La presenza del detenuto dinanzi al tribunale del riesame

23 Dicembre 2015

Il soggetto detenuto (per via del provvedimento cautelare impugnato o per altra causa) o internato, o comunque sottoposto ad altra misura privativa o limitativa della libertà personale, il quale intenda, anche per il tramite del suo difensore, esercitare il diritto di comparire personalmente all'udienza camerale, deve averne fatto richiesta nell'istanza di riesame.
Massima

Il soggetto detenuto (per via del provvedimento cautelare impugnato o per altra causa) o internato, o comunque sottoposto ad altra misura privativa o limitativa della libertà personale, il quale intenda, anche per il tramite del suo difensore, esercitare il diritto di comparire personalmente all'udienza camerale, deve averne fatto richiesta nell'istanza di riesame.

Il caso

Il tribunale del riesame di Brescia confermava il provvedimento con il quale il Gip del tribunale di Bergamo aveva applicato all'indagato la misura della custodia in carcere per il reato di detenzione illegale di armi clandestine rigettando l'eccezione di nullità dell'udienza camerale per omessa traduzione dell'indagato che ne aveva fatto richiesta.

I giudici bresciani hanno ritenuto che la disciplina introdotta con la l. 47/2015, modificativa dell'art. 309 c.p.p. (commi 6 e 8-bis), ha riordinato la materia riconoscendo che a tutti gli indagati un identico diritto di partecipazione, cioè senza differenze originate dal luogo di detenzione.

I decidenti hanno ritenuto che la novella abbia peraltro risolto in radice ogni questione fattuale sulla tempestività o meno della richiesta dell'indagato, attraverso la previsione che impone la veicolazione della richiesta stessa con l'istanza di riesame del provvedimento cautelare.

L'individuazione legislativa del momento preciso in cui deve essere esercitato il diritto in questione varrebbe a scongiurare soluzioni differenziate sulla base di una nozione, invero assai discrezionale, di tempestività della domanda.

Secondo il tribunale, l'obiezione di una difficoltà dell'indagato circa la conoscenza di questo specifico obbligo, qualora si fosse personalmente attivato per proporre l'impugnazione, non sarebbe dirimente, atteso che la presentazione personale dell'impugnazione non esonera l'interessato dal rispetto delle forme procedimentali, né lo rende immune dalle conseguenze di carattere preclusivo discendenti dall'inosservanza delle norme procedurali prescritte.

Ad avviso del Giudice a quo, neppure valeva l'obiezione di una compressione dei

diritti dell'indagato in ragione di un adempimento ulteriore ristretto nelle suddette forme.

Invero, a differenza del sistema pregresso, la richiesta di comparizione non doveva essere formulata personalmente dall'interessato, essendo sufficiente il suo inserimento nel ricorso, ancorché presentato dal difensore. Ciò era dato desumere dal disposto dell'art. 309, comma 6, c.p.p. che, a differenza dell'art. 309, comma 9-bis, c.p.p., non imponeva che la richiesta di comparire fosse avanzata personalmente dall'indagato (tale avverbio nel comma 6 essendo riferito alla comparizione); pertanto, proprio in ragione dello stretto collegamento instaurato tra atto d'impugnazione e richiesta di comparizione, doveva ritenersi che la relativa domanda potesse essere inserita anche nel ricorso sottoscritto esclusivamente dal difensore.

Non avendo l'indagato presentato la richiesta di partecipare all'udienza camerale contestualmente all'istanza di riesame, l'eccezione di nullità dedotta doveva essere disattesa.

La questione

La questione in esame è la seguente: in seguito alla riforma della disciplina contenuta nell'art. 309 c.p.p. in materia di riesame delle misure cautelari, l'indagato (o imputato) che intenda partecipare all'udienza di riesame deve necessariamente farne specifica istanza al momento della presentazione della richiesta di riesame o può manifestare tale intenzione anche successivamente?

Le soluzioni giuridiche

Pur trattandosi delle prime decisioni dopo l'entrata in vigore della l. 47 del 2015, in giurisprudenza si sono registrati due orientamenti, l'uno volto a riconoscere il diritto del detenuto di presenziare alla udienza per essere sentito personalmente solo se la richiesta di audizione è formalizzata in modo tale da rendere manifesta la volontà di rendere dichiarazioni su questioni di fatto concernenti la propria condotta (Cassazione penale, Sez. II, 5 novembre 2014, n. 6023), l'altro volto a riconoscere, alla stregua dei principi affermati dalla Corte costituzionale con la sentenza 31 gennaio 1991, n. 45, che, qualora l'interessato, detenuto o internato in luogo posto fuori dalla circoscrizione del giudice, avanzi richiesta di essere sentito personalmente, il giudice sia vincolato, a pena di nullità, a disporne la traduzione davanti a sé, senza possibilità di alcuna valutazione discrezionale. Con la conseguenza che la mancata traduzione in udienza o comunque la mancata possibilità di presenziare all'udienza da parte dell'interessato qualora lo abbia richiesto, eventualmente attraverso le modalità di videoconferenza, dà luogo a nullità assoluta ed insanabile (Cass., pen., Sez. I, 16 aprile 2004, n. 21015).

