Imprevedibile il suicidio del detenuto in isolamento, nessuna responsabilità in capo al medico di guardia

Redazione Scientifica
23 Settembre 2016

All'imputata era stato addebitato il delitto di omicidio colposo in quanto in presenza di un detenuto con disturbi psichici, disagio ed insofferenza da questi manifestati verso il compagno di cella, aveva disposto l'isolamento, senza sorveglianza e senza che fossero asportate le lenzuola dal materasso. Durante tale isolamento il detenuto si suicidava ...

Per configurare l'elemento soggettivo della colpa per violazione di una regola precauzionale è necessario sussista la prevedibilità ed evitabilità dell'evento, da valutarsi alla stregua dell'agente modello razionale, tenuto conto delle circostanze del caso concreto conosciute o conoscibili dall'agente reale.

Con tali motivazioni la Cassazione penale, Sez. IV, sentenza n. 39028 del 20 settembre 2016, ha ritenuto corretta l'assoluzione per mancanza di prova dell'elemento soggettivo del reato, emessa in primo grado e confermata in appello, nei confronti del medico di guardia della Casa circondariale di Biella.

All'imputata era stato addebitato il delitto di omicidio colposo in quanto in presenza di un detenuto con disturbi psichici, disagio ed insofferenza da questi manifestati verso il compagno di cella, aveva disposto la sua restrizione in una cella di isolamento, senza sorveglianza e senza che fossero asportate le lenzuola dal materasso. Durante tale isolamento il detenuto si suicidava per impiccagione all'inferriata della cella.

I giudici di legittimità ritengono non potesse sussistere alcuna prevedibilità dell'evento dato che gli specialisti avevano rilevato una stabilizzazione della situazione clinica del soggetto, tanto da reinserirlo nel normale circuito carcerario. Sebbene stabilizzazione non significhi guarigione – si legge nella sentenza – era pur sempre indicativa dell'assenza di una situazione di pericolo. La stessa scaturigine dell'intervento del medico di guardia non lasciava presagire l'evento verificatosi, considerato che il D. aveva manifestato aggressività nei confronti di un compagno di cella e non contro sé stesso.

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