Errore sul fatto e onere di allegazione: il caso di errore sull’età della persona offesa

Alessio Innocenti
23 Luglio 2015

Ai fini dell'applicazione dell'art. 47 c.p., non è sufficiente che l'imputato affermi di non avere avuto la consapevolezza in ordine ad un elemento costitutivo del reato che caratterizza il fatto tipico, ricadendo su chi invoca l'errore l'onere di provare - o almeno di allegare elementi specifici che consentano una verifica dell'assunto - di aver agito presupponendo una realtà diversa da quella effettiva.
Massima

Ai fini dell'applicazione dell'art. 47 c.p., non è sufficiente che l'imputato affermi di non avere avuto la consapevolezza in ordine ad un elemento costitutivo del reato che caratterizza il fatto tipico, ricadendo su chi invoca l'errore l'onere di provare - o almeno di allegare elementi specifici che consentano una verifica dell'assunto - di aver agito presupponendo una realtà diversa da quella effettiva.

Il caso

Il procedimento che ha dato luogo alla pronuncia in commento aveva ad oggetto un'ipotesi di induzione, favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione minorile, commessi dagli imputati in danno di alcune ragazze minorenni di origini rumene.

In primo ed in secondo grado, rispettivamente il Tribunale di Roma e la Corte di appello di Roma, avevano condannato gli imputati alla pena di anni cinque di reclusione ed € 12.000,00 di multa ciascuno, avendo ritenuto integrato il reato contestato (artt. 81 cpv., artt. 110 e 600-bis c.p.) compresa l'aggravante di aver commesso il fatto ai danni di più persone.

Ricorrevano per Cassazione i due imputati per l'annullamento dell'impugnata sentenza: tra i motivi vi era quello della mancata corretta valutazione della sussistenza dell'error in ordine all'età della persone offese, circostanza idonea ad escludere il dolo e, quindi, la colpevolezza con riferimento al reato contestato.

I due imputati si erano, infatti, difesi nel giudizio di merito assumendo che non conoscevano la minore età delle persone offese, ma la Corte territoriale aveva ritenuto che, a fronte del dato obiettivo ed incontestabile della minore età delle ragazze sfruttate, e cioè del fatto costitutivo del reato in esame, sarebbe spettato agli imputati fornire la prova del fatto impeditivo costituito dalla asserita ignoranza della minore età delle persone offese.

Ad avviso dei ricorrenti, la sentenza della Corte d'appello di Roma si mostrava censurabile laddove affermava (più o meno esplicitamente) che l'onere prova della conoscenza, da parte degli imputati, della minore età delle persone offese non gravasse sull'accusa bensì, in forza di un'inammissibile inversione del predetto onere, sugli imputati, avendo essi il compito di dimostrare la mancanza dei presupposti e delle condizioni per l'affermazione di colpevolezza.

La questione

La S.C., nel caso de quo, doveva affrontare, tra i vari aspetti controversi i seguenti:

a) il problema dell'applicabilità della norma di cui all'art. 602-quater c.p. a fatti commessi prima della sua entrata in vigore;

b) la quaestio relativa al se la prova dell'ignoranza dell'età delle persone offese, elemento costitutivo del reato contestato agli imputati, gravasse sulla difesa e se nel caso di specie potesse dirsi assolto.

Il quadro normativo vigente oggi e al momento del fatto

L'ignoranza/errore dell'agente in ordine all'età della persona offesa, in base al diritto oggi vigente, ricade nell'ambito applicativo di diverse disposizioni: a) ove si tratti di elemento costitutivo di un reato, in generale, può trovare applicazione l'art. 47 c.p.; b) ove, si tratti, poi, di errore sull'età della persona offesa che rilevi come circostanza aggravante del reato, risulterebbe applicabile l'art. 60 c.p.; c) ove, infine, si rientri in particolari categorie di reati (pedopornografia e in materia sessuale) possono venire in rilievo le disposizioni di cui all'art. 609-sexies c.p. (“Quando i delitti previsti negli articoli 609-bis, 609-ter, 609-quater, 609-octies e 609-undecies sono commessi in danno di un minore degli anni diciotto, e quando è commesso il delitto di cui all'articolo 609-quinquies, il colpevole non può invocare a propria scusa l'ignoranza dell'età della persona offesa, salvo che si tratti di ignoranza inevitabile) e all'art. 602-quater c.p., introdotta solo con l. 172/2012 (“Quando i delitti previsti dalla presente sezione sono commessi in danno di un minore degli anni diciotto, il colpevole non può invocare a propria scusa l'ignoranza dell'età della persona offesa, salvo che si tratti di ignoranza inevitabile”);

Ciò detto, venendo al caso oggetto della sentenza in commento e alla normativa vigente al momento dei fatti oggetto del processo, deve rilevarsi chel'ignoranza/errore sull'età della persona offesa veniva in rilievo solo ex art. 47 c.p.: da un lato, infatti, trattandosi di elemento costitutivo del reato e, non già, di mera circostanza aggravante, non entrava in gioco l'art 60 c.p.; dall'altro non risultava applicabile ratione temporis la nuova espressa disposizione di cui all'art. 602-quater, introdotta solo con l. 172/2012, e, ratione materiae, l'art. 609-sexies c.p., riguardante altre fattispecie di reato.

