La rilevanza delle valutazioni nei reati societari e tributari

23 Dicembre 2015

L'eliminazione del richiamo alle valutazioni recepita, nei nuovi testi degli articoli 2621 e 2622 c.c., modificati dalla l. 27 maggio 2015, n. 69 solleva, tra gli altri, un problema di coordinamento, all'interno del sistema dei reati societari, con l'art. 2638 c.c. e, all'esterno di tale ambito, con la normativa penale tributaria. Il presente contributo si prefigge l'obiettivo di fugare possibili dubbi e favorire una più agevole lettura degli ultimi interventi legislativi, tenendo in debito conto i più autorevoli spunti dottrinali e i primi significativi orientamenti giurisprudenziali.
Abstract

L'eliminazione del richiamo alle valutazioni recepita, nei nuovi testi degli articoli 2621 e 2622 c.c., modificati dalla l. 27 maggio 2015, n. 69 solleva, tra gli altri, un problema di coordinamento, all'interno del sistema dei reati societari, con l'art. 2638 c.c. e, all'esterno di tale ambito, con la normativa penale tributaria. Diventa, dunque, fondamentale stabilire, di volta in volta, quando una voce di bilancio possa essere qualificata come fatto materiale, a contenuto oggettivo, ovvero quando essa sia una mera valutazione di natura soggettiva, di per sé, penalmente irrilevante.

Il presente contributo si prefigge l'obiettivo di fugare possibili dubbi e favorire una più agevole lettura degli ultimi interventi legislativi, tenendo in debito conto i più autorevoli spunti dottrinali e i primi significativi orientamenti giurisprudenziali.

Le valutazioni ai fini di bilancio

Negli ultimi anni, il legislatore ha posto sempre più attenzione al tema delle valutazioni ai fini di bilancio, in virtù del fatto che la maggior parte delle voci di cui quest'ultimo si compone è soggetta a un processo valutativo, come testimoniato, fra gli altri, dagli artt. 2424, 2425 e 2426 c.c.

In particolare, il d.Lgs. 18 agosto 2015, n. 139 – con il quale è stata recepita la direttiva 2013/34/Ue relativa ai bilanci d'esercizio, ai bilanci consolidati e alle relative relazioni di talune tipologie di imprese, recante modifica della direttiva 2006/43/Ce e abrogazione delle direttive 78/660/Cee e 83/349/Cee, per la parte relativa alla disciplina del bilancio di esercizio e di quello consolidato per le società di capitali e gli altri soggetti individuati dalla legge – rappresenta l'ultimo approdonell'ambito del processo di progressivo ridimensionamento del criterio del costo storico, a favore del c.d. fair value per una informativa di bilancio, meno oggettiva, ma più rispondente all'esigenza di fornire una superiore capacità informativa.

Tale fenomeno assume, sul versante penalistico, particolare rilievo, laddove si consideri che la violazione della normativa di riferimento, comportando la redazione di un bilancio falso, determina la possibile configurabilità del reato di false comunicazioni sociali.

Ed è proprio in relazione a tale delitto che il dibattito, in tema di valutazioni, è ritornato in auge, in quanto la recente l. 27 maggio 2015, n. 69, modificando gli artt. 2621 e 2622 c.c., ha espunto dal testo di legge qualsiasi riferimento alle valutazioni in precedenza contenuto nella formula utilizzata dal legislatore del 2002 (si tratta, in particolare, dell'inciso ancorché oggetto di valutazioni e delle valutazioni estimative richiamate nel quarto comma dell'art. 2621c.c. e nell'ottavo comma dell'art. 2622c.c.).

Inoltre, giova evidenziare, soprattutto nei casi in cui il contribuente sia una società di capitali, che lo stretto legame tra il bilancio e la dichiarazione dei redditi farebbe sì che la commissione di un illecito penale tributario sia frequentemente accompagnata, per l'appunto, dalla manipolazione di dati di bilancio. Non è, dunque, remota l'ipotesi di molteplici casi di concorso (materiale) tra i reati tributari e le figure di false comunicazioni sociali come introdotte dalla l. 69/2015.

Ai fini della trattazione della tematica in oggetto, è interessante notare come il legislatore, negli ultimi tempi, abbia manifestato un atteggiamento piuttosto oscillante in relazione alla rilevanza delle valutazioni nell'ambito del diritto penale dell'economia.

