Investigazioni difensive e acquisizione di informazioni da persone di minore età

23 Settembre 2015

L'audizione di persona di minore età durante le investigazioni difensive ripropone ed enfatizza le problematiche sottese all'esame di tali soggetti: da una parte, occorre proteggere l'integrità psichica di un soggetto per definizione debole, dall'altra è necessario verificare l'utilità dell'apporto conoscitivo in funzione della capacità a deporre e dell'attendibilità della persona sentita. Benché le regole processuali e deontologiche mirino a garantire tali esigenze, il quadro normativo si rivela comunque insufficiente e non sempre fornisce una guida operativa sicura.
Abstract

L'audizione di persona di minore età durante le investigazioni difensive ripropone ed enfatizza le problematiche sottese all'esame di tali soggetti: da una parte, occorre proteggere l'integrità psichica di un soggetto per definizione debole, dall'altra è necessario verificare l'utilità dell'apporto conoscitivo in funzione della capacità a deporre e dell'attendibilità della persona sentita.

Benché le regole processuali e deontologiche mirino a garantire tali esigenze, il quadro normativo si rivela comunque insufficiente e non sempre fornisce una guida operativa sicura.

L'esame del minore in generale

L'ascolto di persone di minore età nel procedimento penale presenta profili problematici di difficile soluzione vuoi sul piano tecnico (modalità dell'esame e contributo degli esperti) che sul piano giuridico (bilanciamento tra diritto di difesa e tutela della salute psichica del minore): se le convenzioni internazionali impongono una particolare attenzione ogni qual volta il minore sia anche vittima del reato per cui si procede, la particolare delicatezza del rapporto con questa fonte dichiarativa non viene meno quando si tratti di semplice testimone dei fatti. È, infatti, noto e scientificamente dimostrato che, in specie nei minori degli anni 10, si registra un elevato livello di suggestionabilità col conseguente pericolo che l'adulto che conduce l'esame ne possa influenzare i risultati con le proprie domande; il processo di recupero del ricordo, inoltre, è strettamente connesso alla narrazione, con la conseguenza che la ripetizione del ricordo può costituire un fattore di rischio rispetto all'incorporazione nello stesso di elementi non veritieri. Nell'esame del minore è poi indispensabile tenere conto delle capacità di comprensione ed espressione linguistica, del grado di maturazione intellettiva e della capacità di esprimere un giudizio morale, che dovranno essere ricostruiti anche in relazione all'epoca del fatto narrato.

Può dirsi ormai pacifico il principio secondo il quale l'ascolto del minore presuppone la verifica della sua capacità o idoneità a testimoniare, da mantenere su un piano rigorosamente distinto rispetto alla valutazione di attendibilità: mentre la prima è normalmente demandata ad un perito (ma non deve escludersi che la capacità di minori in età scolare o adolescenziale privi di patologie psichiche possa essere direttamente apprezzata dal giudice: Cass. pen., Sez. III, 6 novembre 2007, n. 44971), la seconda è riservata esclusivamente al giudice (Cass. pen., Sez. III, 30 settembre 2014, n. 45920; Cass. pen., Sez. III, 27 maggio 2010 n. 24464).

Relativamente alle modalità dell'esame, il progresso degli studi di psicologia giuridica, neuropsichiatria infantile, psichiatria e neuropsicologia, ha consentito nel tempo l'elaborazione di linee guida, o protocolli, che rispecchiano le posizioni condivise dalla larga maggioranza della comunità scientifica. Questi strumenti, tra i quali si annoverano la “Carta di Noto” (Linee Guida per L'esame del Minore in Caso di Abuso Sessuale, revisione III, 12 giugno 2011) e le Linee Guida Nazionali per l'Ascolto del Minore Testimone (Roma, 6 novembre 2010) si propongono di garantire, in uno, uniformità di metodo, affidabilità di risultati, genuinità delle dichiarazioni e protezione psicologica del dichiarante: la giurisprudenza di legittimità, pur ribadendo che la deviazione da tali protocolli non determina nullità o inutilizzabilità dell'esame (Cass. pen., Sez. III, 26 novembre 2014, n. 4922), ha sottolineato come essi rappresentino “un formidabile strumento di verifica dei dati probatori acquisiti nel processo” (Cass. pen., Sez. III, 30 settembre 2014, n. 45920) così divenendo parametro sul quale valutare la tenuta del ragionamento logico e argomentativo della sentenza sottoposta a gravame.

La riflessione sul metodo non è evidentemente aliena alla fase investigativa del procedimento penale, sia essa condotta dal P.M. ovvero dalla difesa: è proprio in questo momento che errori metodologici nell'esame del minore, in specie laddove si tratti di prima audizione, possono inquinare irreversibilmente la genuinità della deposizione ovvero consegnare al prosieguo della vicenda processuale elementi istruttori oggettivamente deboli in punto di attendibilità.