Il problema dell'onere di allegazione e prova dell'errore sul fatto costituente reato

Una volta sciolta la prima questione ed individuata, così, la disciplina in astratto applicabile si poneva il problema del riparto dell'onere della prova in ordine alla sussistenza di un error/ignorantia dell'età della persona offesa.

In astratto due sono le soluzioni prospettabili: a) ritenere che spetti al pubblico ministero provare, al di là di ogni ragionevole dubbio, la consapevolezza degli imputati in ordine alla minore età delle persone offese,: b) ritenere, invece, che la prova della mancata conoscenza dell'età delle persone offese, costituendo – a determinate condizioni - causa di esclusione della colpevolezza, gravi sugli imputati che ne invochino l'applicazione.

Le soluzioni giuridiche

Quanto alla prima questione, ovvero all'individuazione della disciplina applicabile, la Corte non ha avuto dubbi nell'escludere l'applicabilità al caso de quo della disposizione di cui all'art. 602-quater c.p., introdotta successivamente ai fatti oggetto di imputazione, a ciò ostando i generali principi di legalità penale ed irretroattività della legge posteriore sfavorevole (artt. 25 Cost. e art. 2, comma 4 c.p.); né ha mostrato dubbi in ordine all'impossibilità di applicazione dell'art. 609-sexies c.p., “pena la violazione del divieto di analogia in malam partem”.

Ricondotta la fattispecie alla norma generale sull'errore sul fatto (art. 47 c.p.) la Corte ha affrontato il tema, effettivamente controverso, dell'onere di allegazione e prova in ordine all'error in persona.

La S.C., sul punto, affermava: “per invocare l'errore, non è sufficiente affermare di non avere la consapevolezza su un elemento costitutivo del reato, che caratterizza il fatto tipico, perché - secondo una risalente pronuncia di questa Corte che il Collegio condivide ed alla quale occorre dare continuità - la circostanza che un soggetto abbia agito presupponendo una realtà diversa da quella effettiva non è rilevante se non risulta pienamente provata e l'onere della prova (o almeno l'onere specifico di allegazione in modo da consentire una verifica dell'assunto) incombe all'imputato in quanto l'errore sul fatto, facendo venir meno il dolo, trasferisce a carico di chi assume la mancanza di tale requisito essenziale del reato l'onere di comprovare il relativo assunto (Sez. II, 7 novembre 1969 (dep. 30 gennaio 1970) n. 2157)”.

Da tale principio di diritto la Cassazione nel caso di specie ne faceva discendere la legittimità della decisione di merito e il rigetto die ricorsoi, non essendo stata provati da parte della difesa l'ignoranza o l'error in persona, né essendo state allegate circostanze fattuali che ne facessero ritenere la sussistenza.

Osservazioni

L'errore sul fatto che costituisce reato, così come l'errore sul precetto, qualora ne ricorrano i presupposti legittimanti, rileva sul piano penale, escludendo il presupposto della colpevolezza e, dunque, la punibilità dell'agente.

Il riparto dell'onere della prova in ordine alla sussistenza dell'elemento soggettivo del reato e, correlativamente, in ordine alla esclusione di esso, può trovare adeguata soluzione solo alla luce dei principi costituzionali in gioco.

È affermazione condivisibile - che trova fondamento nella giurisprudenza costituzionale, ormai consolidata- quella per cui la colpevolezza (intesa come il complesso dei requisiti soggettivi necessari per il rimprovero del fatto all'autore, ovvero l'imputabilità ex artt. 85 e ss. c.p., la suitas della condotta ex art. 42 c.p., la conoscibilità del precetto penale ex art. 5 c.p., il dolo o la colpa ex art. 43 c.p.) costituisce principio generale dell'ordinamento che dà attuazione alla fondamentale garanzia dell'art. 27 Cost., secondo cui “la responsabilità penale è personale” (Corte Cost. nn. 364/1988 e 1085/1988). In particolare, con la sentenza n. 1085/1988 (resa in tema di c.d. furto d'uso), la Consulta, ha affermato che il principio di necessaria colpevolezza impone “quale essenziale requisito subiettivo d'imputazione, oltre alla coscienza e volontà dell'azione od omissione, almeno la colpa quale collegamento subiettivo tra l'autore del fatto ed il dato significativo (sia esso evento oppur no) addebitato”.