La sopravvenuta esclusione della rilevanza penale delle valutazioni in tema di falso in bilancio

In tema di false comunicazioni sociali, abbiamo assistito, per tramite delle modifiche apportate dalla citata legge 69/2015, ad un vero e proprio cambio di programma da parte del legislatore rispetto alle scelte di politica criminale compiute nel 2002.

Tra le varie novità normative vanno annoverate: l'introduzione di due distinti delitti di sola condotta, a seconda che il reato riguardi società non quotate (art. 2621 c.c.) o quotate nei mercati ufficiali o a queste equiparate (art. 2622 c.c.); la soppressione dell'evento naturalistico (il danno patrimoniale) che caratterizzava l'art. 2622c.c. con conseguente qualificazione di reati di pericolo per entrambe le fattispecie incriminatrici; la scomparsa delle soglie di punibilità, individuando il fatto tipico in falsità attive od omissive relative a fatti materiali (rilevanti per quelle omissive e solo nell'ambito delle società non quotate per quelle attive) la procedibilità d'ufficio; la necessità del dolo specifico e l'irrilevanza del dolo eventuale attraverso l'inserimento dell'avverbio consapevolmente; l'introduzione degli artt. 2621-bis e 2621-ter c.c.; la modifica all'art. 25-ter, comma 1, del d.lgs. 231/2001.

Ma l'elemento più rilevante è, senza dubbio, rappresentato dall'eliminazione del rilievo penale delle valutazioni false relative alle appostazioni di bilancio. Le nuove fattispecie, infatti, non richiamano in alcun modo le valutazioni come oggetto di falsità, ponendo all'interprete la questione se esse possano o meno rilevare ai fini della sussistenza del reato.

Va, altresì, considerato che a seconda della soluzione che si intende fornire a tale questione, diverse saranno le ricadute in ordine alla configurazione del delitto di bancarotta impropria di cui all'art. 223, comma 2, n. 1, l. fall., atteso che escludere o meno la rilevanza della valutazioni dalla nozione di falsa comunicazione sociale significa restringere o lasciare inalterato l'ambito applicativo della norma appena richiamata.

Sul punto, si registrano opinioni discordanti, non solo in dottrina ma anche in giurisprudenza, in particolare in seno alla Quinta Sezione penale della Corte di Cassazione, la quale nelle sue due uniche sentenze finora pronunciate ha risolto la questione in modo opposto.

Se con sentenza del 16 giugno 2015, n. 33774 la Cassazione afferma l'irrilevanza penale delle valutazioni, ritenendo che si sia verificata un'ipotesi di abolitio criminis per discontinuità normativa ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 2, comma 2, c.p., nell'informazione provvisoria 13/2015 la Corte, in difformità alla precedente pronuncia, afferma la persistente rilevanza penale degli enunciati valutativi.

A nostro avviso, l'opzione interpretativa da preferire è quella che ritiene la sopravvenuta irrilevanza penale delle valutazioni ai fini dei novellati artt. 2621 e 2622 c.c., in quanto è l'unica compatibile con il principio di legalità, nella sua accezione di riserva assoluta di legge e di tassatività della fattispecie penale. Del resto, l'esplicito cambio di rotta nella formulazione della citata fattispecie è indicativo di una chiara e netta opzione interpretativa, dal momento che il legislatore non è nuovo all'utilizzo di siffatta terminologia.

Casi residui di rilevanza penale delle valutazioni estimative: a) nell'art. 2638 c.c.

Rimanendo nel contesto dei reati societari, si evidenzia, in particolare, che l'art. 2638 c.c. (Ostacolo all'esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza) continua a fare esplicito riferimento alle valutazioni, peraltro proprio a precisazione contenutistica della stessa locuzione fatti materiali non rispondenti al vero.

Tale disposizione punisce, infatti, i medesimi soggetti attivi dei reati si cui agli artt. 2621 e 2622 c.c. (vale a dire, gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci, i liquidatori di società) che, nelle comunicazioni dirette alle autorità pubbliche id vigilanza, espongono fatti materiali non rispondenti al vero, ancorché oggetto di valutazioni. Espressione quest'ultima del tutto coincidente con quella contenuta nell'art. 2621 c.c. nella sua formulazione previgente alla riforma del 2002.