Regole processuali e deontologiche

Le disposizioni codicistiche sulle investigazioni difensive non prevedevano, in origine, regole particolari per l'assunzione di dichiarazioni da persone di minore età: la legge n. 172 del 1 ottobre 2012 di ratifica della Convenzione del Consiglio d'Europa per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l'abuso sessuale (Convenzione di Lanzarote) ha però inserito nel testo dell'art. 391-bis c.p.p. il comma 5 bis che impone al difensore di avvalersi di un esperto in psicologia o psichiatria infantile ogni qual volta debba assumere informazioni da un minore “nei procedimenti per i delitti di cui all'art. 351, comma 1-ter” (maltrattamenti contro famigliari o conviventi, riduzione o mantenimento in schiavitù, prostituzione minorile, pornografia minorile, detenzione di materiale pedo-pornografico, pornografia virtuale, iniziative turistiche volte ballo sfruttamento della prostituzione minorile, tratta di persone, acquisto ed alienazione di schiavi, violenza sessuale, atti sessuali con minorenne, corruzione di minorenne, violenza sessuale di gruppo, adescamento di minorenni, atti persecutori). Va sottolineato che la l. 172/2012 ha introdotto analogo obbligo anche per il P.M. (art. 362, comma 1-bis, c.p.p.) e la P.G. (art. 351, comma 1-ter, c.p.p.).

L'obbligo di assistenza dell'esperto pare, dunque, limitato a particolari reati e ad una sola tipologia di atto, l'assunzione di informazioni, con esclusione del colloquio non documentato e della ricezione di dichiarazione sottoscritta.

La collocazione sistematica prima del comma 6 dell'art. 391-bis c.p.p., fa sì che alla mancata assistenza dell'esperto nei casi previsti dalla legge consegua l'inutilizzabilità dell'atto e l'obbligo per il giudice che procede di comunicare la violazione all'organo titolare del potere disciplinare.

Ed invero, le disposizioni del codice di procedura penale trovano significativa integrazione nel nuovo Codice Deontologico Forense, che dedica all'ascolto del minore l'art. 56. La norma, di applicazione non esclusivamente penalistica, prevede che in linea generale l'ascolto del minore sia subordinato al consenso degli esercenti la responsabilità genitoriale “sempre che non sussista conflitto d'interesse con gli stessi”. Nel procedimento penale per qualunque ipotesi di acquisizione di notizia dal minore (colloquio non documentato, dichiarazione scritta, sommarie informazioni verbalizzate) sussiste l'obbligo di invito formale degli esercenti la responsabilità genitoriale con indicazione della facoltà di intervenire all'atto e della presenza dell'esperto nei casi previsti dalla legge e in ogni caso in cui il minore si anche persona offesa dal reato. Qualunque violazione delle regole dettate dal Codice Deontologico Forense è severamente sanzionata con la sospensione dall'esercizio della professione da sei mesi ad un anno.

Codice Deontologico Forense

Codice di Procedura Penale

  • Obbligo di assistenza dell'esperto nei casi previsti dalla legge e quando il minore è persona offesa
  • Necessità di consenso degli esercenti la potestà genitoriale salva l'ipotesi di conflitto d'interessi
  • Obbligo di invito formale agli esercenti la potestà genitoriale con indicazione della facoltà di intervenire all'atto
  • Sanzione della sospensione dalla professione da 6 mesi a 1 anno per qualunque violazione dei doveri sopra esposti
  • Obbligo di assistenza dell'esperto nei casi previsti dall'art. 351, comma 1-ter c.p.p.
  • Sanzione della inutilizzabilità dell'atto e comunicazione all'organo titolare dell'azione disciplinare
  • Obbligo di assistenza dell'esperto nei casi previsti dall'art. 351, comma 1-ter, c.p.p.
  • Sanzione della inutilizzabilità dell'atto e comunicazione all'organo titolare dell'azione disciplinare

Né il codice di procedura penale, né quello deontologico pongono ulteriori distinzioni a seconda dell'età del minore: ne discende che laddove si rientri nelle ipotesi previste, anche il minore prossimo alla maggiore età dovrà essere sentito con l'assistenza dell'esperto.

Profili critici nella prassi e nella giurisprudenza

Le regole procedurali e deontologiche sono incomplete e lasciano irrisolte alcune questioni di importanza non secondaria: manca, in particolare, qualunque indicazione in merito alle concrete modalità dell'esame e al ruolo dell'esperto, lasciando alla discrezione del difensore stabilire chi debba condurre l'esame, anche nei confronti di minori in età prescolare.