Tali principi sono stati ribaditi, proprio con specifico riferimento all'ignoranza/errore in ordine al requisito dell'età della persona offesa, da Corte Cost. n. 322/2007 (sentenza resa a seguito di q.l.c. sollevata con riferimento all'art. 609-sexies c.p.).

Ebbene, con tale pronuncia, sulla scorta dei già richiamati precedenti giurisprudenziali, la Corte ha chiarito che “L'ignoranza e l'errore inevitabile – per come sono stati evocati dalla sentenza n. 364 del 1988, quale coefficiente minimo indispensabile e limite estremo di rimproverabilità, e quindi di compatibilità con il principio di personalità della responsabilità penale, di cui all'art. 27, comma 1, Cost. – non possono fondarsi soltanto, od essenzialmente, sulla dichiarazione della vittima di avere un'età superiore a quella effettiva. Il giudizio di inevitabilità postula, infatti, in chi si accinga al compimento di atti sessuali con un soggetto che appare di giovane età, un “impegno” conoscitivo proporzionale alla pregnanza dei valori in giuoco, il quale non può certo esaurirsi nel mero affidamento nelle dichiarazioni del minore: dichiarazioni che, secondo la comune esperienza, possono bene risultare mendaci, specie nel particolare contesto considerato. E ciò fermo restando, ovviamente, che qualora gli strumenti conoscitivi e di apprezzamento di cui il soggetto attivo dispone lascino residuare il dubbio circa l'effettiva età – maggiore o minore dei quattordici anni – del partner, detto soggetto, al fine di non incorrere in responsabilità penali, deve necessariamente astenersi dal rapporto sessuale: giacché operare in situazione di dubbio circa un elemento costitutivo dell'illecito (o un presupposto del fatto) – lungi dall'integrare una ipotesi di ignoranza inevitabile – equivale ad un atteggiamento psicologico di colpa, se non, addirittura, di cosiddetto dolo eventuale”.

Sulla scorta di tali principi costituzionali, così come interpretati dalla Corte costituzionale deve esprimersi una riserva in ordine alla decisione (rectius, alla motivazione della decisione) in commento, dalla cui lettura potrebbe predicarsi, sic et simpliciter, la sussistenza in capo all'imputato dell'onere di provare un fatto negativo, ovvero la mancata conoscenza dell'età della persona offesa.

Deve, infatti, condividersi il diverso e più garantista orientamento della giurisprudenza di legittimità, affermatosi in risalenti pronunce, secondo cui -mentre è onere dell'imputato fornire la prova dell'errore di fatto addotto per l'applicazione di una esimente (legittima difesa, stato di necessità, ecc.)- su di lui non grava anche l'onere della prova per l'errore di fatto che inficia la coscienza della volontà dell'azione, cioè il necessario rapporto volontaristico tra il fatto ed il suo agente (Cass., Sez. V, n. 915/1970).

Operando un corretto bilanciamento dei valori costituzionali in gioco, deve, invece, ritenersi che:

1) in prima battuta, in base ai già richiamati principi costituzionali ed in forza della presunzione di non colpevolezza (art. 27, comma 2 Cost.) spetta al pubblico ministero fornire la prova (anche indiziaria) della conoscenza da parte dell'imputato dell'età della persona offesa, non essendo a tal fine sufficiente la sola prova, certamente necessaria sul piano oggettivo, della minore età del soggetto passivo del reato;

2) in seconda battuta, sempre che il pubblico ministero abbia assolto il proprio onere della prova, la difesa – ove intenda far valere la dell'error facti - non potrà certo limitarsi ad affermare l'ignoranza o l'errore in relazione a tale elemento costitutivo del reato, dovendo invece assolvere al proprio onere di allegazione di fatti e circostanze idonei a suffragare la tesi prospettata;

3) in base agli artt. 609-sexies e 602-quater c.p., ove applicabili ratione materiae e ratione temporis, dovrà ritenersi preclusa la possibilità per la difesa di invocare l'errore o l'ignoranza dell'imputato in ordine all'età della persona offesa; ove, tuttavia, si tratti di errore o ignoranza inevitabile, la difesa potrà invocare la scusante ma sarà gravata da un onere ben più gravoso, dovendo non solo dimostrare l'effettiva sussistenza al momento del fatto di un error vel ingorantia, ma anche provare che esso è dipeso, in concreto, da cause a lui non imputabili.

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