E, proprio sulla portata contenutistica della condotta descritta nell'art. 2638 c.c., la Corte di cassazione ha rilevato che «in tema di false comunicazioni all'autorità di vigilanza, quale novellato dal d.lgs. n. 61 del 2002, deve ritenersi tuttora configurabile il reato anche nel caso in cui la falsità sia contenuta in giudizi estimativi delle poste di bilancio, atteso che dal novero dei fatti materiali, indicati dall'attuale norma incriminatrice come possibile oggetto della falsità, vanno escluse soltanto le previsioni o congetture prospettate come tali, vale a dire quali apprezzamenti di carattere squisitamente soggettivo, e l'espressione, riferita agli stessi fatti, ancorché soggetti a valutazione, va intesa in senso concessivo, per cui, in ultima analisi, l'oggetto della vigente norma incriminatrice viene a corrispondere a quello della precedente, che prevedeva come reato la comunicazione all'autorità di vigilanza di “fatti non corrispondenti al vero”» (cfr. Cass. pen., Sez. V, 28 settembre 2005, n. 44702).

Inoltre, è stato osservato come l'utilizzo, all'interno del primo comma dell'art. 2638 c.c. (ma anche nella precedente versione degli artt. 2621 e 2622 c.c.), dell'espressione fatti materiali non possa trarre in inganno perché la successiva locuzione ancorché oggetto di valutazioni, nella sua natura di elemento essenziale della fattispecie, vale ad estendere la portata delle previsione, escludendo soltanto le mere valutazioni di natura meramente soggettiva, c.d. stime di bilancio congetturali (cfr. in senso adesivo la seguente giurisprudenza: Cass. pen., Sez. V, 7 dicembre 2012, n. 49362).

Segue: b) nei reati tributari

Passando all'ambito dei reati tributari, si ricorderà che la locuzione «fatti materiali» era già stata utilizzata dalla legge 154/1991 per circoscrivere l'oggetto del reato di frode fiscale di cui all'art. 4, lett. f), legge 516/1982, con il chiaro intento di escludere le valutazioni relative alle componenti attive e passive del reddito dichiarato. La disposizione di legge citata puniva, infatti, l'utilizzazione di documenti attestanti fatti materiali non corrispondenti al vero, nonché il compimento di comportamenti fraudolenti idonei ad ostacolare l'accertamento dei fatti materiali.

Tale scelta, tuttavia, veniva successivamente superata dal legislatore della riforma dei reati tributari del 2000, con la quale veniva modificata l'espressione normativa e attribuita rilevanza penale alle valutazioni estimative divergenti da quelle ritenute corrette, seppur entro la soglia di tolleranza del 10% (art. 7, comma 2, d.lgs. 74/2000) fino ad arrivare all'ultima tappa del percorso di riforma in materia rappresentata dal d.lgs. 158 del 24 settembre 2015, n. 158 (entrato in vigore il 22 ottobre 2015).

Per ciò che rileva in tale sede, vanno evidenziate:

a) la riscrittura del delitto di dichiarazione infedele (art. 4, d.lgs. 74/2000) e

b) l'abrogazione espressa dell'art. 7, d.lgs. 74/2000 recante disposizioni in materia di Rilevazioni nelle scritture contabili e nel bilancio.

Come è noto, dette disposizioni - riferite specificamente ai delitti in dichiarazione di cui agli artt. 3 e 4 d.lgs. 74/2000 e qualificate dalla relazione allo stesso decreto legislativo come regole di esclusione, con presunzione assoluta, del dolo di evasione - miravano ad attenuare gli effetti dell'attribuzione di rilievo penale ad operazioni contabile a carattere latu sensu valutativo, costituente una delle novità più rilevanti della riforma penale tributaria del 2000.

A tal fine, si prevedeva:

a) che la violazione dei criteri di determinazione dell'esercizio di competenza non desse luogo a fatto punibile quando fosse espressione di metodi costanti di impostazione contabile;

b) che l'inosservanza delle regole extrapenali che presiedono alle rilevazioni e alle stime non avesse del pari rilievo allorché i criteri concretamente applicati fossero stati comunque indicati in bilancio;

c) una “franchigia penale” per le valutazioni estimative che singolarmente considerate, differissero in misura inferiore al 10% da quelle corrette.

Ebbene, tali ipotesi di non punibilità, originariamente riferite anche al delitto di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifizi, sono state trasposte nel testo del nuovo art. 4 dove hanno subito modifiche di non poco momento.