Osservazioni

Nella prima pronuncia della Corte di legittimità sull'interpretazione di una norma della nuova disciplina, introdotta dalla legge 16 aprile 2015, n. 47, sulle misure cautelari personali, si formula il seguente principio di diritto: Il combinato disposto dei commi 6 e 8-bis del novellato articolo 309 c.p.p. va interpretato nel senso che il soggetto detenuto (per via del provvedimento cautelare impugnato o per altra causa) o internato, o comunque sottoposto ad altra misura privativa o limitativa della libertà personale, il quale intenda, anche per il tramite del suo difensore, esercitare il diritto di comparire personalmente all'udienza camerale, deve averne fatto richiesta nell'istanza di riesame.

La novella ha eliminato un'ingiustificata disparità tra chi sia in stato di carcerazione nel circondario e chi invece sia detenuto altrove. Il diritto dell'indagato, come dell'imputato, di rendere dichiarazioni al giudice che deciderà della sua libertà prescinde finalmente dalla distanza della struttura carceraria in cui lo stesso sia ospitato dalla sede del tribunale del riesame. Ciò però, secondo la decisione qui annotata, sarebbe sottoposto a due condizioni: che l'interessato abbia manifestato la volontà, personalmente o tramite il suo difensore, di comparire in udienza nell'istanza con cui sia stato chiesto il riesame; e che sia stata espressa l'intenzione di rendere dichiarazioni.

Quest'ultima condizione inserisce una limitazione non prevista dalla norma, e per vero non condivisibile, seppure già elaborata dalla giurisprudenza. Si veda Cassazione penale, Sez. II, 5 novembre 2014, n. 6023: In tema di procedimento camerale di riesame, l'indagato detenuto o internato fuori del circondario del tribunale competente ha diritto di presenziare alla udienza per essere sentito personalmente solo se la richiesta di audizione è formalizzata in modo tale da rendere manifesta la volontà di rendere dichiarazioni su questioni di fatto concernenti la propria condotta. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto immune da vizi il provvedimento del tribunale della libertà che aveva disatteso la richiesta di traduzione non specificatamente motivata). (Rigetta Trib. lib. L'Aquila, 15 luglio 2014).

Quanto alla prima condizione, la disciplina precedentemente in vigore, come è noto, consentiva al detenuto fuori dalla circoscrizione, sempre che lo richiedesse, il diritto di esser sentito dal magistrato di sorveglianza del luogo e non dal giudice della sua istanza di libertà, ciò che era permesso a chi fosse detenuto nel circondario. Una disparità palese a danno di chi, per ragioni indipendenti dalla sua volontà, non poteva rivolgere le sue difese direttamente al giudice del riesame. Il comma 6 dell'art. 309 c.p.p. prevede adesso che con la richiesta di riesame possono essere enunciati anche i motivi e l'imputato può chiedere di comparire personalmente. Non sembra che queste due facoltà, enunciare i motivi nella stessa istanza di riesame e chiedere di comparire personalmente, debbano avere un'interpretazione così diversa: nessuno dubita del diritto di formulare motivi a sostegno della richiesta di riesame anche dopo la stessa, laddove la Corte ritiene che il diritto di proporre istanza di presenziare all'udienza sia rigorosamente limitato a quel momento e in quell'atto. Peraltro, se così fosse si limiterebbe irragionevolmente un'importante garanzia difensiva, in questo caso ancorata a una formalità inspiegabile. Il successivo comma 8-bis prevede che l'imputato che ne abbia fatto richiesta ai sensi del comma 6 ha diritto di comparire personalmente. Deve intendersi che la richiesta debba farsi esclusivamente nella richiesta di riesame, ovvero il riferimento al comma 6 intende soltanto richiamare il diritto a presenziare? Il verbo può”, solo in questo caso, imporrebbe un'interpretazione nel senso che l'interessato deve provvedere, necessariamente e pena la decadenza del suo diritto, in quel momento e in quell'atto? Se il detenuto, che quasi sempre affida al suo difensore la formulazione della richiesta di riesame, proponesse la richiesta di presenziare al direttore del carcere o in ufficio matricola della casa detentiva, magari lo stesso giorno (o addirittura prima) del deposito in cancelleria dell'istanza di riesame presentata dal suo difensore, quale pregiudizio organizzativo avrebbe creato? Perché dovrebbe perdere il suo diritto?

Quanto alla possibilità di proporre motivi ben dopo la formalizzazione della richiesta di riesame, essa non è certamente messa in dubbio solo perché il comma 6 prevede la facoltà di motivare sin dalla richiesta stessa. Una facoltà in questo caso senza il limite che la Corte pone all'istanza di presenziare, così interpretando diversamente le due possibilità previste dal comma in questione. Si comprende la necessità che la traduzione del detenuto debba fruire di tempi adeguati; perché però aggiungere a un'esigenza logica un'ulteriore limitazione, meramente formale? Tutt'al più, seppure forzando anche in questo caso la lettera della legge, potrebbe interpretarsi la norma indicando quale data della richiesta la stessa dell'istanza di riesame. È vero che bisogna dare all'amministrazione penitenziaria il tempo di organizzare la traduzione del detenuto, ma non possono comprimersi, anzi sopprimersi i diritti dell'imputato.