Nell'ipotesi di minore testimone che venga sentito su fatti riconducibili alle ipotesi di maltrattamenti in famiglia o atti persecutori, rispetto ai quali gli esercenti la responsabilità genitoriale assumano rispettivamente il ruolo di persona sottoposta alle indagini e persona offesa, si verifica un vero e proprio corto circuito normativo: il codice deontologico forense impone, infatti, l'avviso agli esercenti la responsabilità genitoriale con indicazione della facoltà d'intervenire all'atto mentre l'art. 391-bis, comma 8, c.p.p. vieta che all'assunzione delle informazioni assista la persona sottoposta alle indagini o la persona offesa. D'altro canto, si ritiene che la presenza del genitore durante l'ascolto del minore sia decisamente sconsigliabile in presenza di conflitti tra genitori e nel caso in cui la figura parentale sia stata la prima destinataria delle rivelazioni del minore: in entrami i casi, infatti, è molto elevato il rischio di condizionamenti.

Ancora, l'art. 391-bis comma 5-bis c.p.p. circoscrive l'assistenza dell'esperto all'ipotesi dell'assunzione di informazioni, con ciò apparentemente autorizzando il rilascio di una dichiarazione scritta (in ipotesi preceduta da un colloquio non documentato) senza alcuna assistenza: ferma la sanzione prevista dall'art. 56 del codice deontologico forense e fatta salva la valutazione di attendibilità da parte del giudicante, tale atto dovrebbe ritenersi processualmente utilizzabile.

Laddove, invece, si proceda all'assunzione di informazioni da persona di minore età in procedimenti relativi ai reati indicati dall'art. 351, comma 1-ter, c.p.p., senza l'assistenza dell'esperto, l'atto verrà dichiarato inutilizzabile: per contro, la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto che la violazione dell'identico obbligo imposto alla P.G. e al P.M. dagli art. 351, comma 1-ter, c.p.p., e 362 co. 1 bis c.p.p. non determini alcuna nullità o inutilizzabilità, attesa la mancanza di una previsione normativa espressa (Cass. Sez. IV, 12 marzo 2013, n. 16981; Cass. Sez. III, 10 dicembre 2013, n. 3651). L'evidente disparità di trattamento può trovare giustificazione soltanto nella prospettiva d'un pregiudizio negativo in merito alle attività d'investigazione difensiva, con evidente violazione delle finalità perseguite dal diritto sovranazionale e dalla legge che ne ha dato attuazione nel nostro paese.

In conclusione

L'esame del minore in sede di investigazioni difensive rappresenta un'eventualità alla quale il difensore deve essere tecnicamente e deontologicamente preparato, in specie laddove si tratti del primo ascolto di minorenne che sia anche persona offesa dal reato.

Se il rispetto delle regole deontologiche garantisce l'assistenza degli esperti in un ventaglio di casi più ampi di quelli indicati dal codice di rito, il difensore dovrà valutare l'opportunità di ricorrere all'assistenza dell'esperto ogni qual volta si presenti la necessità di assumere informazioni da persona di minore età indipendentemente dal titolo di reato per il quale si procede, come opportunamente suggerito anche da codici di comportamento di livello associativo (cfr. Regole di Comportamento del Penalista nelle Indagini Difensive della Unione delle Camere Penali Italiane, art. 10).

Secondo le indicazioni elaborate in termini generali dalla Corte di Cassazione, in tutti i casi dubbi (minori di anni dieci, presenza di patologie, ritardi cognitivi) l'esperto dovrà essere chiamato a pronunciarsi in primo luogo sulla idoneità a deporre del minore, fornendo poi la necessaria assistenza durante l'esame: la collaborazione tra difensore e consulente, consentirà di individuare i casi nei quali è opportuno che l'esame venga condotto esclusivamente dall'esperto ovvero con la sua semplice mediazione.

In ogni caso, l'esame del minore dovrà essere condotto secondo linee guida approvate dalla comunità scientifica, aggiornate e scientificamente verificabili.

Quanto alle modalità di documentazione del colloquio, il codice deontologico forense, superando le incerte indicazioni del codice di rito, prescrive in termini generali che in ipotesi di riproduzione fonografica del colloquio le informazioni possano essere documentate anche in forma riassuntiva (Codice Deontologico Forense, art. 55 comma 10): la necessità di superare la “diffidenza” che, anche nel momento di valutazione dei risultati, circonda le investigazioni difensive, suggerisce che le informazioni assunte vengano verbalizzate in forma integrale e che la registrazione del colloquio avvenga in ogni caso e sia affidata esclusivamente alla videoregistrazione. Solo questo strumento, infatti, garantisce la possibilità di apprezzare tutte le modalità espressive dei minori, ricche di aspetti non verbali.

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