Al comma 1-bis viene, difatti, stabilito che: Ai fini dell'applicazione della disposizione del comma 1, non si tiene conto della non corretta classificazione, della valutazione di elementi attivi o passivi oggettivamente esistenti, rispetto ai quali i criteri concretamente applicati sono stati comunque indicati in bilancio ovvero in altra documentazione rilevante ai fini fiscali, della violazione dei criteri di determinazione dell'esercizio di competenza, della non inerenza e della non deducibilità di elementi passivi reali. Al di fuori di tali ipotesi, si prevede che non danno luogo a fatti punibili le valutazioni estimative che, singolarmente considerate, differiscono in misura inferiore al dieci per cento da quelle corrette. Degli importi compresi in tale percentuale non si tiene conto nella verifica del superamento delle soglie di punibilità previste nel comma 1, lettere a) e b) (comma 1-ter).

Dunque, l'unica previsione a rimanere integra è quella relativa all'ipotesi di esclusione della punibilità concernente le valutazioni che, singolarmente considerate, differiscano in misura inferiore al 10% da quelle corrette: disposizione oggi riferibile, vale la pena di ribadirlo, solo al delitto di dichiarazione infedele.

Tale previsione è, peraltro, introdotta dalla clausola di sussidiarietà espressa fuori dai casi di cui al comma 1-bis, con la quale si è inteso chiarire che la franchigia del 10% (costituente un vero e proprio limite di tipicità) opera laddove la punibilità non debba già essere esclusa sulla base degli elementi individuati nel comma 1-bis.

In conclusione

In un sistema che riguarda la rilevanza penale delle attività societarie, la differenziazione dell'estensione della condotta tipizzata in paralleli ambiti operativi, quali sono quelli degli artt. 2621 e 2622 c.c., da una parte, e art. 2638 c.c., dall'altra, appare difficilmente giustificabile, soprattutto se si considera che queste norme, sebbene tutelino beni giuridici diversi, sono comunque finalizzate a sanzionare la frode nell'inadempimento dei doveri informativi.

Peraltro, la nuova disciplina dei reati tributari, nel continuare ad assegnare rilevanza penale alle valutazioni estimative, risulta in maggior misura penalizzante rispetto a quella societaria, laddove la nuova formulazione del reato di false comunicazioni sociali rende meno ampia la sfera di applicabilità della fattispecie rispetto alle precedenti versioni.

Per una tenuta razionale del sistema penale economico diventa allora necessario invocare un intervento legislativo chiaro e coerente dal punto di vista sistematico nella delimitazione del fatto penalmente rilevante, onde favorire un'uniforme ed efficace applicazione degli istituti di riferimento al riparo da possibili valutazioni discrezionali da parte della magistratura.

Guida all'approfondimento

P. Aldrovandi, Commento alle modifiche apportate al d.lgs. 10.3.2000, n. 74 dal d.lgs. 24.9.2015, n. 158 (pubblicato in Supp. ordinario n. 55 alla Gazz. Uff. 7.10.2015, n. 233 ed entrato in vigore il 22.10.2015), in Appendice di aggiornamento on line al Codice penale d'impresa, a cura di A. Lanzi e G. Insolera, Roma, 2015;

R. Bricchetti e L. Pistorelli, La lenta “scomparsa” del diritto penale societario italiano, in Guida al Diritto, n. 26/2015, p. 53 ss.;

F. D'Alessandro, La riforma delle false comunicazioni sociali al vaglio del Giudice di legittimità: davvero penalmente irrilevanti le valutazioni mendaci?, in Giur. it., 2015;

M. Gambardella, Il ritorno del delitto di false comunicazioni sociali: tra fatti materiali rilevanti, fatti di lieve entità e fatti di particolare tenuità, in Cass. pen., 2015, pagg. 1723 ss.;

A. Lanzi, Appendice al Codice penale d'impresa, a cura di A. Lanzi e G. Insolera, Roma, 2015, pagg. 1245 ss.;

A. Lanzi, Quello strano scoop del falso in bilancio che torna reato, in Guida al diritto, n. 26/2015, pagg. 10 ss;

A. Lanzi, P. Aldrovandi, Diritto penale tributario, Padova, 2014, pagg. 266 ss.;

F. Mucciarelli, Le “nuove” false comunicazioni sociali: note in ordine sparso, in Diritto Penale Contemporaneo, 18 giugno.

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