La Corte esclude che la sua esegesi rigorosa porti un pregiudizio alla difesa, in quanto l'indagato, solo pochi giorni prima dell'udienza di riesame, ha già avuto modo di esporre compiutamente le sue ragioni in sede di interrogatorio di garanzia” L'interpretazione, decisamente restrittiva, sembra piuttosto una critica alla norma; comunque, è priva di supporto normativo e persino logico. L'argomento usato dal giudice di legittimità potrebbe infatti ripetersi anche nel caso in cui l'imputato abbia formalizzato la richiesta di presenziare nella stessa richiesta di riesame. La nuova disciplina riconosce il diritto del ricorrente, dovunque sia detenuto, di esporre le proprie ragioni al proprio giudice de libertate, e ciò indipendentemente dalla esposizione delle stesse in sede di interrogatorio di garanzia.

Una decisione della Consulta, ormai datata, aveva affrontato il problema, (Corte cost. 31/01/1991 n. 45) dichiarando infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 309 comma 8 e 127 comma 3 c.p.p., sollevata - in riferimento all'art. 24, comma, Cost. - nella parte in cui prevedono che l'imputato, se detenuto in luogo fuori della circoscrizione del giudice del riesame, deve essere sentito, qualora ne faccia richiesta, dal magistrato di sorveglianza del luogo, anziché dal tribunale del riesame. L'art. 309 c.p.p. può, infatti, essere interpretato nel senso di non escludere la comparizione personale dell'imputato se questi ne abbia fatto richiesta oppure se il giudice lo ritenga ex officio opportuno.

La giurisprudenza dovrà ancora occuparsi di questa esegesi. Intanto è utile conoscere la relazione sulla legge 47/2015 redatta il 6-5-2015 dal Massimario della Corte di cassazione. In essa si legge tra l'altro: Il senso delle nuove disposizioni sembra quello di affermare, in modo inequivoco, il diritto del ricorrente di comparire all'udienza camerale fissata per la trattazione, anche se eventualmente detenuto fuori distretto; la possibilità di esercitare tale diritto, peraltro, appare strettamente correlata, per l'impugnante detenuto o internato, alla formulazione della relativa richiesta nell'atto di riesame.

Si tratta di un collegamento che, se interpretato con il rigore suggerito dalla lettera del novellato comma 8-bis, sembra poter suscitare qualche perplessità, soprattutto laddove si consideri, da un lato, che la richiesta di riesame può essere presentata anche personalmente dall'imputato o indagato (ovvero da un soggetto che generalmente non dispone delle necessarie cognizioni tecnico-giuridiche), il quale potrebbe quindi limitarsi a proporre l'impugnazione – anche senza motivi – confidando in una ragionevole possibilità di poter comparire in udienza mediante una successiva richiesta di traduzione. D'altro lato, la scelta di comparire o meno in udienza e/o di chiedere di essere sentito dal tribunale risponde ovviamente anche – se non soprattutto – ad esigenze e valutazioni difensive di natura squisitamente tecnica, che sembra ben difficile “pretendere” già in sede di presentazione della richiesta di riesame: ovvero in un momento in cui la difesa non ha ancora contezza degli atti di indagine a suo tempo presentati dal p.m. a sostegno della richiesta di misura cautelare. Né paiono invocabili ragioni di ordine logistico od organizzativo tali da richiedere che il ricorrente sciolga, già all'atto della presentazione dell'impugnazione, la riserva in ordine alla propria partecipazione all'udienza camerale.

Come si è già visto in precedenza, l'elaborazione giurisprudenziale in tema di tempestività della richiesta ha ritenuto ragionevole ad es. il momento successivo alla notifica dell'avviso di fissazione dell'udienza, ed anzi le Sezioni unite, nella già più volte citata sentenza n. 35399/2010 in tema di giudizio camerale d'appello, hanno inteso precisare che, trattandosi di un diritto fondamentale dell'imputato, “la richiesta potrà ritenersi tardiva soltanto allorché in concreto non vi sia possibilità pratica di assicurare la presenza in udienza dell'appellante, sia nel senso che il giudice, qualora è evidente che tali perplessità verrebbero immediatamente meno attribuendo al collegamento tra le due nuove disposizioni una valenza meno stringente, ovvero consentendo al ricorrente di comparire all'udienza camerale anche qualora non “ne abbia fatto richiesta ai sensi del comma 6”, ma abbia tuttavia tempestivamente sollecitato la propria traduzione.

Altrettanto chiara sarebbe peraltro la difficoltà, in questa prospettiva, di attribuire al comma 8-bis un ambito di pratica applicazione.

Quel che appare certa, alla luce dell'immutato ottavo comma dell'art. 309 c.p.p., è la persistente possibilità, per il ricorrente detenuto fuori distretto, di intervenire nel procedimento camerale chiedendo di essere sentito, prima dell'udienza, dal magistrato di sorveglianza del luogo di detenzione.

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