandezza del manufatto abusivo;
  3. al parametro della potenziale diffusività dell'abuso dipendente dalla probabilità di ulteriore implementazione;
  4. al pericolo per una specifica componente naturalistica presente nella zona tutelata (es. per una specie animale sita nel bosco oggetto di protezione);
  5. alla compromissione della salubrità della zona tutelata in relazione alla natura del vincolo paesistico imposto (es. corsi d'acqua).
Guida all'approfondimento

DODARO, Delitto paesaggistico - Illegittimità del delitto paesaggistico e sviluppi del controllo di proporzionalità, in Giur. It., 2016, 8-9, p. 2001;

GALASSO,

Sì al sequestro preventivo, se c'è aggravio del carico urbanistico

, in Diritto & Giustizia, fasc. 41, 2015, p. 9

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